UN FANTASTICO INCONTRO (in corso). Rating: rosso

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malabi
00venerdì 21 maggio 2010 18:34
Ho cominciato a scrivere questa fan-fiction parecchi mesi fa e, alcune di coloro che frequentano questo forum la conoscono, anche se nel frattempo l'ho modificata ed ancora non è finita.
Comunque, vorrei intanto postarne qualche capitolo e, se vi piacerà continuerò a postarla.

Intanto ecco com'è iniziato.

]PARTE PRIMA (Prologo – L’incontro a Roma)

CAPITOLO 1°

Il mio primo incontro con Michael Jackson, risale all’epoca del Dangerous Tour, a Roma, nel Luglio del 1992.

Tramite amici di mio padre che lavora tuttora nello spettacolo, siamo stati invitati ad una cena molto esclusiva dove, pare, sarebbe intervenuto anche lui, la Super-star indiscussa del pianeta, il grande MJ.

Per l'occasione ho indossato un abito blu notte molto morbido, in lycra e seta, tenuto su da due grandi fasce legate dietro al collo, con una scollatura al punto giusto, ma niente di volgare, spalle nude, coperte all’occorrenza, da una bellissima stola di pashmina, colore a gradazione dall’azzurro oltremare al celeste polvere. Scarpe blu decoltè di raso, molto classiche, con il tacco di cinque centimetri, non di più, perché sono già abbastanza alta di mio.

Premetto che in quel periodo non ero una fan di Michael, anzi per dirla tutta, di lui conoscevo pochissimo, sia dal punto di vista artistico che personale, tranne ovviamente le sue hits e i suoi video di indiscusso valore, che mi era capitato di ascoltare in radio e/o di vedere in programmi musicali.
Oltre a questo, non sapevo proprio nient’altro di lui, innanzitutto perché ormai, a trentadue anni i miei gusti musicali, di origine beat, rock, e canta-autorale erano ben definiti, e tra questi Michael Jackson non ci rientrava affatto, e secondo poi, non ero e non sono tutt’ora, quel tipo di persona a cui piace leggere giornali scandalistici per sapere tutto sui Vip nostrani o internazionali.

Partecipare, a quella cena con mio padre, non mi entusiasmava affatto. Ritenevo infatti, sbagliandomi, che sarebbe stata la solita cosa noiosa, piena di attricette alle prime armi, aspiranti modelle, e tutta una pletora di gente più o meno qualificata, che gravitava nel mondo dello spettacolo, sempre a caccia spasmodica di un incontro fortunato, che avrebbe potuto dare una svolta alla loro ben misera ed insignificante carriera, ammesso che ne avessero una. Ci sarebbe stato anche qualche personaggio famoso e sicuramente qualche pezzo da novanta, di quelli che contano veramente nello show-buisinness, circondato da uno stuolo di tira-piedi e lecca-terga, che pur di emergere sarebbero capaci di vendere, al miglio offerente, non solo se stessi, ma anche le loro mammine adorate con tutto il parentado prossimo.
Si sarebbe parlato del nulla, ed ancora una volta sarebbe trionfata la vacuità assoluta, l’ipocrisia mascherata da sorrisi a trentadue denti, da strette di mano accompagnati da baci e abbracci, per essere sostituiti immediatamente dopo da pettegolezzi più o meno piccanti su tutti, presenti ed assenti compresi.

Mio padre però, ci teneva particolarmente a quell’invito, poiché per lui, era sicuramente un’occasione di incontrare persone con cui poter parlare di lavoro, quindi ho accettato di accompagnarlo, nonostante le mie riserve mentali, di buon grado.

Il luogo in cui si sarebbe tenuto questo party, era una magnifica villa, situata appena fuori dalla capitale, affittata per l’occasione, dove mio padre ed io siamo arrivati verso le 21,30. Il “padrone di casa”, anzi, per meglio dire l’organizzatore di questo evento, amico di vecchia data di papà, ci ha ricevuti con grandi sorrisi, e offrendoci subito qualcosa da bere, ha cominciato a presentarci agli altri invitati, non molti, per la precisione.

Nel salone intanto, dei camerieri in giacca bianca, giravano tra gli ospiti con vassoi di antipastini, tipo tartine dall’aspetto variegato ma dal sapore identico tra loro, che senza tanti complimenti, sono state prese d’assalto più o meno da tutti, poiché erano ormai le dieci passate, e dato che di Michael Jackson non si era vista nemmeno l'ombra, l'appetito cominciava a farsi sentire.

Tra una presentazione e l'altra, mio padre mi aveva fatto conoscere un ragazzo di circa trentacinque anni, un gran bel tipo davvero, occhi verde smeraldo, capelli neri, alto minimo un metro e ottantacinque, con un gran bel fisico atletico, di nome Paolo, che oltretutto era anche molto simpatico.
Abbiamo socializzato subito e dopo un po’, cominciavo a ricredermi sull’andamento della serata, che nonostante le mie cupe previsioni, non si stava rivelando poi così tanto noiosa.

La conversazione con Paolo era talmente piacevole e divertente che non mi ero resa conto che nel frattempo si erano fatte oltre le 23, e dell’ospite d’onore, come da copione, nessuna notizia.

A mezzanotte passata, finalmente abbiamo sentito voci concitate provenire dal giardino della villa, e guardando dalle finestre del salone, ho visto tre limousine nere ferme, con parecchie persone già fuori dalle auto che si dirigevano verso la macchina centrale.

In un primo momento, sono solo riuscita ad intravedere uno sportello che si apriva, non riuscendo infatti a distinguere altro, visto che intorno a quella macchina ci saranno stati almeno una decina di “armadi a quattro ante” che mi impedivano ogni visuale.

Intanto la maggior parte degli invitati, entrati in fibrillazione per l’arrivo della star, mentre si dirigevano correndo verso l’esterno, dicevano:

"Eccolo è Michael"………. "E' arrivato Michael finalmente"……….."Arriva Michael Jackson"……………….., e via così.

In tutto questo trambusto, ho sentito una mano posarsi sulla mia spalla, mi sono girata, mentre Paolo mi stava dicendo:

"Vieni con me, che poi a tavola ci sediamo vicini".

L’ho seguito verso l'entrata della villa, dove si stavano dirigendo più o meno tutti, lui si va a piazzare proprio vicino al “padrone di casa!”, e tra me ho pensato:

“Boh, sarà forse parente del nostro anfitrione”.

Cercando anch'io di farmi largo, mi sono fermata dietro di lui, un po' distanziata, perché mai avrei voluto apparire come una di quelle esaltate che sbavano per vedere un personaggio famoso.

Finalmente, MJ percorre il viale che lo separa dalla sua auto all’entrata dove tutti noi eravamo assiepati per dargli il benvenuto, sempre circondato da un nugolo di body-guard, tutti neri, alti all’incirca due metri e grossi da far paura, lui invece così magro e minuto e certamente più basso di loro, quasi si perde tra quei colossi, ma l'attenzione di ognuno è tutta su di lui.

E’ vestito in stile militare, pantaloni neri, giacca nera decorata da fregi dorati lasciata aperta su una camicia bianca, capelli ricci, legati indietro ma con qualche ciocca lasciata sciolta davanti al viso, cappello nero e gli immancabili occhiali da sole, anche di notte.

Una persona del suo seguito gli fa strada verso il “padrone di casa” e Michael, con una voce delicata e quasi sussurrando, lo saluta stringendogli la mano, mentre noto che Paolo sta traducendo tutto. In quel preciso istante capisco, che Paolo è lì per fare da interprete tra MJ e gli altri, quindi realizzo, non senza un leggero disagio che se a tavola starò vicina a lui, sarò molto probabilmente anche vicina al “mitico” Jackson. Sinceramente, non so se essere contenta o no, di questa opportunità.

Comunque Michael nel frattempo entra in casa, accompagnato da uno scrosciante applauso unito ad ovazioni, a cui lui risponde ringraziando con cenni della testa e salutando timidamente con la mano.

Io resto sempre dietro Paolo, che mentre mi passa vicino mi fa un sorriso e un cenno con la testa come per dire: "Seguimi".

Entriamo nella sala da pranzo apparecchiata con vasellame fine e prezioso, e il padrone di casa indica all’ ospite d’onore, la sedia a capotavola, vicino alla sua, Paolo si siede alla destra di Michael, ed io a mia volta, alla destra del mio amico, poiché lui stesso mi aveva indicato il posto con lo sguardo.

Non appena seduti, MJ annuncia subito che si è portato dietro il suo cuoco personale perché deve seguire una dieta particolare. Paolo traduce e a me viene da ridacchiare mentre commento a bassa voce:

"E ti pareva?".


Michael, che fino al quel momento non mi aveva degnata di uno sguardo, si accorge della mia risatella, un po' idiota, lo ammetto, e mi guarda anche lui con un'aria tra divertita e perplessa, e chiede a Paolo qualcosa. Il mio amico si gira verso di me e finalmente mi presenta all’inavvicinabile pop-star, dicendo:

“No, lei non è mia moglie, è una mia amica che è venuta in compagnia di suo padre, che è quel signore imponente, seduto a fianco della signora con i capelli rossi.”

Mentre Paolo sta procedendo nella presentazione, osservo MJ molto attentamente, per la prima volta da quando è arrivato, sfoderando verso di lui un largo sorriso che ricambia, anche se a me pare leggermente imbarazzato, accompagnato da un cenno di saluto con la mano, poi si toglie finalmente gli occhiali.

Lo guardo dritto negli occhi, mentre lui fa la stessa cosa con me, e ne resto fulminata. Devo ammettere che sono bellissimi; scuri, vellutati, intensi, espressivi e dolcissimi, illuminati dal suo sorriso meraviglioso, aperto e solare.
Resto a guardarlo fisso per parecchi secondi con un'espressione incantata, e non riesco nemmeno a capire cosa mi stia dicendo.

Paolo pronto traduce e mi fa:

"Ti ha chiesto se prima eri al suo concerto.”

Io che non sapevo nemmeno che quella sera si fosse tenuto il suo concerto, non essendo molto brava per natura a mentire, gli rispondo di no, ma per non sembrare sgarbata aggiungo che non mi era stato possibile per impegni di lavoro che mi avevano trattenuta fino a tardi in ufficio.

Michael, ovviamente, a questa mia risposta, vuole sapere che lavoro faccio ed io rispondo: "Sono commercialista, e questo è il peggior periodo dell’anno, perché è il mese delle dichiarazioni dei redditi."

Lui fa un cenno d'assenso con la testa e dice che il mio è un lavoro interessante.

Rispondo, senza alcun imbarazzo, che il suo è un lavoro interessante, perché lui è un artista, e in quanto tale riesce a trasmettere attraverso la sua musica delle sensazioni ed emozioni che il mio lavoro non mi potrà mai permettere di comunicare. Aggiungo, ridendo, che anzi lui è molto amato proprio per il suo lavoro, mentre il mio è odiato quasi da tutti, soprattutto quando devo comunicare ai clienti quanti soldi devono pagare di tasse.

A quel punto ride di nuovo, e mi dà ragione ed io sento che pezzetto per pezzetto mi sto letteralmente squagliando sulla sedia, perché mai avrei creduto di trovarmi di fronte ad un uomo così gentile, estremamente timido e riservato.

Si comincia a mangiare, ma io in preda ad una leggera inspiegabile agitazione, che la presenza di Michael mi incute, non riesco ad assaggiare niente e noto che anche lui spilucca a malapena nel piatto che il suo cuoco gli ha preparato.

Mentre cerco di seguire la conversazione che si tiene alla mia sinistra, mi accorgo, che mentre MJ parla con il “padrone di casa”, nel girarsi per ascoltare la traduzione, rivolge spesso lo sguardo verso di me sempre accompagnato da un dolcissimo sorriso.
Durante la cena, mentre si parla del più e del meno, più volte Michael si rivolge a me per chiedermi, sempre con la massima gentilezza ed educazione, qualcosa o per ascoltare qualche mio breve intervento a proposito di argomenti che conosco, e comunque per tutta la durata del pasto, non posso fare a meno di continuare a guardarlo, i miei occhi sono attirati da lui come una calamita e riesco a distoglierli dalla sua persona solo per brevi momenti e quando incrociano i suoi.

Finalmente, il nostro anfitrione, ci invita a passare nel salone dove verranno serviti il caffè con i liquori.

Io mi alzo e cerco di restare il più possibile attaccata al mio amico, visto che rappresenta l'unica mia garanzia per poter stare il più vicino possibile a Michael, che devo ammettere mi ha letteralmente affascinata. Mentre ci avviamo nell’altra sala, però quasi tutti gli altri ospiti lo circondano per potergli parlare, o farsi fare un autografo, o chiedergli una foto assieme, a questo punto però intervengono immediatamente tutti gli uomini della sicurezza, che non avevano schiodato nemmeno per un nano-secondo, accerchiandolo per proteggerlo dalla folla.

Michael si mostra estremamente gentile con tutti, ma ogni tanto vedo che gira gli occhi intorno. Anch'io ormai, che mi sono fermata a debita distanza, assolutamente ipnotizzata dal suo carisma, lo fisso, distogliendo lo sguardo solo quando incrocio il suo.

Ad un certo punto, vedo che lui parla all’orecchio di una sua guardia del corpo che mi sembra stia guardando verso la mia direzione, la quale, dopo aver fatto un leggero cenno con la testa, si allontana dal gruppo.

Nell’istante successivo, sento toccarmi leggermente un braccio, mi giro e mi ritrovo di fronte ad un bestione di 150 Kg. circa, con un'aria, che a me sembra minacciosissima, e dentro di me penso:

"Oddio, e mo’ questo che vuole?"

L’armadio invece, con un ghigno che dovrebbe essere un sorriso mi dice:

"Mr. Jackson, vorrebbe sapere se può accompagnarti a casa con la sua macchina, se per te non è un problema.”

manu 62
00venerdì 21 maggio 2010 20:19
beh!mi piace come inizia la storia!continua per favore.
malabi
00venerdì 21 maggio 2010 21:35
OK Grazie, allora continuo.
marty.jackson
00venerdì 21 maggio 2010 22:00
interessante questo primo capitolo, continua sono curiosissima!! [SM=g27811] [SM=g27811]
malabi
00venerdì 21 maggio 2010 22:03
PARTE PRIMA (L'INCONTRO A ROMA)

CAPITOLO 2°


Mi viene quasi un colpo ed ho una tale confusione in testa al punto di essere sicura di non aver capito quello che la guardia del corpo mi ha appena domandato, per cui resto imbambolata a guardarlo senza sapere cosa rispondere; ma il bestione, contemplando la mia espressione al limite tra l’ebete e lo sconcertato mi fa:

"Do you understand what I you say?"

Quasi balbettando, non riuscendo a ricordare nemmeno una parola in inglese per poter formulare una frase di senso compiuto riesco solo a rispondere:

"Yes………..Ok…………Ok……..Ma…….”

L'armadio, senza profferire alcun altra parola, gira i tacchi e si riavvicina a Michael parlandogli nell'orecchio, che intanto gira lo sguardo verso di me, o almeno credo, perché nel frattempo si è rinfilato gli occhiali da sole, e mi sorride con discrezione.

In preda ad una visibile agitazione, vado a cercare subito papà che era impegnato in una conversazione noiosissima di lavoro e gli dico con un tono un po’ trafelato:

"Papà io me ne vado, non preoccuparti perché mi faccio accompagnare a casa da un amico."

Lui mi guarda con sospetto e mi chiede:

"Come mai sei così agitata? E’ successo qualcosa?”

Cercando di riacquistare un tono di voce più calmo per non dover dare tante spiegazioni gli rispondo:

“Non è successo niente, solo che ho dovuto girare tutta casa per trovarti. Vado perché sono stanca ed approfitto di un passaggio. Tanto tu ti trattiene vero? A proposito, fammi una cortesia, visto che non riesco a trovare Paolo, salutalo per me, ringrazialo per la compagnia e digli che sono andata via perché si è fatto tardi e sto morendo dal sonno.”

Mio padre, mi fa un sorrisetto sornione, e aggiunge:

“Ah, ma non vai via con Paolo?........ Ok. Glielo dirò, intanto io mi trattengo perché sto parlando di lavoro e, ne avrò ancora per un bel po’.”

Lo saluto con un bacio e mi avvio verso l'uscita, non senza ripassare vicino a Michael circondato ancora da un mucchio di gente e dalle persone della sicurezza ed è proprio da questo gruppo, che di nuovo si distacca la guardia del corpo con la quale avevo parlato prima, che mi segue fino all’esterno della villa.

Una volta fuori posso respirare finalmente un po’ d'aria fresca, fumarmi una sigaretta e soprattutto schiarirmi le idee. La prima cosa che mi domando è che caspita sta succedendo, mi sembra di essere in un sogno, e mentre mi chiedo per l’ennesima volta se avrò capito bene quello che il body-guard mi ha detto o se, quello che credo di aver capito, sia solo frutto della mia immaginazione, associata alla scarsa conoscenza del tutto scolastica della lingua inglese, proprio il bestione, che era lì dappresso, mi si avvicina per parlarmi nuovamente, rivolgendomi una domanda del tutto inaspettata. Con un’espressione abbastanza seria infatti, mi chiede:

“Scusa, ma tu sei una sua fan?”

Lo guardo basita e gli rispondo con un’altra domanda:

“Perché me lo chiedi? Ha qualche importanza per te sapere se sono una fan o no?”

A questa mia replica l’armadio ribatte:

“Scusa se te l’ho chiesto, ma sai, le fan di solito hanno dei comportamenti un po’………aggressivi. Loro lo vogliono toccare, abbracciare, baciare, vorrebbero prendere qualcosa come souvenir, urlano, gridano, piangono, hanno persino delle crisi isteriche quando se lo vedono di fronte, e a lui queste cose non piacciono, e molte volte è successo che i fan più scatenati gli abbiano fatto male fisicamente. Per questo motivo, non ama molto essere toccato. Quello che voglio intendere è che con lui bisogna avere degli atteggiamenti tranquilli, carini, rilassati, capisci?”

Con aria altrettanto seria ed anche un po’ seccata, cercando di trovare le parole adatte gli ribatto:

“Scusa ma tu mi hai vista prima dentro, e hai avuto forse l’impressione che posso essere una che si comporti così? In ogni modo, se questo può farti stare più tranquillo, sinceramente ti dico che non sono una sua fan, anzi per essere del tutto chiara, nemmeno ho mai visto un suo concerto. Soddisfatto ora?”

Dopo questa mia risposta un po’ piccata, noto che il poveretto assume un’espressione un po’ contrita, forse si sta rimproverando per avermi parlato in questo modo, temendo magari di avermi offesa, per cui sforzandosi di sorridermi, conclude affermando:

“Sì, certo l’ho visto, e ti chiedo scusa per averti parlato così, ma sai noi siamo pagati proprio per proteggerlo, da chiunque. E’ il mio lavoro ed io cerco di farlo al meglio.”

Con un tono completamente diverso poi, molto gentilmente, comincia a farmi tutto un discorso, che per afferrarlo nel suo significato, dato che oltretutto parla americano, devo usare tutta la concentrazione di cui sono capace, senza però omettere di farmi ripetere più volte molte parole, chiedendogli di usarmi la gentilezza di parlare molto lentamente. Mi dice infatti:

“Mr. Jackson, tra qualche minuto uscirà e mi ha detto di chiederti se per te è possibile aspettarlo nella sua auto, perché non vuole che qualcuno ti veda andartene via con lui, sai per evitare che la stampa possa scrivere qualcosa di falso, e per i paparazzi, che stanno aspettando all’esterno dei cancelli. Lui non ama che si parli della sua vita privata e soprattutto non desidera che inventino cose sulle persone che frequenta e su di lui, non vere. Se vuoi ora ti accompagno, così potrai sederti ed aspettarlo lì. Mi ha anche detto che si scusa con te per questo, ma come saprai la stampa gli rende la vita impossibile e non solo quella.”

Mentre il mio interlocutore parla, lo guardo con un’espressione sempre più stupita, ma alla fine, afferrando il senso del discorso, e soprattutto ridendo tra me perché non sapevo affatto che la stampa gli stava rendendo la vita impossibile, dando fondo a tutte le mie conoscenze della lingua inglese, rispondo:

“Certo, è una richiesta un po’ strana per me, visto che non mi sono mai trovata in questa situazione, ma se Mr. Jackson lo ritiene necessario, per me va bene, anche se ancora faccio fatica a credere a tutto quello che mi sta succedendo.”

Il body-guard, sempre con quel ghigno che passa per un sorriso, replica solo con un laconico:

“Lo capisco.”

Mi fa un cenno con la mano indicandomi di stargli dietro, e tenendomi a debita distanza lo seguo, dopo aver fatto però un giro largo e guardandomi ripetutamente intorno per vedere se ci fossero occhi indiscreti. Non posso tuttavia, fare a meno di sorridere pensando all’assurdità e alla stranezza di questa situazione, che mi sembra del tutto simile ad un film di spy-story, comunque, non vedendo nessuno, mi avvicino all’auto mentre lui sta parlando con l’autista, almeno credo che sia l’autista poiché, come sono lì d’appresso, questi scatta ad aprirmi lo sportello, che chiude immediatamente non appena sono entrata all’interno della vettura.

Mi siedo e comincio a guardarmi intorno, dato che è la prima volta che mi capita di stare seduta in una limousine, e che forse mai mi capiterà più nella mia vita. Lo spazio tra le due file di sedili a tre posti, collocate l’una di fronte all’altra, è enorme, ci potrebbe entrare un tavolinetto da thè. Tutto è confortevole, c’è un mobiletto bar, il telefono, la televisione e un impianto stereo di ultima generazione, che sta suonando vecchi successi di musica americana.

Mi accomodo meglio sul sedile, stringendomi la stola di pashmina intorno alle spalle per un sopraggiunto brivido di freddo, ed inseguo i miei pensieri che si rincorrono senza tregua, a proposito dell’avventura che sto vivendo.

Intanto mi chiedo, come mai il grande Michael Jackson, con tutte le belle donne, molto più vistose e sexi di quanto lo fossi io, che erano presenti a questa serata, abbia concentrato l’attenzione su di me, che sì, non sono proprio così male, ma che in confronto alla maggior parte di quelle presenti, rientro senz’altro nei canoni di bellezza normali, e che oltretutto non mi sono nemmeno dichiarata come una sua fan, dal momento che ho dovuto confessare di non aver nemmeno visto un suo concerto.

Penso che, forse, è stato attirato proprio da questo, abituato com’è sicuramente ad essere adorato, incensato ed omaggiato in tutto il mondo, soprattutto dal gentil sesso.

Mentre sono concentrata su questi pensieri, sento un tramestio e delle voci che si stanno avvicinando, non oso guardare fuori i finestrini oscurati, perché sono preda di un’agitazione mai provata prima e, l’unica cosa a cui riesco a pensare, è che non so se riuscirò a parlare inglese e soprattutto non so di cosa parlare con lui.

Man mano che le voci si avvicinano, sento le mie mani sudare freddo e sono presa da un tale senso di imbarazzo che vorrei scappare a gambe levate. Non so cosa fare, forse per la prima volta nella mia vita ho un vero e proprio attacco di panico e non so come gestire questa situazione che mi sembra davvero surreale. Non riuscendo a muovere un solo muscolo, giro soltanto gli occhi per vedere ferme davanti alla portiera un gruppetto di persone, poi, dopo altro vociare, di cui non capisco neppure mezza sillaba, finalmente, si fa per dire, lo sportello si apre e Michael entra da solo, sedendosi dalla parte opposta alla mia, mentre io mi rannicchio il più possibile sul mio sedile, pregando mentalmente di diventare talmente piccola da scomparire.
Mentre l’auto comincia a muoversi, lui si gira verso di me e guardandomi con un sorriso imbarazzato mi dice:

“Scusa se ti ho fatto aspettare qui, sei stata molto gentile ad accettare il mio invito.”

Sono ancora talmente agitata che non riesco a formulare un frase di senso compiuto, ed istintivamente mi avvolgo ancora di più nella mia stola, abbozzando una parvenza di sorriso.

Michael accorgendosi del mio gesto mi chiede subito premuroso:

“Ma hai freddo? Non so come scusarmi. Vuoi qualcosa da bere per riscaldarti un po’?”

Facendomi forza, cercando di riassumere una postura meno contratta ed imbarazzata, e schiarendomi la gola, per far uscire un suono intellegibile gli rispondo, cercando di vincere l’imbarazzo:

“No, grazie, non preoccuparti non ho freddo. Ma da bere cosa c’è, io non amo molto l’alcol, bevo pochissimo, però in compenso fumo.”

Lui mi guarda e sempre sorridendo ribatte:

“Anch’io non bevo, e nemmeno fumo. Non so cosa ci sia da bere, ora guardo.”

Apre il mobile e comincia ad elencare:

“Allora vediamo! C’è del whisky, gin, rum, vodka, cola, acqua…………”

Lo interrompo per dirgli:

“Un po’ di vodka, la berrei volentieri, è l’unica cosa che mi piace, insieme al vino rosso.”

Mi guarda ancora sorridendo e versa un po’ di liquore in un bicchiere, che mi porge spostandosi sul sedile centrale, vicino al mio.

Nell’afferrare il bicchiere che mi sta offrendo tocco inavvertitamente la sua mano, istintivamente la ritraggo chiedendo subito scusa, ma lui scoppia a ridere e mi chiede:

“Perché ti scusi? Non mi hai fatto mica male. Ho sentito però che hai le mani freddissime, eppure siamo a luglio e mi sembra che faccia anche caldo. Forse non ti senti bene?”

Gli rispondo, sforzandomi di trovare i vocaboli adatti, che mi succede anche d’estate di avere piedi e mani freddi, e che non deve preoccuparsi.

Con il mio bicchiere in mano poi, gli chiedo di bere qualcosa anche lui, solo per tenermi compagnia, ed infatti vedo che ha afferrato una lattina di Coca-Cola, che alza verso di me simulando un brindisi a cui rispondo con il medesimo gesto.

Comincio a sorseggiare la mia Vodka, che immediatamente mi dà una sensazione di calore e di discreto benessere, mentre anche lui butta giù qualche sorso della sua bibita in un silenzio imbarazzato, rotto solo dalla musica che arriva dallo stereo e che non è più quella di prima ma si tratta di musica classica, per l’esattezza mi sembra di riconoscere dalle prime note lo Schiaccianoci di Tchaikovsky, ed io, che amo moltissimo la musica sinfonica, manifesto il mio compiacimento dicendo però in italiano:

“Ah, questo è Tchaikovsky, bellissimo.”

Michael, che forse l’unica cosa che ha capito è il nome del musicista, si gira verso di me e sorridendomi con un’espressione, che a me sembra un po’ sorpresa, fa di sì con la testa e aggiunge:

“Sì, è lo ………………………Ti piace?”

Ovviamente non capisco la parola, ma immagino che abbia detto il titolo dell’opera, in inglese, per cui rispondo:

“Non so che cosa hai detto, perché non conosco la parola nella tua lingua, ma in italiano è Lo Schiaccianoci, e sì, mi piace molto. Tutta la musica classica mi piace molto, e non solo quella. la bella musica mi piace tutta.”

A questa mia affermazione, lui, per niente modesto, ridendo, ribatte:

“Allora ti piace anche la mia.”

Un po' mentendo, perché non conosco così bene la sua musica, tranne, ovviamente, i brani più famosi sentiti e risentiti ovunque, con una leggera inflessione ironica, ma sorridendo, gli rispondo:

“Sì, certo. Mi piace molto anche la tua.”

Poi mi chiede quali siano miei musicisti classici preferiti ed io gli rispondo:

“Mozart, Beethoven, Baach, Prokovief, Tschostakovich, Mendelsson e tutta la musica Barocca, oltre alla mia opera preferita che è i Carmina Burana di Carl Orff che pur essendo stata scritta negli anni trenta, si basa su canti medievali.”

Mentre sto enunciando le mie preferenze musicali, mi accorgo che il suo sguardo è molto attento e concentrato e nel sentire menzionare i Carmina Burana ho come la sensazione che sia un po’ trasalito, infatti indirizzandomi un largo sorriso mi dice che anche lui ama molto gli stessi musicisti e che la sua opera preferita è proprio quella di Orff, poi come soprapensiero aggiunge:

“Che coincidenza, abbiamo gli stessi gusti, e vedo che te ne intendi anche molto.”

Gli rispondo che le mie cognizioni non sono affatto così profonde, ma che avendo studiato pianoforte da piccola, questo mi ha fatto amare molto la musica, e che adesso, non suonando più da anni, mi diletto solo ad ascoltarla.

Michael, dopo aver saputo che ho studiato il piano, mi appare sempre più interessato a saperne di più sul mio conto e vuole conoscere se oltre alla musica io abbia altri interessi.

Resto un po’ perplessa da tutte queste domande, perché di lui mi ero fatta un’opinione del tutto diversa, non credendolo così interessato alla cultura e, dalla sua reazione, ritengo, che anche lui abbia avuto di me un’impressione differente al riguardo; forse pensava di trovarsi di fronte ad una donna un po’ più fatua e vuota. Comunque alla sua domanda rispondo:

“Mi piace molto l'arte in ogni sua manifestazione, sia essa figurativa come la pittura, scultura e architettura, oppure quella scritta, come la letteratura e la poesia, o quella espressiva come il cinema ed il teatro, che oltretutto frequento a livello dilettantistico.”

Nel parlare di teatro poi, mi soffermo un po’ più a lungo per descrivere, su sua richiesta, le rappresentazioni a cui ho partecipato, sempre però con grande difficoltà linguistica, e con momenti di vera ilarità da parte di entrambi, per poter, io trovare i termini esatti per fargli capire cose che invece lui non riesce a capire, fino a dovermi esprimere a gesti.

Mentre gli parlo, nonostante il mio inglese, molto spesso “maccheronico”, lui mi segue sempre con crescente attenzione e noto che non distoglie mai il suo sguardo da me, sorridendo e muovendo la testa con cenni d’assenso per quello che sto raccontando, poi spiazzandomi completamente, a bruciapelo mi chiede:

“Posso chiederti se sei sposata o se hai qualcuno che ti aspettando a casa?”

Lo guardo con curiosità, perché non capisco a che proposito mi abbia fatto questa domanda, comunque sorridendo gli rispondo:

“No, non sono sposata e non ho nessuno che mi sta aspettando a casa, sono, per così dire, felicemente single. E tu?”

Ora è lui a guardarmi con un’espressione sorpresa e ridacchiando mi dice:

“Ma tu di me non sai proprio nulla! Comunque no, non sono sposato e in albergo………….ih, ih, ih, ih……………….. non mi aspetta nessuno………”

Mentre parla, a stento si trattiene dal ridere, ma sull’ultima frase, la sua risata esplode fragorosa ed inarrestabile, accompagnata da parole spezzate, di cui riesco solo a capire, perché ripetuta più volte:

“It’s fanny.”

Resto sconcertata, non capisco cosa ci trovi di tanto comico in questa cosa. Per cui, mentre Michael sta continuando a sghignazzare, tento di farmi spiegare il perché di tutta questa sua ilarità, che tuttavia sta contagiando anche me, e senza saperne il motivo, gli vado dietro, cominciando a ridere anch’io, mentre continuo a chiedergli:

“Scusa, ma cos’è buffo?”

Ci vuole qualche minuto, prima che entrambi riusciamo a riacquistare una parvenza di serietà. La prima sono io, e non avendo ancora ricevuta risposta gli chiedo nuovamente:

“Adesso puoi dirmi che cos’è buffo? Forse sono io buffa visto che ti faccio così ridere.”

Michael, ora riesce a guardarmi con un’espressione leggermente più seria, e sempre con un tono ridanciano mi risponde:

“Scusa, non volevo dire che tu sei buffa, ma quello che mi hai chiesto è buffo, perché sei una delle poche persone a questo mondo che non sa nulla di me. Non sai nemmeno se sono sposato o no. Trovo strano solo che tu non lo sappia. Scusami davvero, se mi sono messo a ridere, ma è la prima volta che mi capita. Di solito le persone con le quali parlo, di me sanno tutto, o perlomeno pensano di sapere tutto, perché i media non fanno altro che parlare di me. I giornali inventano storie sul mio conto, e i paparazzi sono sempre a caccia di qualche foto esclusiva, da vendere a prezzi altissimi. Davvero credimi non mi era mai capitato prima.”

E’ chiaro che ormai, mi sento davvero in imbarazzo per quello che gli ho chiesto e non sapendo cosa controbattere cerco di rimediare dicendo:

“Mi dispiace, spero solo di non averti offeso. Ma davvero non lo sapevo, non ho mai letto i giornali scandalistici e non seguo, di norma le vicende private delle persone famose. Non ho molto interesse per questo genere di cose. E se ti può far piacere, non so neanche nulla di altre star, come ad esempio, Bruce Springsteen, Sting, Madonna, Bob Dylan, Ray Charles, tanto per citare quelli che mi piacciono, Madonna esclusa ovviamente, perché quella proprio non la sopporto, e questo per quanto riguarda la musica; ma lo stesso vale per le star del cinema. Mi piacciono moltissimo De Niro, Dustin Hoffman, Paul Newman, Kevin Kostner ed altri che non sto a nominare, ma di loro no so se sono sposati o se convivono, se hanno figli o meno. Nemmeno del grande Freddie Mercury per il quale nutro una vera e propria adorazione, prima che morisse, non ho mai cercato notizie sulla sua vita privata, tranne il fatto di aver saputo quando era ancora vivo che era gay, perché qualcuno me lo ha detto, e non certo per averlo letto su qualche tabloid. A me gli artisti interessano solo per quello che mi comunicano con la loro arte, se sono bravi nel loro lavoro per me è più che sufficiente per seguirli, non mi interessa sapere se sono sposati, quanti figli hanno, se sono etero, gay o bisex, o se sono religiosi, atei o miscredenti, perché queste cose non aggiungono o tolgono niente alla loro capacità. Ti sembrerà buffo, ma è così. Quindi se non so nulla di te, non è perché quello che fai non mi piace, ma perché ciò che mi interessa è solo ed esclusivamente la tua arte. Il resto sono solo pettegolezzi, che spesso sono lontanissimi dalla verità.”

Noto che, mentre parlo, Michael mi guarda con un’attenzione crescente e quasi incredula, quindi finita la mia requisitoria, con un tono molto serio mi risponde:

“Non ti devi scusare, e non sono affatto offeso, anzi, sono contento di aver incontrato una persona come te, che sappia così poco della mia vita privata, e vorrei davvero che tutti la pensassero così. Invece, la maggior parte della gente, vuole sapere tutto di un personaggio famoso e questo non lo capisco. Ho sempre cercato di tenere la mia vita privata fuori dai riflettori, ma purtroppo, quelli, quando non hanno niente da scrivere, le cose se le inventano e la gente ci crede. Il potere dei media è enorme, riescono a far passare per vere cose totalmente false e per false cose che invece sono vere. Io odio questo sistema.”

Più rinfrancata da questa sua spiegazione, e comunque ancora incuriosita per la domanda che inizialmente mi ha fatto, gli domando perché mi abbia chiesto se sono sposata.

Lui abbassa gli occhi, e con un leggero imbarazzo mi dice:

“Volevo saperlo per chiederti se ti va di venire da me in hotel, perché mi piace molto parlare con te, e vorrei continuare questa conversazione che trovo anche molto divertente. Potremmo sentire anche un po' di bella musica e veramente mi piacerebbe conoscerti meglio.”

Lo guardo stupita e sul primo momento non so cosa dire. Mi sembra così assurdo che lui, la super-star più famosa del pianeta, possa trovare interessante una conversazione, che si sta svolgendo tra l’altro con una che parla un inglese stentato e traballante, quindi ironizzando su me stessa, rispondo ridendo:

“Mi stai invitando da te, perché forse possiedi un vocabolario di inglese -italiano, così almeno riuscirai a comprendere meglio quello che dico, poiché credo che fino ad ora tu non abbia capito un granchè. Mi scuso, lo so che il mio inglese è pessimo, ma l’ho studiato a scuola e non ho avuto molte occasioni per parlarlo. Immagino che per te debba davvero essere divertente ascoltarmi, anch’io, se fossi al tuo posto, mi troverei molto buffa e non solo perché di te non so nulla.”

Lui scoppia a ridere e mi risponde:

“Non è come pensi, ho capito tutto, o almeno credo! Non parli così male e comunque hai un’ottima pronuncia e per le parole che non conosci ti fai capire benissimo. No, sul serio, non intendevo dire che sei divertente per come parli l’inglese…………….”, poi fermandosi a fissare il mio sguardo incredulo, visto che lo sto osservando con il sopracciglio alzato e un sorrisetto di compiacimento, rettifica, ridendo nuovamente “……………….solo poche volte sei stata un po’ buffa. Dai, davvero sei molto simpatica, aperta e mi piace molto quello che dici. Comunque se non ti va, non ci sono problemi.”

Senza riflettere ulteriormente rispondo:

“Ok. Se davvero ti fa piacere, vengo volentieri, e ti chiedo scusa se a volte ti guardo con un’espressione un po’ idiota, ma a dirti la verità, non mi sembra possibile che io in questo momento stia nella tua macchina a parlare con te, del più e del meno. Ogni tanto penso che sto sognando e che tra un po’ mi risveglierò.”

Lui allora mi guarda sempre sorridendo, ma un po’ più serio e ribatte:

“Perché pensi questo, guarda che anch’io sono un essere umano come tutti, anche se spesso mi descrivono come un extraterrestre.”

A questa sua battuta, replico immediatamente:

“Non volevo dire questo. Quello che intendevo è che tu sei così famoso, sei abituato a frequentare le persone più famose e potenti delle terra e mi sembra impossibile che tu desideri passare un fine serata a parlare con una donna come me, che non ha niente di speciale, ma che anzi è assolutamente normale e comune a tante altre. Comunque, questa cosa mi fa enormemente piacere e sono davvero onorata del tuo invito.”

Michael mi guarda e sempre sorridendo, parlandomi con un tono di voce dolcissimo, mi dice:

“Non penso affatto che tu sia una donna così comune. Ti trovo invece molto interessante perché oltre ad essere colta, sensibile ed amante dell’arte, ma questo l’ho scoperto solo ora, hai avuto un atteggiamento che la maggior parte delle persone non hanno, quando sono in mia presenza.
Con me ti sei comportata in maniera molto semplice, naturale, come se ti trovassi a parlare con uno qualsiasi degli ospiti che erano in quella casa, senza pregiudizi e preconcetti, che quasi tutti hanno nei miei confronti ed io questo l’ho percepito e, ora ne ho avuto anche la conferma; questo tuo modo di fare mi piace molto.
Di solito la gente, quando mi conosce si comporta in maniera diversa da come è normalmente, molti pensano che io sia un presuntuoso, uno che si sente al di sopra di tutto e di tutti, ma non è così; sono molto timido quando mi trovo a tu per tu con le persone e questo viene scambiato per arroganza. Solo pochi lo capiscono e credo che tu l’abbia capito subito, perché sei stata molto gentile, ma nello stesso tempo anche molto sincera; quando mi hai detto infatti che non avevi assistito al mio concerto, in un primo momento ci sono rimasto male, perché io vorrei piacere a tutto il mondo, ma poi ho apprezzato che tu non abbia cercato di compiacermi, come invece fanno quasi tutti, dicendo magari una bugia che tanto nessuno avrebbe potuto smentire, io per primo, perché certo non posso sapere chi sia venuto a vedermi o meno, per me dal palco è impossibile riconoscere dei volti.
Non hai nemmeno cercato, come fanno di solito molte donne, di attirare la mia attenzione con atteggiamenti forzati o esibizionisti, sei stata semplicemente te stessa, e questo mi è piaciuto molto, ecco perché ho voluto conoscerti.
Di solito quando sono in tour, vengo a contatto con tantissima gente, la maggior parte della quale, nella migliore delle ipotesi, mi avvicina solo per potersi vantare con gli altri di avermi conosciuto, di avermi stretto la mano o di essere stati a cena con me, e nella peggiore delle ipotesi per poter avere un ritorno economico, o di immagine, soprattutto se è gente che gira nel mondo dello spettacolo.
Ecco perché di solito non amo dare molta confidenza, ed ecco perché la maggior parte del tempo, quando non mi esibisco, la passo da solo; non mi fido molto di coloro che mi avvicinano, ovviamente questo non vale per i miei fan che magari passano le giornate e le nottate intere sotto le finestre dell’albergo solo per vedermi affacciare ad una finestra per qualche minuto. Ecco in quel caso, se io potessi, vorrei scendere in strada in mezzo a loro per poterli abbracciare tutti e ringraziarli ad uno ad uno del loro amore, della loro dedizione e del loro supporto, che da parte loro c’è sempre, ovunque io vada. Ma non posso farlo perché a volte per dimostrarmi il loro amore si scatenano e questa cosa mi fa paura, perché può diventare molto pericolosa.
Tu non hai idea di che cosa sia vedersi circondato da centinaia di persone, a volte anche migliaia, che vogliono toccarti, abbracciarti, baciarti o prendersi qualcosa di te che ti appartiene, è una sensazione tremenda, di paura vera. Questa cosa però mi fa molto soffrire, e ogni tanto voglio incontrare qualcuno di loro per poterli conoscere e ringraziarli di tutto quello che fanno per me. Lo so che gli altri ci restano male e mi dispiace, ma non posso incontrarli tutti, perché per poterlo fare ci vorrebbero giornate intere.
Con te però è stato diverso, lo so che non sei una mia fan, l’ho capito subito, ma so, e credo di non sbagliarmi, che di te mi posso fidare. Hai qualcosa nello sguardo di così dolce ma anche intenso e penetrante, quando parli i tuoi occhi esprimono quello che dici, sono sinceri e buoni, e questo è quello che mi ha subito attratto, per questo desidero saperne di più di te, e questo come ti ho appena detto non capita spesso.”

Mentre Michael mi parla molto lentamente e con un’ottima pronuncia inglese per facilitare la mia comprensione, presto a questa sua lunghissima confessione tutta l’attenzione di cui sono capace, interrompendolo solo poche volte per farmi spiegare meglio qualcosa che non ho capito appieno, e mentre continuo a domandarmi per quale motivo egli senta il desiderio di confidarsi con una che ha appena conosciuto, mi assale nei suoi confronti una indicibile tenerezza, perché ciò che più mi colpisce nel suo racconto, è saperlo profondamente solo.
Improvvisamente riesco anche a dare una risposta a tutte le mie domande; egli desidera solo un po’ di calore umano, come tutti del resto, e di poter parlare, solo per poche ore magari, in una calda fine serata di questa estate romana, con una donna normale come appunto sono io, conosciuta per caso in una festa in suo onore, che non essendo né del suo ambiente, né una sua fan e sapendo molto poco di lui come personaggio, possa capirlo ed apprezzarlo semplicemente come uomo, proprio perché libera da sovrastrutture e da stupidi pregiudizi, che di solito la maggior parte delle persone nutre, nei confronti dei personaggi famosi.
Egli desidera solo mettere a nudo la sua anima, per potersi liberare, anche se solo per un esiguo lasso di tempo, di quella maschera che deve sempre indossare ogni qualvolta si espone in pubblico.

Per questo, mi viene spontaneo, dopo averlo sentito parlare così, anche se all’inizio con un po’ di titubanza, prendergli la mano per stringerla tra le mia in un gesto di pura amicizia, per fargli sentire tutta la mia umana solidarietà, sperando con questo piccolo gesto, di potergli alleviare la sofferenza della sua anima, che mi appare immersa in una sterminata solitudine.

Michael mi guarda di nuovo con intensità, e rispondendo alla mia stretta, mi dice quasi bisbigliando:

“Grazie! Non mi sono sbagliato sul tuo conto.”

Poi, togliendo la sua mano dalla mia, mi abbraccia forte attirandomi verso di sé. Dopo un brevissimo momento di perplessità rispondo al suo abbraccio, dapprima timidamente, ma poi con maggiore intensità perché sento che lui in questo momento, ha bisogno di questo.

La sua guancia è contro la mia, ed io sento i suoi capelli morbidissimi sul mio volto e sono letteralmente inebriata dal suo profumo. Penso, anche di essermi impazzita, per accettare un invito da un uomo che conosco da appena un paio d'ore. Ma stando seduta accanto a lui, mi sento così tranquilla e rassicurata che non temo niente.
manu 62
00venerdì 21 maggio 2010 22:48
si, si mi piace.spero tanto che continuerai a raccontarci la tua storia...ma come si chiama lei?
marty.jackson
00venerdì 21 maggio 2010 23:19
bellissimo questo capitolo sei bravissima davvero!!! continua!!
BEAT IT 81
00venerdì 21 maggio 2010 23:40
Questi tuoi primi due capitoli mi hanno proprio presa...bravissima!!!!!! Nn vedo già l'ora di leggere il prossimo ;-))))))))))) . Baci Sara
malabi
00sabato 22 maggio 2010 00:04
PARTE PRIMA (Prologo – L’incontro a Roma)

CAPITOLO 3°

Arriviamo in hotel, la limousine entra nel garage e da lì saliamo accompagnati da alcune guardie del corpo nella sua suite, che mi appare meravigliosa.

Appena entriamo lui dice qualcosa a quell'armadio di prima, e quello scompare in un altra stanza. Dopo qualche secondo in cui entrambi siamo rimasti in silenzio, in tutto l'appartamento risuona l'ouverture dei Carmina Burana, io lo guardo negli occhi e lui guarda nei miei molto intensamente, mi prende la mano e dolcemente mi attira a sé abbracciandomi stretta, ricambio il suo abbraccio e lo bacio sulla guancia, lui fa lo stesso con me.
Divincolandosi poi dolcemente dal mio abbraccio mi indica il divano e mi dice di sedermi chiedendomi se ho voglia di bere qualcosa, gli rispondo che vorrei come al solito una Vodka, me la prepara e dopo avermi porto il bicchiere mi dice di scusarlo un momento ed esce dalla stanza.

Lo vedo scomparire dietro ad una porta, e trovandomi da sola comincio a guardarmi intorno, anche se il salotto è illuminato da una luce soffusa, riesco ad intravedere un mucchio di oggetti; cartelloni arrotolati, peluche, pupazzi, foto sparse su un tavolo insieme ad una pila di cd e musicassette, oltre ad un numero indefinito di cose di ogni genere e sorta, che immagino siano i regali dei suoi fan; vedo anche dei disegni in bianco e nero e a colori che lo ritraggono in differenti pose, in un angolo c’è un cartellone semi-aperto in cui si legge “Michael, We Love You” decorato con cuori, fiori e stelle colorati di porporina dorata, rossa e argentata.

Mentre osservo il tutto sento come un brusio arrivare dall’esterno, non mi rendo conto sul primo momento di cosa sia, perché decisamente la musica sovrasta questo strano rumore, ma prestando maggiore attenzione mi accorgo che esso proviene dalla strada, istintivamente vado verso una finestra per guardare che cosa possa essere, ma fortunatamente mi fermo in tempo per capire che sicuramente, quello che sento sono le voci dei fan, che stazionano sotto le finestre dell’albergo nell’attesa di poter vedere il loro idolo.
Mi ritraggo immediatamente, allontanandomi da lì, con la paura che qualcuno abbia potuto vedere la mia ombra, e mentre mi siedo rifletto sul mio comportamento, dandomi mentalmente della paranoica, ma sicuramente dopo aver visto tutte le misure di sicurezza di cui Michael si circonda e dopo aver sentito tutti i suoi discorsi, penso che per diventare paranoici, in una situazione del genere, basta pochissimo.

Le mie elucubrazioni vengono finalmente interrotte dal suo ritorno, sentendo la porta aprirsi infatti, mi giro verso di lui e resto in contemplazione a guardarlo.
Si è tolto la giacca, ora indossa sopra i pantaloni neri, una camicia bianca lunga di seta, lasciata sbottonata sopra una t-shirt anch’essa bianca con scollo a V, si è sciolto i capelli che ricadono morbidi e ricci sulle spalle, credo che si sia anche dato un ritocco al trucco, perché la pelle del viso mi sembra ancora più chiara, è semplicemente stupendo, bellissimo e affascinante ed io lo fisso mentre si avvicina al divano su cui sono seduta, con occhi assolutamente ammirati, senza riuscire a distogliere lo sguardo da tanta bellezza, visibilmente turbata.

Lui accorgendosi del mio turbamento mi chiede sorridendo:

“Che succede, perché mi guardi così?”

Sentendomi come una bambina colta a rubare la marmellata dalla dispensa, abbasso gli occhi e istintivamente rispondo in italiano:

“Mamma mia, non mi ero accorta di quanto fossi bello.”

Lui mi osserva con uno sguardo interrogativo e mi dice:

“Ho capito solo mamma mia, che cos’hai detto?”

Mentalmente mi dico: “E me lo chiedi pure? Ma non l’hai capito da come ti guardavo?”

Poi rivolgendomi a lui:

“Ho detto che questo tuo look, mi piace molto.”

Michael continua a fissarmi, forse non del tutto convinto della mia risposta, ma anch’io ora lo fisso, sostenendo il suo sguardo, mentre avverto un’intera colonia di farfalle nel mio stomaco che svolazzano felici da su a giù.

Sono completamente ammaliata da lui, e talmente persa nei suoi occhi così intensi e luminosi, che non riesco nemmeno più a pensare. Poi finalmente questo lunghissimo attimo di deliquio, viene interrotto dal vociare dei fan che reclamano a gran voce un’apparizione di Michael.

Lui infatti, indicando con la mano, la direzione da cui provengono quelli voci, mi dice:

“Li senti? Ora se non mi affaccio, sono capaci di continuare tutta la notte, e qualcuno potrebbe chiamare la polizia per far smettere questo chiasso, ma io non voglio che questo succeda.”

Mi viene da sorridere per cui replico:

“Mi sembra che tu non abbia alternative. Se pensi che vedendoti, poi la smetteranno di far rumore, ti devi affacciare sicuramente. Anche perché è già molto tardi, e qualcuno la polizia potrebbe averla già chiamata.”

Lui mi guarda sorridendo e mi chiede con un tono dolcissimo, che quasi mi commuove:

“Non ti dispiace se lo faccio?”

Gli rispondo sorridendogli e rispondendogli con altrettanta dolcezza:

“Assolutamente no!”

Allora lui si dirige verso la finestra, scosta la tenda, e già i suoi fan, da sotto intravedendo solo un’ombra, cominciano a chiamarlo a gran voce, all’apertura della finestra cominciano a gridare come forsennati e quando finalmente apre anche se non del tutto la persiana, le urla diventano incontenibili. Lo osservo, mentre li saluta con la mano gettando loro dei baci che vengono accolti da applausi e grida insieme a ripetuti: “Michael, I Love You”……..”Michael sei bellissimo…..” etc., etc.

Nel gustarmi questa scena, rimanendo sempre ferma immobile al mio posto, a cui mai avrei pensato di assistere, né da spettatrice esterna, ma ancor meno in compagnia del diretto interessato, penso a quanto tutto questo per un artista sia esaltante, perché anch’io, che sto solo osservando tutto ciò, per empatia, mi sento afferrare da una forte emozione che mi fa traboccare il cuore di gioia, quindi posso solo immaginare che cosa possa significare per lui, assistere ogni volta a questa sorta di venerazione che i suoi fan gli tributano adoranti. Capisco che per una star del suo livello, dover rinunciare a tutto questo possa risultare molto difficile, anzi impossibile, anche se il prezzo da pagare, a volte è decisamente troppo alto.

Dopo qualche minuto di saluti, Michael finalmente richiude la finestra, gesto questo, accompagnato da alte grida di irriducibili che vorrebbero vederlo affacciato più a lungo, ma dopo un po’ fortunatamente, come egli stesso aveva giustamente ipotizzato, il clamore si acquieta per scomparire, a breve, del tutto.

Finito quindi, questa sorta di rito, che più o meno si ripete in tutte le città dove si tengono i suoi concerti, Michael ritorna sui suoi passi e venendosi a sedere vicino a me mi confessa:

“Sai mi dispiace talmente tanto vederli lì, sapendo che stanno in piedi ad aspettarmi per ore che anche quando sono stanco morto, e non ho nemmeno la forza di alzare un braccio, cerco sempre di affacciarmi per salutarli, perché mi sembra una cattiveria nei loro riguardi, non farlo.”

Lo guardo sorridendo, perché penso che questa sua generosità di comportamento che dimostra nei riguardi dei suoi fan, sia davvero straordinaria e gli esterno il mio pensiero aggiungendo anche che comunque per lui deve essere senz’altro esaltante sentire che tante persone lo amano, perché anch’io pur non c’entrando niente, ho trovato questa cosa particolarmente inebriante.

Lui mi risponde che sicuramente lo è, e che questa è una delle cose che apprezza maggiormente nel suo lavoro, sentire il calore e l’amore del pubblico e mi dice inoltre che ne ha talmente bisogno che vorrebbe che tutti lo amassero per la sua musica e per la sua arte. Aggiunge inoltre, che quando sa che qualcuno non è un suo fan, come me per esempio, per lui è un motivo di dispiacere, perché il suo sogno è di piacere a tutti, ma sa anche che questo non è possibile, quindi si deve accontentare di quasi tutti.

Dicendo questo però scoppia a ridere e mi abbraccia.

Mi sento un po’ punta sul vivo, per cui pur ricambiando il suo abbraccio ribatto:

“Ma chi ti ha detto che non ti apprezzo? Ho solo detto che non ho visto i tuoi concerti, ma ciò non significa che non mi piaccia la tua musica, certo non conosco tutto quello che hai prodotto, ma le tue canzoni mi piacciono molto, hai una bellissima voce, mi piace anche molto vederti ballare, e i tuoi video sono eccezionali, sicuramente al di sopra di tutti quelli in circolazione, che non si avvicinano nemmeno lontanamente a quelli che tu hai realizzato. No davvero mi dispiace che tu pensi che io non ti apprezzi, perché non è così.”

Lui capendo che sono davvero dispiaciuta per quello che mi ha detto, ringraziandomi per i complimenti, mi abbraccia forte e mi dice che stava solo scherzando, e che comunque per farmi perdonare dovrò andare a vedere un suo concerto.

Gli ribatto che lo farò sicuramente, ma che non mi vedrà mai in prima fila a strapparmi i capelli o in preda ad una crisi isterica solo perché quando canta I Just Cant Stop Loving You, inavvertitamente poserà lo sguardo su di me.

Mi risponde ridendo, che io non ho bisogno di mettermi in prima fila, ma che per me ci sarà sempre un posto nel back-stage, dove potrò seguirlo comodamente seduta, basta però che io ci vada, perché lui a questo tiene molto.

Detto questo mi abbraccia stretta e poi prendendo il mio viso tra le sue mani comincia a baciarmi molto dolcemente, prima sulle guance fino ad arrivare alle labbra.

Mentre rispondo ai suoi baci, abbracciandolo anch’io, cerco di memorizzare questi attimi nella mente, perché so con certezza matematica, che domani penserò di aver sognato, quindi assaporo centimetro per centimetro la sua bocca, morbida, carnosa e calda. Ha un buonissimo sapore, dolciastro e fresco, mentre penso che il mio sapore, al contrario del suo, saprà sicuramente di alcol e fumo. Dentro di me mi maledico per non aver masticato una gomma americana, che di solito porto sempre con me.
Sono decisamente imbarazzata, anzi mi sento del tutto imbranata, come se fossi ritornata alla mia adolescenza a quando ho dato, a 13 anni, il primo bacio ad un ragazzino mio coetaneo, perché non so cosa fare, non oso muovermi e aspetto che sia lui a fare la mossa successiva, per paura di rovinare tutto e soprattutto non sapendo fin dove lui si voglia spingere.
Improvvisamente, come se mi avesse letto nel pensiero, lui mette una mano dietro la mia nuca, e comincia a baciarmi con maggior trasporto, del tutto ricambiata da me, e così a lungo, da rimanere entrambi quasi senza fiato.

Non so quanto tempo dopo, ci stacchiamo leggermente, guardandoci negli occhi intensamente, lui mi sorride ed io faccio altrettanto, sempre in religioso silenzio, perché davvero non so cosa dire. Il mio cervello in questo momento è completamente in stand-bay e l’unica cosa che riesco a percepire è il battito tumultuoso del mio cuore che credo possa essere sentito anche da lui.

E’ Mike che per primo rompe il silenzio e, con la sua voce flautata, mi fa una domanda che mi lascia completamente di stucco:

“Senti, lo so che è tardi, ma io dopo un concerto non riesco quasi mai a dormire, ti andrebbe di restare qui con me a guardare qualche vecchio film in cassetta o dei cartoni animati? Mi farebbe veramente piacere se tu potessi restare.”

Sono letteralmente sconcertata, e sulle prime penso di aver capito male, quindi per essere ben certa di non aver frainteso ripeto quello che mi aveva chiesto e alla sua risposta affermativa, mentalmente mi chiedo se stia parlando sul serio o se abbia voglia di prendermi in giro.
La prima cosa che mi viene in mente è che, forse, mi ha fatto questa proposta solo per vedere quale sia la mia reazione o semplicemente per stupirmi con una richiesta strana, visto che lui è Michael Jackson e di certo non ci si può aspettare da lui un comportamento che rientri nella “normalità”.
Lui si accorge della mia faccia allibita e dato che sono rimasta a guardarlo con un’espressione che definire esterrefatta è poco, poiché lo fisso da un bel po’ con gli occhi sgranati dalla sorpresa, aggiunge ridendo:

“Immagino che tu stia pensando che la mia richiesta sia strana, ma come ti ho detto, dopo un concerto ho bisogno di rilassarmi, senza pensare a niente, e guardare un film o un cartone è l’unico modo per allentare la tensione, poi se vicino ho una persona con la quale sto bene, per me è davvero il massimo.
Se per te però è troppo tardi e vuoi tornare a casa lo capisco, e anche se un po’ mi dispiace che tu vada via, basta che tu me lo dica che ti faccio subito accompagnare con la mia auto.”

Dopo questa spiegazione che trovo ancora più paradossale, capisco che sta parlando sul serio. Tra me penso che la situazione si sta facendo sempre più comica, però cerco di cancellare dalla mia faccia l’espressione di sbigottimento che fino ad ora ho avuto, soprattutto per non dargli l’impressione di quella che aveva accettato il suo invito perché si aspettava ben altro da questa serata e, a dirla tutta non so nemmeno io cosa mi aspettassi veramente da questa serata, quindi sorridendo, non trovando altre parole, rispondo:

“Se ti fa piacere resto volentieri a farti compagnia.”

Michael a questa mia risposta si accende d’entusiasmo e mi chiede che cosa mi piacerebbe vedere. Senza pensarci rispondo che preferisco senz’altro dei cartoons, possibilmente della Disney che sono indiscutibilmente i miei preferiti.

Sempre più entusiasta mi dice che anche lui li adora quindi si dirige verso una pila di cassette posta vicino al televisore e ne sceglie una, poi si siede sul divano vicino a me, accende la tele e fa partire il video registratore.

Le immagini che cominciano a scorrere sullo schermo sono quelle di un cartone che ha per protagonista Paperino, che peraltro è il personaggio che insieme a Pippo preferisco in assoluto, e sorridendo mi rivolgo a Michael per dirgli che approvo la scelta, e senza più pensare alla stranezza della situazione, mi dispongo a gustarmi il divertimento, che dopo poche sequenze arriva, accolto dalle risate di cuore di Mike ed anche dalle mie, sebbene un po’ più trattenute.
Entrambi ogni tanto ci lasciamo andare a commenti, lui in inglese ed io in italiano, su quello che stiamo vedendo, e quando la risata di Michael si fa fragorosa ed argentina non posso fare a meno di guardarlo e pensare che sembra davvero un bambino per come si sta divertendo e anch’io vengo contagiata dal suo modo di ridere e gli vado dietro, a volte solo sentendo la sua risata.
Sembrerà impossibile ma mi sto divertendo moltissimo e tutto sommato sono contenta che mi abbia proposto questo intermezzo perché sto perfettamente a mio agio e tutto l’imbarazzo e la preoccupazione di prima sono ormai scomparsi.

Quando la prima cassetta finisce, Michael mi chiede se ho voglia di mangiare qualcosa, mentre ne mette su una seconda, perché a lui è venuta un po’ di fame e, senza aspettare la mia risposta si dirige verso il mobile bar per prendere delle patatine fritte, dei pop-corn e qualche lattina di coca-cola, che depone sul tavolino basso davanti al divano.
Sgranocchiando e bevendo ci gustiamo la seconda cassetta, dove appare anche Pippo, sempre ridendo come matti.
Nei passaggi più divertenti, spesso mi tocca il braccio e indicando verso il televisore mi dice:

“Look,…………ihihihihih………..look it…….”

E incredibile, ogni tanto tra me penso che se lo raccontassi nessuno ci crederebbe, ed io stessa fatico a rendermene conto, sono seduta, nella suite di lusso della star più famosa al mondo, a guardare con lui delle cassette di cartoni animati, divertendoci come bambini.

malabi
00sabato 22 maggio 2010 00:07
Re:
manu 62, 21/05/2010 22.48:

si, si mi piace.spero tanto che continuerai a raccontarci la tua storia...ma come si chiama lei?




Lei non ha nome, perchè ha un soprannome che non posso svelare in quanto solo molti capitoli avanti si saprà. Ovviamente se avrete la pazienza di leggermi ancora.

Grazie a tutte per i complimenti, siete molto gentili.
malabi
00sabato 22 maggio 2010 00:33
PARTE PRIMA (Prologo – L’incontro a Roma)

CAPITOLO 4°

Dopo aver dato fondo a tutto quello che era sul tavolo, bibite comprese, Michael mi chiede se ho voglia di vedere un film, gli rispondo che genere di film e lui mi dice qualche titolo in inglese che ovviamente non capisco, allora mi fa vedere la custodia di una video cassetta dove sono raffigurati Spencer Tracy, Katharine Hepburn e Sidney Poitier. Capisco che si tratta di Indovina chi viene a cena, film che conosco benissimo, quindi anche se il parlato è in lingua originale penso che riuscirò a seguirlo bene, per cui con entusiasmo approvo anche questa scelta e aggiungo che questi attori mi piacciono moltissimo, La Hepburn e Tracy perché sono dei mostri sacri e Poitier, perché oltre ad essere bravissimo è anche un bellissimo uomo.

Michael a queste mie parole mi guarda un po’ meravigliato, anche se non capisco per quale motivo, poi, prima di far partire il video, mi dice che anche per lui quegli attori sono eccezionali e che quel film ha un significato sociale molto profondo, perché è un manifesto antirazzista, poi con altrettanta disinvoltura mi racconta di quanto sia molto amico della Hepburn, elogiandone le sue meravigliose qualità, sia come attrice che come donna, molto attenta alle cause umanitarie che ha sostenuto insieme a lui.

Il film ha inizio e Mike mi circonda le spalle con il suo braccio ed io mi accomodo meglio e, timidamente poggio la testa sulla sua spalla. Faccio un po’ fatica a seguire i dialoghi, e essendo molto tardi sento che gli occhi mi si stanno chiudendo per il sonno, tutto ciò fino a che non entra in scena il magnifico Sidney Poitier, infatti non appena appare mi tiro su, ed esclamo in italiano:

“Mammamia, quant’è bello!”

Michael vuole sapere che cosa ho detto, quindi gli traduco la frase e lui sottolinea:

“Uhmm, vedo che ti piacciono gli uomini neri?”

Sono io adesso a restare meravigliata da questa affermazione, considerato che proviene proprio da un nero, anche se ora il colore della sua pelle non è certamente come quella di Poitier, e penso che la sua sia una domanda provocatoria, forse per vedere come reagisco, quindi imperturbabile gli rispondo:

“Se un uomo è bello, è bello a prescindere dal colore della sua pelle. Non mi risulta che la bellezza abbia un colore determinato. E poi scusa ma perché ti meravigli tanto?”

Lui ridacchia e mi dice che pensava che visto che sono italiana ed abito in una nazione dove ci sono solo bianchi, avessi dei canoni estetici diversi di bellezza.

A questa sua affermazione non posso fare a meno di rispondere:

“Ma niente affatto. Anche se sono italiana e bianca ciò non significa che non apprezzi quelli di altre razze……………..”

Mentre pronuncio la parola razze, mi vorrei mordere la lingua perché già questa parola può essere intesa come discriminatoria, quindi mi affretto subito a specificare, non senza un leggero turbamento e, quasi balbettando:

“………………..Insomma, non riesco ad esprimermi bene in inglese, ma quello che voglio dire è che per me il colore della pelle è l’ultima cosa a cui penso. Anzi non ci penso affatto; e poi scusa perché mi fai questo discorso, mi stai mettendo in difficoltà, ma che credi che io sia una razzista!”

Michael capendo di avermi messo in imbarazzo, si scusa dicendo:

“Ti giuro che non l’ho pensato nemmeno per un momento. Volevo solo provocarti un po’ e vedere come reagivi. Scusa se ti ho fatto arrabbiare, ma era solo un gioco. Comunque non mi è dispiaciuto come hai reagito, vedo che hai un bel caratterino, non ti lasci intimidire facilmente. Sono perdonato?”

Non ho nessuna voglia di continuare a fare la parte dell’offesa, anche perché mi ha parlato con un tale tono dolce e una’espressione così fanciullesca, come davvero avrebbe fatto un bambino che chiede scusa dopo aver combinato una marachella che, sorridendo, gli rispondo:

“Ok, ti perdono. Del resto, scusa, ma ora non sono qui con te?“

Lui mi abbraccia ridendo, mi da un bacio sulle labbra e lascia cadere finalmente il discorso.
Io faccio altrettanto perché non voglio affatto toccare l’argomento del colore della sua pelle, visto che non ne so assolutamente nulla, o meglio so solo quello che ho sentito dire, cioè che sta facendo delle cure per sbiancarsi, ma a me questa cosa è sempre sembrata talmente assurdo, da non ritenerla in alcun modo attendibile ma, soprattutto non voglio urtare la sua suscettibilità.
Ho notato, infatti, anche se la luce della stanza è abbastanza bassa, delle macchie più scure in alcuni punti scoperti del suo corpo; sul collo e sulle mani, ad esempio, che contrastano con il colore della pelle del viso decisamente più bianca, ma credo che il biancore del volto sia dovuto ad un abbondante trucco.
In ogni caso davvero non mi importa un fico secco del perché si stia sbiancando, ammesso che lo stia facendo volontariamente, poiché lo trovo comunque così affascinante, carismatico, imprevedibile, misterioso e decisamente fuori dal comune, come persona che, mi attrae tremendamente per la sua essenza e non per quello che appare, anche se, ad essere sincera, quello che fino ad ora mi è apparso è davvero notevole.

Riprendiamo quindi a guardare il film, per mettermi più comoda mi tolgo le scarpe e allungo le gambe sul divano, appoggiando la testa sulla sua gamba, lui approva facendomi un cenno, e posando la sua mano sulle mia spalla, mi accarezza dolcemente.
Inevitabilmente, in questa posizione di relax, data l’ora, coccolata dalla sue carezze, dopo poco chiudo gli occhi e mi addormento.
Dopo aver dormito non so per quanto tempo, vengo risvegliata dalla sua dolcissima voce che mi dice qualcosa in inglese che ovviamente non comprendo, quindi è costretto a ripetermelo parlando molto lentamente:

“Baby, è quasi giorno vai a dormire nel mio letto così starai più comoda.”

Apro gli occhi di colpo, ed imbarazzatissima per essermi addormentata, mi metto immediatamente a sedere rispondendogli, con la voce impastata dal sonno, in italiano:

“No, non preoccuparti, se mi chiami un taxi vado a casa, non voglio darti disturbo.”

Michael guardandomi con aria interrogativa mi dice che non ha capito niente, quindi cerco di ripetere la frase in inglese farfugliando, per cui lui, afferrando forse solo la parola taxi, ridendo, replica:

“Non è il caso che tu vada via in queste condizioni. Sei troppo stanca. Ti prego, vai a dormire sul mio letto.”

Cercando di riacquistare un contegno, ma nell’impossibilità di formulare frasi intellegibili nella sua lingua, mi limito a chiedere.

“E tu?”

Guardandomi con aria tenera risponde:

“Tu non pensare a me. Dai vieni che ti accompagno.”

Ormai sono quasi del tutto sveglia, per cui non volendo assolutamente privarlo del suo letto, mi rifiuto di alzarmi e gli dico:

“Sei molto gentile, ma io posso dormire sul divano, dove già stavo dormendo benissimo e tu devi andare a dormire nel tuo letto. Altrimenti vado a casa.”

Detto questo mi alzo in piedi, sbandando leggermente, lui pronto mi sorregge e mi dice:

“Dai, non fare storie, andiamo di là.”

Mentre mi accompagna nella sua camera tenendomi abbracciata, l’unica frase che mi viene in mente è la cosa più stupida che potessi dire:

“Ma non ho neanche il pigiama.”

Lui ride di nuovo e risponde:

“Questo non è un problema. Te ne do uno dei miei.”

Entriamo nella camera e lui mi aiuta a sedermi sul letto, io ormai ripresami completamente mi guardo intorno, ma non riesco a vedere granchè poiché la stanza è illuminata solo da una luce soffusa che proviene da una lampada posta su un tavolinetto tondo. Comunque lui si avvicina all’armadio e tira fuori un suo pigiama di cotone con disegni di topolino e mi indica il bagno per andarmi a cambiare.
Rimango a guardarlo con il pigiama in mano e penso che davvero non posso restare, mi sento troppo in imbarazzo, quindi con voce gentile ma ferma gli dico:

“Michael, grazie sei davvero molto, molto gentile, ma non posso restare a dormire qui. Tra l’altro il sonno mi è anche passato. Ti chiedo solo la cortesia di chiamare la reception per un taxi, perché è davvero molto tardi ed immagino che tu voglia riposarti.”

Lui mi guarda con un’aria un po’ malinconica e mi ribatte:

“Se ti preoccupi per me, non devi. Non ho sonno, perlomeno non ancora. Ma tu invece sì, perché sul divano dormivi così profondamente. Mi dispiace che tu abbia cambiato idea perché ti assicuro che per me non c’è nessun problema. Ma forse per te non è così.”

Dice queste ultime frasi con una leggera punta d’ironia nella voce, sebbene il suo tono sia sempre assolutamente gentile ed educato, quindi non posso fare a meno di rispondergli:

“L’unico problema che esiste per me è che mi sento un po’ in imbarazzo. Non so, ci siamo appena conosciuti e insomma non vorrei disturbarti, perché penso che tu sia stanco, e non mi sembra giusto che tu mi offra il tuo letto per andare a dormire chissà dove. Non mi va di creare fastidi…………………..Comunque se davvero non hai ancora sonno, visto che ormai a me è passato del tutto, posso restare ancora un po’………………se a te fa piacere……”

Mike, ora mi sta sorridendo e si avvicina per prendermi per mano e dirmi:

“Sei davvero una brava ragazza. Sei molto sensibile e carina a preoccuparti del mio riposo. Ti ringrazio di cuore, e comunque mi farebbe davvero piacere se tu ti fermassi ancora.”

Rispondo al suo sorriso guardandolo intensamente e stringendogli la mano che sentivo caldissima nella mia, poi mi alzo e lui mi abbraccia forte e mi ringrazia di nuovo.
BEAT IT 81
00sabato 22 maggio 2010 01:17
Malabi la tua storia è sempre più avvincente, bravissima!!!!!!! Sono proprio curiosa di scoprire il soprannome della tua protagonista ;-)).
Continua così !!!!!! Baci
malabi
00sabato 22 maggio 2010 01:21
PARTE PRIMA (Prologo – L’incontro a Roma)

CAPITOLO 5°

Sono un po’ stupefatta dalla sua reazione. Perché mai avrei creduto che il grande Michael Jackson, la star più famosa e pagata dell’intero pianeta, rincorso da giornalisti, fotografi, fan ed anche personaggi famosi, che avrebbero bramato poter passare una serata con lui, se non altro per farsi ancora più pubblicità, si potesse accontentare della compagnia di una semi-sconosciuta, che oltre tutto si era anche addormentata sul suo divano.
Se solo i milioni dei suoi fan, che lo seguivano in tournè ovunque, solo per poterlo vedere un po’ più da vicino o, quelli più fortunati, stringergli la mano per pochi secondi, avessero saputo del mio colpo di sonno, credo che avrebbero potuto spellarmi viva.
Mentre lui mi abbraccia, pensando a queste cose mi viene un po’ da ridere, quindi ovviamente mi chiede perché io stia ridendo così.

Glielo dico ed anche Michael trova la cosa molto divertente e allegramente ci trasferiamo di nuovo in salotto, dove ora gli chiedo di farmi sentire la sua musica.

Lui mi dice se voglio sentire il suo ultimo album, che è appunto Dangerous, annuisco e, lui piazza il cd nello stereo.
Resto in silenzio per godermi la musica, ma Michael, vicino a me canticchia e si muove al ritmo delle sue canzoni e ovviamente non posso fare a meno di guardarlo perché comunque, lo fa con una grazia e con ritmo, anche se da seduto, davvero irresistibili. Mi rimprovero di non aver visto il suo concerto perché penso che sul palco avrà fatto scintille; lui si accorge che lo sto fissando e guardandomi a sua volta smette di botto di muoversi, al che, gli dico:

“Nooooooooo, perché ti sei fermato? Mi piace vederti ballare, anche da fermo sei bravissimo, veramente.”

Lui sorride e mi dice che se lo guardo fisso un po’ si intimidisce.
A me sembra impossibile un’affermazione del genere, per cui replico:

“Scusa, ma quando ti esibisci di fronte a migliaia di persone che pendono dalle tua labbra e non ti staccano gli occhi di dosso per tutta la durata del concerto, come fai?”

Mi risponde semplicemente:

“Sul palco è diverso. Lì mi sento a mio agio, ma fuori dal palco, nella vita, è un’altra cosa. Non so perché, ma è così.”

Queste sue parole mi provocano di nuovo, una gran tenerezza, perché mi fanno pensare a lui come un uomo molto timido, solo e fragile, per cui non insisto e gli dico soltanto che il suo disco mi piace moltissimo e che lo trovo forse anche più bello degli altri, più nuovo, più sperimentale, più maturo. Ed anche la sua voce, mi piace di più, perché più aggressiva e, in alcuni brani più arrabbiata quasi.

Lui annuisce e mi dice che è vero, è così che voleva fosse percepito da chi lo avrebbe ascoltato e quindi è molto soddisfatto del risultato ottenuto ed è contento che a me piacesse molto. Poi mi chiede se io ce l’avessi già ed alla mia risposta negativa, si alza immediatamente per prendere un altro cd e mi dice che vuole regalarmelo per suo ricordo, io lo ringrazio e non oso chiedergli un autografo, perché è qualcosa che non ho mai fatto con nessun personaggio famoso, pur avendone conosciuti parecchi grazie al lavoro di mio padre, ma Michael, forse leggendomi nel pensiero, mi toglie subito di mano il compact, dicendomi:

“Scusa, dimenticavo, ti voglio scrivere una dedica.”

Si presenta però il problema della penna, che ovviamente non ha a portata di mano, per cui comincia a girare per tutto il salotto sollevando tutte le cataste di cose che aveva accumulato sparse, e finalmente trova un pennarello che scrive male perché quasi consumato del tutto. In ogni caso, alla meno peggio riesce a scrivere qualcosa e mi riconsegna il prezioso cd.

Non appena me lo restituisce cerco immediatamente di leggere quello che ha scritto e un po’ a fatica riesco a decifrare.

“Per una donna speciale, incontrata per caso una sera, con amore. Michael”

Leggo queste poche parole e mi sciolgo del tutto. Mi si inumidiscono gli occhi, ma per un mio pudore non voglio che mi veda e così lo abbraccio con enfasi, e tenendolo stretto gli dico:

“Grazie, è una bellissima dedica.”

Michael risponde al mio abbraccio e molto dolcemente cerca la mia bocca per baciarla. Rispondo ai suoi baci questa volta senza farmi tanti problemi, molto più rilassata e a mio agio di quanto lo fossi prima e con vera passione che lui ricambia.

Continuiamo a rimanere abbracciarti e a baciarci ancora per molto o almeno credo, poiché ho sicuramente una percezione del tempo molto dilatata, poi lui senza parlare mi prende per mano e di nuovo torniamo in camera da letto, sento il suo corpo premere contro il mio e lui che mi sussurra con una voce profonda che gli piaccio moltissimo ma oltre a questo tra di noi non succede assolutamente nulla. Dal canto mio non cerco nemmeno di forzare alcunché poiché, rispetto il suo desiderio di non andare oltre ed anzi devo dire che passato il primo momento di stupore, apprezzo moltissimo questo suo modo di comportarsi, perché un altro al suo posto, senza nemmeno essere il personaggio che è lui, non si sarebbe fatto prendere da nessun tipo di scrupolo ed avrebbe approfittato della situazione immediatamente.

A dirla proprio tutta, se proprio mi devo stupire di qualcosa, non è certamente in negativo ma solo in positivo per aver conosciuto un uomo veramente al di sopra di qualsiasi mia più rosea aspettativa. Michael Jackson è una persona gentile, perbene, sensibile, dotato di uno straordinario talento che però non esibisce ed ostenta come si potrebbe credere. E’ umile, generoso, buono, forse in qualche comportamento un po’ strano, ma anche qui c’è da chiedersi che cosa sia la normalità.

Se per normalità si intende la mediocrità, allora Michael non lo è. Lui è tutto tranne questo. Ma se per normalità si intende che ciascuno viva ed agisca secondo i propri convincimenti, valori, educazione e cultura, anche se non rispecchiano la maggior parte dei canoni e degli schemi entro cui gran parte degli esseri umani si muove, allora anche per Michael si può parlare di “normalità”. Lui vive ed agisce come è sempre stato abituato a fare e secondo le sue convinzioni che tra l’altro, condivido in gran parte.

Non posso far altro che pensare di essere stata davvero fortunata ad averlo conosciuto e che questa serata rimarrà impressa nella mia memoria per sempre, e tutto ciò lascerà in me un segno indelebile; lui, lascerà un segno indelebile. Ma come si fa a non innamorarsi di un uomo simile. E’ quello che mi chiedo mentre sto ancora abbracciata a lui, gustandomi la sua vicinanza, il suo odore, la sua pelle morbidissima ed il sapore buonissimo delle sue labbra.

Poi ci addormentiamo, vinti dalla stanchezza, una tra le braccia dell'altro.

Mi sveglio, non so quanto tempo dopo, per le voci che arrivano dalla stanza accanto. Nel dormiveglia non riesco a distinguere nulla, anche perché esse mi arrivano molto attutite dalla porta chiusa. Apro gli occhi a fatica, cercando di capire dove mi trovo, poi improvvisamente mi rendo conto che sono nel letto di Michael e istintivamente allungo un braccio per sentire se fosse ancora vicino a me, ma trovo il suo posto vuoto.
Mi metto a sedere e mi accorgo di aver dormito tutta vestita, mi dirigo verso il bagno, sperando che Michael non ne abbia bisogno perché la cosa mi imbarazzerebbe moltissimo, guardo l’orologio che ho al polso e vedo con terrore che è l’una passata. Mi dico che ho dormito troppo, che forse Michael avrebbe voluto che me ne andassi ad un orario decente per potersene stare finalmente da solo, mi dico che sono stata una stupida ad addormentarmi e che avrei fatto bene a non rimanere.
Mi sento come una ladra che ha paura di essere scoperta da un momento all’altro. Non so cosa fare, di andare di là e presentarmi come se niente fosse al cospetto di altra gente oltre che a Michael, non se ne parla neppure, ma d’altro canto non so come fargli sapere che mi sono svegliata e che finalmente, per lui s’intende, è ora che me ne vada.

Cerco anche di fare il meno rumore possibile, perché non voglio che qualcuno sappia che ci sia una persona nella sua camera da letto. Credo che per lui sarebbe davvero imbarazzante, quindi mi muovo lentamente per non rischiare di farmi sentire, anche se tutto sommato vorrei che Mike si accorgesse del mio risveglio.

In bagno cerco di darmi un’ aggiustata, perché mi sembra di avere un aspetto terribile, e non solo quello, anche il mio abito è diventato uno straccetto ormai, ma non ho niente di mio a portata di mano, avendo oltretutto lasciato la mia borsa sul divano, che spero sia stata occultata da Michael per non rivelare la mia presenza ad occhi estranei.

Comunque alla meno peggio riesco a sistemarmi un pochino, ma poi, finita questa operazione, non mi resta che mettermi seduta sul letto per aspettare pazientemente che Michael entri nella sua camera, cosa che finalmente avviene dopo un po’ di tempo.

Appena sento aprire la porta della camera, istintivamente mi alzo di scatto rimanendo ferma accanto al letto, mentre lui entra avvicinandosi piano. Probabilmente essendo questa camera ancora immersa nel buio, non si è accorto che io sono già in piedi e solo quando è al centro della stanza finalmente mi vede.

Non riesco a dire nulla, sono imbarazzatissima ed agitatissima perché mi aspetto da parte sua un atteggiamento del tutto diverso da quello che era stato la notte precedente. Michael, però non appena mi scorge, con la massima gentilezza mi dice:

“Ciao, pensavo che stessi ancora dormendo. Ma che ci fai in piedi e completamente al buio?”

Detto questo, accende la luce della lampada.

Mi affretto a rispondere, con un tono di voce un po’ preoccupato ed anche leggermente concitato, perché non vorrei che pensasse che ho approfittato della sua assenza per curiosare tra le sue cose, che mi ero svegliata da poco e che quando lui era entrato ero appena uscita dal bagno.

In fretta inoltre aggiungo:

“Scusa se ho dormito così a lungo, mi sento molto a disagio per questo, sarei dovuta tornare a casa mia, non avrei mai dovuto approfittare della tua gentilezza.”

Lui mi sorride e per tranquillizzarmi mi ribadisce che se lui non avesse voluto che io restassi mi avrebbe fatto accompagnare a casa, quindi non dovevo preoccuparmi e soprattutto non dovevo sentirmi a disagio per aver dormito fino ad ora. Mi chiede anzi, se io abbia riposato bene.

Con un tono più rilassato gli rispondo:

“Ho dormito benissimo. Tu piuttosto puoi dire altrettanto? A che ora ti sei svegliato?”

Mi risponde che anche lui ha dormito bene e che si è svegliato intorno alle 11, perché aveva delle cose da fare e che comunque non dorme mai molto perché poche ore gli bastano.

Resta dunque in silenzio a guardarmi ed io penso che, forse, mi sta fissando poiché devo senz’altro avere un aspetto orribile oppure perché io mi decida finalmente ad andarmene, per cui di nuovo mi sento terribilmente a disagio, e per porre fine a questa situazione imbarazzante, dico:

“Ok, ora è meglio che vada. Scusa, ma non sono molto esperta, quindi dimmi tu come fare per uscire da qui senza problemi.”

Lui con un tono un po’ malinconico, sorprendentemente mi risponde:

“Devi proprio andare? Pensavo che potevamo mangiare qualcosa assieme. Io parto questa sera per Milano, e mi faresti molto contento se tu potessi restare ancora un po’ con me.”

Sono di nuovo spiazzata e, di nuovo non so cosa rispondere perché il desiderio di restare è fortissimo ma, non riesco a vincere la soggezione che ho nei suoi confronti.
Mi chiedo perché la sua presenza mi faccia sentire così ma non so darmi una risposta e non so darla nemmeno a lui. Resto quindi in silenzio a guardarlo, limitandomi solo a stringermi nelle spalle a significare che non so cosa dire.

Michael, che probabilmente ha percepito il mio stato d’animo, mi si avvicina ed abbracciandomi mi dice, con una voce più bassa e profonda:

“Non preoccuparti, va tutto bene, io desidero che tu resti.”

Sentendo il suo forte abbraccio e la sua voce sincera finalmente mi convinco e gli rispondo che resterò volentieri.

Lui alla mia risposta, si distacca da me e tutto allegro mi chiede se ho molta fame perché ha fatto preparare al suo cuoco delle cose molte buone e speciali.

Ci trasferiamo in un’altra stanza, oltrepassato il salotto, dove già c’è una tavola apparecchiata per due; a questa vista non posso fare a meno di pensare che nemmeno ha preso in considerazione un mio eventuale rifiuto, dando ovviamente per scontato che sarei rimasta.
Devo ammettere che questa sua sicurezza, un po’ mi disturba, ma poi a malincuore mi dico che comunque ha ragione a pensarla così, visto che non ha faticato molto per convincermi a pranzare con lui.

Durante il pasto, dove entrambi mangiamo pochissimo, io sicuramente per lo scombussolamento, Michael per sua abitudine, parliamo di tante cose e tra queste lui mi chiede della mia vita, ma non in senso generale, si sofferma soprattutto su particolari che potrebbero sembrare insignificanti, tipo, se ho molti amici, se vado con loro a mangiare fuori, al cinema, a fare gite; vuole sapere com’è la mia casa, se ho degli animali, se vado d’accordo con i miei genitori, se ho fratelli e sorelle e se ci vediamo spesso.

A queste domande, che come al solito, mi lasciano perplessa, rispondo sempre con gentilezza ma aggiungo poi alla fine che la mia vita è assolutamente normale, anzi piuttosto banale e scontata, al contrario della sua, che invece deve essere piena di impegni, e del tutto più esaltante e soddisfacente della mia.

Lui a queste mie parole si intristisce e mi risponde che il poter vivere normalmente a volte, è la cosa che gli manca di più. Io rispondo che dopo qualche tempo di una vita così detta "normale", si stancherebbe, perché la vita normale è anche molto faticosa. Lui mi dice con un sorriso:

"Sì forse, ma vorrei poterla provare, per poter conoscere la differenza. Tu come la maggior parte della gente pensa che la vita di un artista sia da invidiare, perché è vero noi abbiamo tanto; il denaro, la fama, l’amore del pubblico, ma ti garantisco che a volte tutto questo lo dobbiamo pagare, almeno io lo pago, con un prezzo altissimo perché tutto ciò invece mi porta anche tanta, tantissima solitudine e molta sofferenza. Non voglio dire di essere sfortunato, anzi ringrazio Dio per avermi dato tutto ciò, mentre c’è tanta gente che non ha niente e deve lottare ogni giorno per la sopravvivenza, ma a volte non posso fare a meno di invidiare chi invece può permettersi, come te di uscire con gli amici per andare a mangiare una pizza, senza dover rendere conto a nessuno e senza aver bisogno delle guardie del corpo o di dover entrare nei locali passando per le cucine per sfuggire ai fotografi, che mi perseguitano ovunque io vada. Ti giuro che a volte è davvero molto, molto difficile, sopportare tutto questo."

Mentre parla con la sua voce così flautata e gentile, lo guardo sempre più affascinata, perché dalle sue parole traspare la sua sensibilità d’animo e nuovamente la sua solitudine, che forse di lui è la cosa che mi ha colpito di più. Ancora una volta, mi fa tenerezza e questo sentimento mi sorprende perché mai avrei pensato di provarlo nei confronti di Michael Jackson.

Certo non riesco a comprendere appieno quanto questa sofferenza sia preponderante rispetto a tutti i vantaggi che un personaggio famoso come lui possa avere, perché ovviamente non ho la più pallida idea di come viva una star del sua calibro, ma capisco che comunque questo conflitto interiore è per lui causa di un forte disagio emotivo, che forse ha radici molto più profonde e remote. Non riuscendo però a formulare questi miei pensieri in frasi intellegibili, sempre per la difficoltà della lingua, mi limito solo ad abbassare gli occhi e a dirgli che sono molto dispiaciuta di vederlo così triste e solo e che mi resta difficile pensare che uno come lui non abbia amici.

Accennando ad un mezzo sorriso un po’ ironico ribatte:

“Oh se per questo, di persone che si spacciano per miei amici ce ne sono migliaia in giro per il mondo, ma la verità è che di amici veri, fidati, leali e che mi vogliono davvero bene, ne ho pochissimi, non arrivo a contarli su una mano e comunque è tutta gente di spettacolo, non conosco e non ho amici al di fuori di quell’ambiente, esclusi i bambini che adoro e con i quali riesco ad instaurare dei veri rapporti d’amicizia, perché loro sono puri ed innocenti e mi amano per quello che sono e non per il mio personaggio”

Mi viene spontaneo ribattergli questo:

“Forse tu non sei mai stato interessato a crearti amicizie con le persone così dette normali perché pensi che da parte loro non ci possa essere un reale desiderio di conoscerti per quello che sei, ma hai paura che il loro interesse per te possa derivare solo dalla tua celebrità. Ti posso dire però, che non è sempre così, non tutte le persone la pensano in questo modo, non tutti sono attirati dalle celebrità. Non vorrei sembrarti presuntuosa ma per me ti assicuro che non è così. Se io non avessi visto in te qualche altra cosa al di là del tuo personaggio, puoi star tranquillo che ora non sarei qui con te. Sono però anche sicura di non essere l’unica a pensarla così e, che come me, ci sono tante altre persone che, forse, non hai avuto la possibilità di incontrare, in fondo, io non sono poi così eccezionale.”

Michael ora mi rivolge un largo sorriso e mettendo la sua mano sulla mia, ribatte immediatamente:

“Lo so che per te è diverso e te l’ho anche detto, e averti conosciuta mi ha reso molto felice. Ma ti assicuro che è difficilissimo trovare persone come te ed io di gente ne ho conosciuta, ne conosco e ne conoscerò ancora tantissima e, se dico queste cose è per esperienza diretta. Credimi non è come tu pensi.”

A questa risposta non so cosa replicare, perché davvero mi sembra che parli con cognizione di causa ma davvero mi resta difficile credere che tra tutta la gente che ha conosciuto non sia riuscito ad intravedere in qualcuno una possibilità di rapporto amichevole. Non voglio però continuare ad insistere su questo argomento, anche perché lui ora mi sta chiedendo di andarci a guardare un film, sdraiati sul letto, perché ha bisogno di riposarsi un po’ prima di ripartire.
malabi
00sabato 22 maggio 2010 01:22
Re:
BEAT IT 81, 22/05/2010 1.17:

Malabi la tua storia è sempre più avvincente, bravissima!!!!!!! Sono proprio curiosa di scoprire il soprannome della tua protagonista ;-)).
Continua così !!!!!! Baci




Grazie per i complimenti.
Baci anche a te.
malabi
00sabato 22 maggio 2010 01:38
Questo è l'ultimo capitolo della prima parte. Il racconto ha un seguito tra l'altro molto lungo se vi fa piacere continuerò a postarlo. Ringrazio chi pazientemente mi ha letto ed apprazzato.


PARTE PRIMA (Prologo – L’incontro a Roma)

CAPITOLO 6°

Lo seguo di nuovo nella sua camera, che magicamente trovo completamente riassettata ed ordinata, ed in piena luce, sicuramente qualcuno del personale avrà provveduto a sistemarla mentre noi stavamo mangiando.

Ci accomodiamo appoggiandoci ad un mucchio di cuscini per guardare un altro capolavoro di Disney, Beauty and The Beast, che ancora non avevo visto e mentre la pellicola ha inizio Michael pronuncia una frase che mi raggela:

“Sai, spesso mi sento come la Bestia, che vive in quel castello incantato, odiato da tutti, perché i tabloid hanno scritto di me delle cose cattivissime dipingendomi spesso come un pazzo, uno strano, un mostro, e quello che mi fa più soffrire è che la maggior parte della gente che legge queste cose, ci crede.”

Per non farlo ripiombare nella tristezza, rispondo con un tono leggero:

“Allora faccio bene io a non leggere certi giornali.”

Lui mi abbraccia, mi dà un bacio sulla guancia e mi fa appoggiare la testa sulla sua spalla e in questa posizione ci gustiamo il film, mentre lui, ovviamente, nei pezzi musicali canticchia, molto spesso a bocca chiusa seguendo solo la melodia, ed io mi gusto nota per nota la sua meravigliosa voce che in sordina e a pochi centimetri dal mio orecchio sto ascoltando con un’emozione fortissima, perché in questo istante so di essere una privilegiata.

Totalmente rilassati sulla scena finale del film, Michael emulando il protagonista del film, cerca la mia bocca per baciarmi ancora una volta dapprima con estrema dolcezza che via, via lascia però al posto ad una passione sempre più crescente.

Baciandoci, accarezzandoci e tenendoci strettamente abbracciati arriviamo fino al punto in cui entrambi vorremmo spingerci oltre ma lui pur sussurrandomi parole d'amore, piene di dolcezza e tenerezza, mi dice che non può farlo per suoi convincimenti che derivano dall’educazione religiosa che ha ricevuto e, a cui si sente ancora fortemente legato.

Di nuovo mi stupisco da ciò che ho appena sentito ed allora gli chiedo, poiché ripeto non conosco niente di lui, quale sia la sua fede religiosa.
Lui mi risponde che per molti anni ha seguito la chiesa dei Testimoni di Geova, ed anche se attualmente non frequenta più tale congregazione, non riesce ad ignorare alcuni insegnamenti, come ad esempio il non fare sesso al di fuori del matrimonio.

Resto assolutamente senza parole di fronte a questa rivelazione ed ancora una volta, quest’uomo che davvero non riesco ad inquadrare in nessun schema, riesce a sorprendermi per la sua originalità.

Sono certa che se l’avessi raccontato in giro difficilmente qualcuno avrebbe creduto alle mie parole, perché è inconcepibile pensare che una donna, dopo aver passato una giornata quasi intera nella stanza di una pop-star, non una qualsiasi ma addirittura di MJ, non abbia avuto con lui un rapporto sessuale completo.

E’ chiaro che anch’io trovo difficoltà a credere nelle sue parole e la prima cosa che mi viene in mente è che forse non gli piaccio così tanto da desiderare di fare l’amore con me. Ripensando però al modo in cui mi ha baciata e tenuta stretta contro il suo corpo in cui l’eccitazione era tangibile, mi convinco che forse il motivo può essere un altro, quello cioè di non voler avere un’avventura con una sconosciuta che avrebbe potuto, uscendo dall’albergo, andare a sputtanarlo sui giornali di tutto il mondo.
Scarto però anche questa ipotesi poiché, se avesse davvero avuto paura di questo, non mi avrebbe nemmeno baciata, anzi non mi avrebbe nemmeno chiesto di restare con lui per tutto questo tempo, perché comunque, se avessi voluto, a prescindere da ciò che era effettivamente accaduto tra di noi, avrei potuto rivendermi questa notizia, che già di per sé sarebbe stata sicuramente un grande scoop.
La risposta quindi, mi dico che deve essere un’altra e forse la trovo nel pensare che Michael non vuole rischiare che una semplice conoscenza, tutto al più amicale, possa essere per lui fonte di qualche problema di tipo sentimentale.
Non conoscendomi, infatti, non può sapere quale potrebbe essere il mio comportamento verso di lui, e senz’altro diffidente com’è nei confronti delle persone che gli si avvicinano, credo che l’ipotesi di un mio probabile coinvolgimento sentimentale che potrebbe essere di tipo persecutorio, sia per lui un deterrente che non può permettersi di sottovalutare.

Persa nella ridda delle mie elucubrazioni mentali a proposito del suo comportamento, non sento nemmeno che lui mi sta di nuovo parlando con un tono dolcissimo, quindi non avendo capito le sue parole gli chiedo di ripetermele e lui con molta gentilezza e parlando ancora più lentamente per far sì che io comprenda bene, mi dice:

“Ti prego di non pensare a nulla che non sia esattamente quello che ti ho spiegato. Non voglio che tu creda che ci siano altri motivi oltre a questo. No, ti assicuro che non è così. Tu mi piaci molto, anzi sinceramente, potrei dire moltissimo, sei fisicamente molto attraente, hai un bel viso, dei bellissimi occhi, grandi e molto intensi ed espressivi ed un sorriso dolcissimo. Sei intelligente, divertente ed ironica, e questo nelle donne lo apprezzo molto, sei sensibile, appassionata e stare con te mi piace molto e per questo vorrei incontrarti di nuovo. Tra poco purtroppo devo partire, se potessi resterei qui con te ma devo proseguire il mio Tour, però se tu potessi raggiungermi in qualche città europea, mi faresti davvero felice. Te lo dico davvero con il cuore, credimi.”

Nel dirmi questo ha un tale convincimento nella voce che, del tutto soggiogata dalle belle parole usate nei miei confronti, mi convinco della sua sincerità e gli rispondo che non so se sarà possibile, a causa del mio lavoro, ma che farò del tutto per poterlo rivedere.

Michael mi sorride mi abbraccia di nuovo e mi ringrazia per la mia compagnia e per la mia comprensione, poi mi dà un numero di telefono a cui posso telefonare quando vorrò parlare con lui e, mi chiede anche il mio che gli scrivo su un pezzo di carta e che lui, dopo aver cercato il suo cellulare, memorizza subito.

In questo momento ho uno stato d’animo talmente triste e malinconico per la separazione imminente da lui, che non oso chiedergli se il numero che mi ha dato è quello suo personale e privato per paura di ottenere una sua risposta negativa, ma alzandomi per prepararmi ad uscire, dato che faccio fatica a parlare per la commozione che mi sovrasta, mi limito soltanto a dire:

“Michael, è ora che io vada, tra un po’ tu partirai e dovrai prepararti. Non c’è bisogno che tu mi faccia accompagnare posso prendere un taxi, anzi lo preferisco. Per favore puoi farlo chiamare?”

Lui mi guarda con un’espressione molto triste, mi si avvicina per prendermi la mano e baciarla dolcemente poi con voce commossa mi ringrazia di nuovo per aver passato con me una giornata meravigliosa ed indimenticabile e mi ripete che spera di vedermi presto. Si avvicina poi al telefono per far arrivare un taxi.

Non riesco nemmeno più a parlare per il magone ed invece vorrei dirgli tante cose e quando lui si avvicina per abbracciarmi e baciarmi ancora una volta, ho gli occhi pieni di pianto. Allora Michael, per consolarmi, mi accarezza e con le sue meravigliose dita asciuga le lacrime che non riesco a trattenere, e mi dice che qualsiasi cosa accada, lui è certo che ci incontreremo di nuovo e di aver fiducia in lui.

Lo bacio per l'ultima volta con struggimento ed esco dalla suite riuscendo a dirgli soltanto: “Grazie.”

Fuori dall’albergo c’è il taxi che mi aspetta, in queste ore passate con Michael Jackson avevo del tutto dimenticato il rumore del traffico della città che invece mi percuote le orecchie prepotentemente, come per ricordarmi che questa è la mia realtà, la mia vita, distante anni luce dalla sua.

Mentre il taxi si muove, mi giro per guardare un’ultima volta la sagoma dell’Hotel Excelsior, sperando stupidamente di rivederlo ancora una volta magari affacciato alla finestra, ma riesco a malapena a distinguere solo l’entrata perché ho la vista appannata dal pianto che copioso, irrefrenabile e disperato mi inonda completamente.
BEAT IT 81
00sabato 22 maggio 2010 01:40
Bello bello bello!!! Brava!!!! Oddio, devono assolutamente rivedersi !!! Speriamo che lei riesca a raggiungere MJ in qualche data del Tour, anche xè mi sa che la tua protagonista è già bella cotta di Michael ;-)))))))) . Nn vedo l'ora di leggere il seguito. Bravissima!!!!! Baci e buona notte. Sara
malabi
00sabato 22 maggio 2010 01:52
Re:
BEAT IT 81, 22/05/2010 1.40:

Bello bello bello!!! Brava!!!! Oddio, devono assolutamente rivedersi !!! Speriamo che lei riesca a raggiungere MJ in qualche data del Tour, anche xè mi sa che la tua protagonista è già bella cotta di Michael ;-)))))))) . Nn vedo l'ora di leggere il seguito. Bravissima!!!!! Baci e buona notte. Sara




Buona notte anche a te Sara.

Spero domani di postare qualche altro capitolo.
BEAT IT 81
00sabato 22 maggio 2010 01:56
Re: Re:
malabi, 22/05/2010 1.52:




Buona notte anche a te Sara.

Spero domani di postare qualche altro capitolo.




Nn vedo già l'ora di leggere qualche tuo altro capitolo ;-)))))) , purtroppo domani vado via e rientro domenica in giornata, ma domenica sera recupererò tutto l'arretrato ;-)))))) . Ancora buona notte. Baci
marty.jackson
00sabato 22 maggio 2010 18:08
woow quanti bei capitolii!! bravissima, davvero aspetto con anzia il seguito!!
antonella.30
00sabato 22 maggio 2010 20:35
bene... [SM=g27838]

dreams never die!!!!! [SM=g27811]

Che bello rileggerli [SM=x47981]
malabi
00domenica 23 maggio 2010 02:36
Ecco la seconda parte del racconto. Spero che sia di vostro gradimento.

PARTE SECONDA (Il Secondo Incontro)

1° Capitolo


Sono passati quasi otto anni, per l’esattezza 7 anni e 4 mesi, da quella meravigliosa giornata passata a Roma con Michael e, purtroppo l'occasione per rivederci non c'è stata.

Dopo la sua partenza, nei primi giorni, avevo ricevuto qualche sua breve telefonata, non molte a dire il vero, dove lui mi diceva che sarebbe stato felicissimo di rivedermi, ma il suo Dangerous Tour lo portava sempre più in paesi lontani, e per me, che ero da poco entrata a far parte di uno studio associato, era del tutto impensabile poter lasciare il lavoro, anche se solo per poco tempo.

Percepivo chiaramente il suo disappunto, perché ogni volta che ripetevo questa cosa, lui mi sottolineava che se avessi veramente voluto, avrei fatto del tutto per raggiungerlo, e che ovviamente lui si sarebbe preoccupato di tutto sia dal punto di vista economico che organizzativo.

Mi scusavo e ribadivo che il lato economico non c'entrava nulla, ma che ero davvero legata mani e piedi dal mio lavoro, soprattutto in quel periodo di dichiarazioni dei redditi. Ero profondamente dispiaciuta e gli giuravo che anch'io desideravo moltissimo vederlo e che pensavo moltissimo ai bei momenti trascorsi assieme, e che mi mancava tantissimo.

Sentivo però che le mie parole lo irritavano sempre di più, e secondo me, era fermamente convinto che la mia fosse solo una scusa.
Durante quel mese mi chiamò, solo un altro paio di volte ed il tenore della conversazione, almeno da parte sua, era molto formale, anche se sempre estremamente gentile.

Dopo un po' come è ovvio, le telefonate cessarono del tutto ed io dal canto mio non ho mai avuto il coraggio di richiamarlo, tranne una volta sola in cui però, non ho parlato poiché a rispondermi è stata una voce femminile, forse qualcuno del suo staff, almeno così ho sperato.

Ero davvero dispiaciuta e triste, e stavo tremendamente male per questo, giacchè dal quel giorno passato assieme, Michael era costantemente nei miei pensieri, come un’adolescente mi ero perdutamente innamorata di lui e mi mancava come l’aria, ma che altro potevo fare?

Ero una donna sola, che viveva del proprio lavoro e, non potevo rischiare di perdere tutto per correre dietro ad un’illusione poiché, anche se lo amavo tantissimo, anche se a volte fantasticavo su un’idilliaca quanto improbabile vita assieme, non avevo mai pensato che da parte sua ci fosse l’intenzione di trasformare questa nostra, chiamiamola “affettuosa amicizia”, in qualcosa di più serio e duraturo. Michael, infatti in tal senso, non si era mai minimamente espresso, quindi io dovevo tenere ben saldi i piedi per terra e, ciò mi faceva soffrire tremendamente.

Non vedevo alternative per migliorare la situazione e, con il passare del tempo poi, al dispiacere e alla tristezza è subentrato un po' di risentimento, perché questo suo atteggiamento lo trovavo molto superbo
Ero convinta, infatti, che lui pensasse che in quanto Michael Jackson, nessuno poteva permettersi di dirgli un no, anche se validamente motivato.

Lui era la super-star indiscussa che stava facendo un Tour mondiale, senz'altro molto, ma molto più importante del mio banalissimo e piccolo lavoro da commercialista.

Così sono passati i giorni, i mesi e poi, gli anni, ed io, ho continuato a vivere la mia vita, divisa tra lavoro e famiglia; nel frattempo, infatti, mi ero sposata, avevo avuto una bambina e poco dopo avevo divorziato.

A Michael pensavo sempre, i primi mesi molto intensamente, e con una struggente nostalgia, alternata a volte a rabbia e, biasimandomi per aver accettato il suo invito quella sera, mi dicevo anche che avevo scelto il momento peggiore per entrare in uno studio associato.
Mai tempistica fu più deleteria di quella.

Con lo scorrere del tempo poi, come quasi sempre accade, sempre più di rado mi soffermavo su quel bellissimo ricordo, ma mi accorgevo che questo, che custodivo in me ancora vivissimo, nonostante il passere delle stagioni, andava però assumendo l'inconsistenza dei sogni, arrivando io stessa, a volte, persino a dubitare che quel magico incontro fosse davvero avvenuto tanto che, per paura di essere presa per una mitomane visionaria, mi ero guardata bene dal raccontarlo a qualcuno, tranne che a mia sorella.

Povera! Lei, al contrario di me, era una sua fan sfegatata, però, all'epoca del mio incontro con Michael a quella cena, viveva a Londra e, nel momento in cui ha saputo quello che si era persa, si può dire che mi ha tenuto il muso per un anno.

Un giorno però, dopo tutto questo tempo, la mia vita, scandita solo dal solito tram-tram quotidiano, viene rivoluzionata da una telefonata di mio padre che mi chiama al lavoro, mentre sono occupata con un cliente e, senza nemmeno lasciarmi il tempo di dirgli che in quel momento non posso parlargli, mi chiede a bruciapelo:

"Guarda è una cosa veloce, ti va di accompagnarmi a Los Angeles?"

Dopo un primo istante di vera sorpresa, senza riflettere, gli rispondo che si poteva fare e che l’avrei richiamato in serata, dopo il lavoro, così mi avrebbe spiegato meglio.

Tornata finalmente a casa, richiamo papà, e lui mi spiega che a Los Angeles deve andarci per discutere con delle persone, interessate alla coproduzione di un film che vorrebbe realizzare. Mi dice che il soggiorno durerà non più di una settimana, che non ha nessuna voglia di viaggiare da solo e che saremmo dovuti partire fra tre giorni.
Mentre mio padre parla, la mia mente viaggia a velocità supersonica, perché sto già pensando come fare con mia figlia e con il lavoro, ma a lui rispondo che va bene e che lo accompagnerò volentieri, in fondo non capita tutti i giorni di poter andare a Los Angeles.
Non appena attacco il telefono, chiamo subito il mio ex marito per dirgli di occuparsi lui della bambina per una settimana, perché devo partire con mio padre. All'inizio mi fa un sacco di storie ma poi, con grande fatica, riesco a convincerlo.

Finita poi, la telefonata col mio ex, chiamo una mia amica, anche lei associata dello studio e le dico che devo assolutamente accompagnare mio padre in un viaggio, perché non se la sente di andare da solo, e le chiedo di potermi sostituire qualora ci fosse qualcosa di urgente, per il resto si rimanda tutto al mio ritorno.

Mi dice di andare tranquilla perché penserà lei a tutto. La ringrazio di cuore e le prometto che potrà contare su di me per qualsiasi cosa.

Finalmente finito di organizzarmi, comincio a pensare al viaggio, e mi dico che un'opportunità così non potevo lasciarmela sfuggire, finalmente sarei andata in America e soprattutto a Los Angeles che, da sempre, era stata una delle mie mete preferite.

Mentre dunque fantastico su quello che avrei potuto fare in quella meravigliosa città, sento un tuffo al cuore, perché improvvisamente realizzo che proprio vicino a Los Angeles vive Michael.

Al solo pensiero, mi riaffiorano alla mente tutti i ricordi di quella giornata passata con lui tanto tempo fa, ma in questo momento per me, è come se tutto fosse avvenuto ieri, il suo ricordo dà di nuovo vita ad un'emozione fortissima ed intensa.

Mi siedo sul divano perché mi sento le gambe molli, e le farfalle nello stomaco, mi prendo la testa tra le mani e mi ripeto di non reagire come una quindicenne, di non essere cretina, che tanto le probabilità di incontrarlo a Los Angeles sono scarsissime, anzi quasi nulle.

Per convincermi e per tornare a comportarmi come una donna di 40 anni, e non come una quindicenne, comincio a elencarmi tutte le impossibilità ad incontrarlo.

Mi dico che intanto è possibile che lui in quel periodo non sia neppure a Los Angeles, o meglio a casa sua; ed anche ammesso che sia a casa sua, è distante da LA almeno 150/200 Km., e quindi la probabilità di poterlo incontrare è pari a zero, a meno che io non vada fino a Neverland per cercare di vederlo, cosa assolutamente impensabile.

Penso poi a tutto il tempo che è passato e, mi convinco che questo incontro è meglio che non avvenga, anche perché in quasi otto anni, non sono rimasta certo come mi ha conosciuta, adesso, pur non dimostrando la mia età, non sono più magra come allora e qualche rughetta comincia a farsi vedere. Quindi, anche se riuscissi ad incontrarlo mi sentirei fortemente a disagio, sempre ammesso che mi riconosca, cosa questa che credo assai improbabile.

Alla fine di tutte queste elucubrazioni mentali sono talmente certa che tanto non lo incontrerò mai per cui mi impongo di smettere di sognare ad occhi aperti e di vivermi questo viaggio nella maniera migliore.

Dopo aver passato la giornata, prima della partenza, a fare un po' di shopping per l'occasione e, a preparare i bagagli, che sono un vero tormento, perché non so decidermi sul cosa portare o no, vado finalmente a dormire esausta con in testa soltanto il viaggio che mi aspetta.

L'indomani mattina, mio padre passa a prendermi alle 9,00 dato che dobbiamo essere a Fiumicino per le 10,00, il nostro aereo partirà, infatti, due ore dopo.

Sono emozionatissima, nel frattempo, mi faccio raccontare da papà come è organizzata la nostra vita a Los Angeles e lui, dopo avermi ragguagliato su tutti i minimi particolari, inaspettatamente mi chiede:

"Ma tu Michael Jackson l'hai più sentito?".

Resto un po' perplessa poiché, da quella sera in cui ero andata via con Michael, mio padre, solo una volta, qualche giorno dopo, mi aveva chiesto con chi fossi tornata a casa ed io molto semplicemente avevo risposto che mi aveva accompagnata MJ.

Lui si era semplicemente limitato a chiedermi se era più interessante come persona o come personaggio e io gli avevo risposto che come personaggio era straordinariamente carismatico ma come persona lo trovavo ancora più affascinante. Questo fu tutto.

Mi metto subito in allarme e voglio sapere come mai dopo tutto quel tempo mi stia facendo questa domanda ma lui mi dice che è solo per curiosità, e che gli è venuto in mente perchè stiamo andando a Los Angeles.

Gli rispondo che è moltissimo tempo che non lo sento più, e lui inaspettatamente aggiunge:

"Peccato".

Finalmente siamo in aeroporto, dopo aver espletato tutte le formalità, ci sediamo nella sala d'attesa per essere chiamati per l'imbarco, ci immergiamo nella lettura di riviste e giornali che ci siamo comprati per passare senza annoiarci le circa 12 ore di volo che ci aspettano.

Dopo quasi un’ora di attesa ci chiamano per l'imbarco del volo Roma - New York - Los Angeles e finalmente saliamo sull' aereo, ci sediamo in buisinness - class, l'aereo decolla e noi ci slacciamo le cinture di sicurezza.

Dopo esserci slacciati le cinture di sicurezza, mio padre che con l'età ha cominciato ad avere tutte le fobie possibili, inclusa la paura dell'aereo, mezzo intontito da non so quanti calmanti, cerca di appisolarsi.

Tra me penso, che sarà un viaggio di noia assoluta, con papà che sarà in stato catatonico per tutto il tempo, senza nessuno con cui parlare. Non mi resta quindi che cominciare a leggere le riviste che mi sono procurata, sperando che il tempo passi il più velocemente possibile.

Tra uno spuntino, qualche bevuta di Coca e succhi di frutti, tra la lettura, la visione di un paio di film, ovviamente in lingua inglese, e l'ascolto di un po' di musica, arriviamo a New York.

Mentre l'aereo atterra, noto che è giorno pieno, nonostante che il mio orologio segni le 19,00 o giù di lì, e mi sembra una stranezza, visto che oltretutto siamo in novembre.
Lo dico a mio padre, che nel frattempo si è risvegliato da quello stato di letargia che non lo ha mai abbandonato, e lui mi risponde che è normale perché lì sono le 13,00 circa.

Caspita ma come ho fatto a non pensarci, il fuso orario!
In pratica è come se non ci fossimo mossi, quindi considerato che la sosta a New York sarà di un'ora o forse più, sommate ad altre cinque circa di volo saremmo arrivati a Los Angeles verso le 4,00 di notte ora italiana, mentre lì sarebbero state le 19,00.
All'aeroporto, tra l'altro, ci aspetteranno gli amici di mio padre per accompagnarci in albergo e poi a mangiare da qualche parte! Solo l'idea di affrontare una cena, alle 6,00 del mattino secondo il mio bio-ritmo, mi provoca conati al solo pensarci.

Sono terrorizzata perché penso che arriverò in uno stato deplorevole. faccia stravolta dal sonno, borse sotto gli occhi e talmente stanca tanto da essere al limite di una crisi isterica.

Già sto pentendomi amaramente di aver accettato di accompagnare mio padre, perché il soggiorno si preannuncia più come un tour de force, che un qualcosa di rilassante e piacevole. Comunque ormai sono qui e devo fare buon viso a cattivo gioco.

Ovviamente l'aereo a New York deve imbarcare altri passeggeri oltre che a fare rifornimento di carburante, quindi nell'attesa, approfittando del fatto che papà si sia risvegliato, mi faccio dire chi siano queste persone che avremmo incontrato a LA.

Lui mi spiega che all'aeroporto sarebbero venuti a prenderci tre persone, di cui due sono amici di mio padre di vecchia data, con i quali aveva lavorato già in passato, il terzo, molto amico di uno dei due, è quello che, se le cose si fossero concluse al meglio, avrebbe dovuto produrre il film.

Subito dopo, con "nonchalance", butta lì che uno di questi conosce Michael Jackson molto bene, perché aveva organizzato, in passato, qualche spettacolo per lui.

Al nome di Michael, il mio cuore comincia a battere forte, ma a mio padre rispondo con un tono molto distaccato, commentando con un secco:

"Ah sì?".

Lui tuttavia, imperterrito continua, descrivendomi quanto questo suo amico sia in gamba come organizzatore, tanto da essere molto ricercato a Hollywood ed infatti anche Jackson, che è solito lavorare con i migliori sul mercato, ha voluto che lavorasse con lui. E bla, bla, bla. Bla, bla, bla.

Non lo sento più, la mia mente ormai sta tornando indietro di otto anni e il ricordo di quella giornata passata con lui a Roma, riaffiora prepotentemente, di nuovo.

Mi si stringe il cuore per la nostalgia di quei momenti meravigliosi, per il rammarico di non averlo mai più potuto rivedere e, per la tristezza di aver perso, forse, la possibilità di vivere una bella storia, che comunque sarebbe finita, valeva assolutamente la pena di essere vissuta.

Michael era stato con me una persona stupenda, piena di gentilezza, premura e dolcezza. In quella giornata avevo capito quanto fosse davvero un uomo speciale, intelligente, colto, sensibile, carismatico, divertente, profondamente generoso, ma anche terribilmente solo ed emotivamente complesso.

Gli ero grata per avermi permesso di conoscerlo, poiché per me era stato come aprire uno scrigno magico, che racchiudeva in sé una gemma preziosissima e piena di sfaccettature, che la rendevano ancora più scintillante e luminosa, direi quasi abbagliante.

Ripensando a tutto questo i miei occhi si riempiono di lacrime e per dissimulare la commozione che mi sta sopraffacendo mi alzo con la scusa di andare a chiedere qualcosa da bere.
Esco dalla Buisinness Class e per cercare la hostess passo davanti al portellone dell'aereo aperto e vedo che la scaletta per i passeggeri è accostata. Guardo fuori e vedo una quindicina di persone che stanno venendo verso l'aereo per imbarcarsi.

Tra me penso:

"Meno male, così tra un po' si riparte, questo viaggio mi ha già sfinito".

Sto per passare oltre, quando in fondo a questo gruppo di persone noto un altro gruppetto, un po' distaccato dal resto, formato da circa 6/7 adulti e 2 bambini piccoli tenuti in braccio. La mia attenzione è attirata da quattro di questi che mi sembrano essere giganteschi, disposti un po' a cerchio intorno agli altri.

Non riesco a vedere bene chi siano le persone che stanno al centro, un po' per la distanza e un po' perché sono fortemente miope, tra l'altro per il viaggio non ho nemmeno messo le lenti a contatto ma gli occhiali, per cui la mia visibilità è ancora più ridotta e, dato che sapere chi siano non mi interessa affatto, proseguo per avvicinarmi alla hostess che era nella saletta antistante la classe turistica, e le chiedo se può portarci qualcosa da bere.

Ringrazio e mi avvio di nuovo verso la mia classe.
Nel ripassare davanti al portellone, mentre i primi passeggeri stanno cominciando a salire la scaletta, ributto uno sguardo verso il gruppetto distaccato, che nel frattempo era molto più vicino e noto che, oltre ai giganti, un po' spostata verso l'esterno, c'è una signora che tiene in braccio un bambino, e al centro un uomo che ha in braccio quell'altro.

Penso che sicuramente saranno persone importanti, poiché capisco che, quegli armadi che li circondano, sono senz'altro dei body-guards.

Ad un tratto però il bambino, tenuto in braccio dall’uomo, si rigira verso l'aereo, si sposta di lato rendendo quindi visibile il volto di chi lo stava abbracciando.

Il cuore fa un tonfo, per interminabili attimi penso che mi si fermi, le gambe mi diventano molli come il burro, comincio a sentire sudori freddi e, in un primo momento penso di avere le traveggole, ma poi lo riconosco:

“E' lui! E’ Michael!”
malabi
00domenica 23 maggio 2010 03:50
PARTE SECONDA (Il Secondo Incontro)

2° Capitolo


Stento a crederci, ma è proprio Michael che sta venendo verso l'aereo ed io in piena crisi di panico, letteralmente volo verso la mia poltrona dove mi siedo con un affanno tale, che mio padre mi chiede se mi sono fatta tutto l'aereo di corsa ma, in questo momento, non riesco nemmeno a parlare per quanto sono agitata.

Entra l'hostess, con le bevande richieste, che lascia la porta della nostra classe aperta e, in quel preciso istante sento la sua inconfondibile voce che risponde al saluto del comandante che stava attendendo i passeggeri.

Sono talmente confusa che quando l'hostess mi porge il bicchiere, alzo la testa e fisso un punto dietro di lei, con uno sguardo stralunato senza capire cosa mi stia dicendo.

La poveretta rimane con il bicchiere a mezz'aria aspettando pazientemente che io abbia una qualche reazione cognitiva ma resto lì impalata a fissare il vuoto.

In realtà sto fissando uno ad uno quelli che stanno entrando nella nostra classe, con il terrore che passi anche Michael.

Vengo riportata alla ragione , ma solo per un brevissimo attimo, da mio padre che mi chiede, con un tono un po' nervosetto, se non m'ero accorta che quella, stava cercando di mettermi sto benedetto bicchiere in mano almeno da trenta secondi, finalmente poi, scuotendomi dal mio temporaneo corto circuito mentale, prendo quello che mi stava porgendo mentre mi sorride forzatamente, per nascondere, di sicuro ben altre intenzioni

Dopo aver afferrato il bicchiere , non riesco nemmeno a bere, poiché m'accorgo che le mani mi stanno un po' tremando e, in quel momento lui mi passa accanto, riconosco il suo profumo, lo vedo solo di spalle che si dirige verso la fine del corridoio della Buisinness per passare attraverso una porta, di cui mi accorgo solo ora, tenuta aperta da uno stewart, che si sta profondendo in saluti cordialissimi accompagnati da sorrisi tali da far invidia ad una reclame di dentifricio.
Noto poi, che due delle sue guardie del corpo si siedono nelle poltrone, vicine alla porta, che à stata richiusa, dopo che il resto del gruppo è scomparso oltre.

Mio padre che oltre ad essere in stato semi-catatonico, è oltretutto miope poco meno di me, ovviamente non si è minimante accorto di chi fosse passato vicino a noi, qualche istante prima, ed in realtà, mi rendo conto che anche gli altri passeggeri che sono nella nostra classe, sembra che non si siano accorti della presenza di Michael, oppure, e forse questa è la spiegazione giusta, non sono minimamente interessati a tale presenza.
Io invece, sono letteralmente attonita, perché mai e poi mai, avrei pensato di poterlo incontrare su questo volo.

Mi chiedo, infatti, per quale motivo abbia preso un volo di linea, quando lui sicuramente possiede almeno un aereo personale.

Ovviamente è una domanda a cui non so dare una risposta e comunque anche sapere il perché, non cambierebbe minimamente la situazione assurda in cui mi trovo.

Mentre corro dietro ai miei pensieri, papà, risalendo dal suo stato semi-letargico, mi dice che dietro la porta, dove sono appena sparite quelle persone, ci sta la classe super – lusso - extra, etc. etc., che pochi si possono permettere perché, costa veramente un'enormità, ed è riservata ai ricchi veri.

Rispondo con una battuta, per non far minimamente trapelare lo stato di scombussolamento in cui mi trovo, citando una frase di Fantozziana memoria, che le poltrone saranno senz'altro di pelle umana, e papà accennando una risatina, risponde che non sono proprio di pelle umana, ma quasi.

Nello stesso istante il comandante annuncia il decollo e noi ci riallacciamo le cinture di sicurezza.

Papà, che nel frattempo si è presa un'altra dose di tranquillanti, sta già con gli occhi chiusi, ed io penso che da questo momento in poi, il viaggio che mi aspetta non sarà affatto noioso ma anzi, estremamente agitato, vista la ridda di pensieri che, dal momento in cui ho rivisto Michael, stanno attraversando la mia mente a velocità della luce.

La prima cosa a cui penso, è che devo evitare ad ogni costo di farmi vedere, perché, nella remotissima ipotesi che egli possa riconoscermi, mi troverebbe sicuramente peggiorata, rispetto a molti anni prima; mi consola tuttavia l’idea che da allora sono così tanto cambiata, sia nell'aspetto che nel modo di vestire, che mi convinco che tanto non mi riconoscerà.
All’epoca, infatti, pesavo 62 chili su 178 cm. di altezza, avevo i capelli tagliati a Carrè, color castagna con riflessi ramati e soprattutto avevo 32 anni.

Oggi ho i capelli lunghi con colpi di sole biondo chiaro e scuro e la frangia che porto lateralmente: per essere più comoda durante il viaggio, me li sono annodati dietro la nuca e li tengo fermi da una specie di spillone di legno lavorato, che mio padre mi ha portato in regalo dalla Thailandia. Peso tra i 68 e i 69 chili e, ho anche gli occhiali da vista, che sicuramente mi conferiscono un'aria molto più professionale, ma diversa rispetto a quando porto le lenti a contatto, ma soprattutto, e questo conta più di qualsiasi altra cosa ai fini del mio cambiamento, ho quasi 40 anni.


Dato che papà, prima di partire, si è raccomandato che mi vestissi in maniera sobria ma elegante, per far bella figura con gli americani, che di solito vestono pure maluccio, per farlo contento, ho indossato un tailleur pantaloni con giacca a 3/4 di lino e seta nero, con sotto una camicia di seta grigio perla, scarpe decolté anch'esse grigie con tacco 3 cm., quando poi, infatti, mi è venuto a prendere sotto casa per andare all'aeroporto, mi ha fatto molti complimenti per il mio look e mi ha detto che stavo benissimo e, che sicuramente, in America, avrei riscosso un grande successo tra le persone che dovevamo incontrare, e non solo.

Naturalmente, a queste parole non do nessuna importanza, perché è stato mio padre a pronunciarle e non un estraneo, quindi per me, sono del tutto inaffidabili.

Prendo quindi lo specchietto dalla borsa per dare un'occhiata al mio disfacimento e l'immagine che mi appare, è davvero terribile.

Il trucco della mattina si è praticamente liquefatto in sbavature nerastre ai lati degli occhi ed ho delle borse sottostanti, per la stanchezza, che potrei usare tranquillamente come tascapane.

Ai lati della bocca ho due segni, anzi direi due solchi, che mi danno un'espressione da cane S. Bernardo, mi manca solo la fiaschetta al collo e l'immagine sarebbe perfetta.

Ho la pelle della fronte, del mento e dei lati del naso lucida, come se mi fossi fatta delle spugnature all'olio d'oliva.

La frangia, anche lei per la stanchezza si è appiattita sulla fronte come se avessi portato un elmetto per 24 ore di fila, e credo che non si riprenderà nemmeno con una cotonatura tipo anni '60.

Insomma dopo quest’attento esame del mio aspetto, la sentenza è una sola: sono irrecuperabilmente un cesso.

L'imperativo, di conseguenza, è uno solo, non farsi assolutamente vedere da Michael, in ogni caso.
Dato per scontato, infatti, che mai avrebbe potuto riconoscermi, in queste condizioni, qualora inavvertitamente, mi avesse degnato di uno sguardo, gli avrei di certo fatto un’impressione bruttissima.

Sono affranta, in cerca di un po' di conforto mi giro verso papà che se la dorme alla grande; per noi, infatti, sono circa le 2,00 di notte, e penso che anch'io devo assolutamente dormire un po', perché altrimenti al mio arrivo a Los Angeles, il mio aspetto sarebbe senz'altro peggiorato e allora altro che riscuotere grande successo! Quelli, cioè gli amici di mio padre, avrebbero girato la testa dall'altra parte per non sputarmi in faccia.
Insomma mentre continuo a pensare a come fare per porre riparo a tale scempio, cado in uno stato di dormi-veglia.

Ad un tratto sento toccarmi leggermente il braccio e mi sento chiamare per nome, ma non riesco ad aprire gli occhi per la stanchezza e mugolo qualcosa, il tocco si fa più insistente e sento nuovamente il mio nome ripetuto più volte.

A fatica riesco a socchiudere gli occhi, e vedo la faccia di Michael a pochi centimetri dalla mia che mi sorride. Faccio uno scatto sulla poltrona e spalanco gli occhi con il cuore che mi batte in petto come un tamburo, e grido "Michael".

Mi guardo intorno e vedo, l'hostess di prima, sempre con quel sorriso di circostanza stampato sulla faccia, che mi sta toccando il braccio e mi chiede se stessi bene dato che mi ha sentita agitarmi.

Realizzo che Michael l'ho soltanto sognato, quindi tiro un sospiro di sollievo, tuttavia penso:

"Meno male che non era lui! Sì, però che figura del cavolo ho fatto, se per davvero ho gridato il suo nome.”

Tranquillizzo l'hostess, la ringrazio per il suo interessamento e le chiedo di portarmi un caffè, tanto ormai sicuramente non sarei più riuscita a dormire

Nell'attesa che la "simpaticona" arrivi con quella specie di sciacquatura che molto eufemisticamente osano chiamare caffè, cerco di riordinare le idee.

Intanto comincio a tirare fuori la mia trousse da trucco, dove ovviamente c'è di tutto, compresa una mascherina che si deve comprimere sugli occhi per far sparire, magari, o meglio attenuare le borse , decisa ormai a passare l'ultima ora di volo a darmi una di quelle restaurate, che al confronto, quello avvenuto nella Cappella Sistina, è una bazzecola.

Ritorna l’hostess con la nera bevanda, ovviamente lunga un chilometro, annacquata, bollente, e che non sa di niente. La trangugito comunque e, mi illudo che possa darmi un minimo di energia.

Do inizio al restauro, sperando di far fare una figura decente a mio padre, ma non solo per questo, anzi soprattutto pensando, se mai dovessi imbattermi in Michael!

Dopo 40 minuti circa, ho finito di truccarmi, quindi decido di andare alla toilette per darmi una sistemata ai capelli.

Ovviamente questa è in fondo al corridoio, oltre la porta della classe iper –mega – super - vip.


Mi alzo e con passo un po' strascicato, anche per via delle pantofole, che mi ero messa praticamente subito dopo il mio imbarco a Roma, mi avvio verso il bagno.

Arrivata a circa tre passi dalla classe di Michael, il cuore ricomincia a battere all'impazzata, ed anche se mi do dell'imbecille per venti volte di seguito, non c'è verso di farlo smettere, comunque proseguo e passando davanti alla sua porta, mi accorgo che, questa, è leggermente socchiusa.

Cerco di guardare dentro, ma l'unica cosa che vedo è un braccio e una gamba, che non so dire a chi appartengano.

Proseguo per il corridoio ed entro in bagno cercando di fare un po' di iper-ventilazione, perché sto di nuovo in affanno; finalmente mi calmo e mi guardo nello specchio.

L'opera di restauro fortunatamente ha dato i suoi frutti. Non che sia proprio uno splendore ma perlomeno sono presentabile.

Sciolgo i capelli, li pettino a testa in giù per dare loro un po' di volume, li cospargo di lacca e mi riporto la frangia sul davanti.
L'immagine che ora vedo riflessa è decisamente migliore rispetto a quella precedente.

Esco dal bagno un po' più rincuorata, mi riavvio verso il corridoio e già da subito noto che la porta, che prima era socchiusa ora è aperta quasi del tutto.

Prima di passarci davanti, guardo dentro e vedo semi-allungato su una comodissima poltrona, posta leggermente più giù rispetto all'entrata, Michael.

E' vestito tutto di nero, sia i pantaloni, che non saprei dire se jeans o altro,
sia la t-shirt giro-collo e sia la giacca. Anche gli stivali che calza sono neri.

Ha i capelli non più ricci, come li ricordavo io, ma ondulati e lunghi fino all'attacco del collo con la spalla. Ha indosso gli immancabili occhiali neri, Ray-Ban.
Anche se mi sembra cambiato rispetto a tanti anni fa, mi appare comunque bellissimo, anzi così vestito, decisamente più affascinante e, noto che inequivocabilmente la sua pelle è molto più chiara.

Sta parlando con una delle guardie del corpo che erano sedute fuori, e mentre passo lì davanti, con la testa abbassata, ma tremando per l'emozione che, fortissima, si è riappropriata di me dopo averlo rivisto, la trousse che avevo in mano e, che avevo chiuso non del tutto, cade, spargendo a terra buona parte del suo contenuto.

In questo momento, tale e tanta è la vergogna, che prego che l'aereo mi si apra sotto e mi risucchi nel vuoto e, poiché la sensazione di grande imbarazzo si aggiunge ad un’emozione incontrollabile, mi sta addirittura venendo da piangere per la rabbia.

Mi abbasso per raccattare tutta la mia roba, mentre mi sento addosso uno sguardo, anzi due, raggelanti. Sono sicura che starà pensando chi sia questa stupida che, forse volutamente, ha fatto cadere le sue cose, proprio davanti alla sua porta.

Per cercare di darmi un contegno e per fargli capire che, sono italiana, così forse può pensare che magari non l'abbia riconosciuto, mentre raccolgo il più velocemente possibile tutte le mie carabattole, faccio commenti ad alta voce, del tipo: "Ma guarda che mi doveva capitare…………. mannaggia la miseria……." ed altre amenità del genere.

Tutto ciò sempre a testa bassa, senza mai guardare nemmeno con la coda dell'occhio verso di lui.

Ironia della sorte, i commenti in italiano che ho cominciato a profferire solo per cercare di non sembrare una perfetta idiota, adesso mi escono spontanei, perché non trovo più il mio rossetto della Christian Dior, pagato un occhio della testa, color rosa pesca brillante che mi sta oltretutto stupendamente, che chissà dove caspita era rotolato.

Comincio a guardare intorno a me, ma niente, cerco allora un po' più in là, senza mai però girare lo sguardo verso la mia sinistra, in direzione di Michael.
Non trovando purtroppo da nessuna parte, ciò che stavo disperatamente cercando, sono purtroppo costretta a girarmi verso quel lato che fino ad ora avevo evitato come la peste, quindi senza mai alzare gli occhi, comincio a guardare verso la sua direzione, ma purtroppo del rossetto neanche l'ombra.

Sto per desistere perché veramente mi sembra di vivere una farsa e soprattutto mi sento come una ladra, quando ad un tratto sento una voce che si rivolge a me in inglese:

"Have you problem, madam?"

E' la voce di Michael, un po' più profonda di quella che ricordavo, o almeno credo che sia stato lui a parlare, perché nello stato di agitazione in cui sono potrei avere anche delle allucinazioni auditive.

Ovviamente non oso guardare in su per sapere se la domanda sia stata formulata da lui o da qualcun altro, per cui mentre cerco di assumere una posizione finalmente eretta, rispondo in italiano

"Grazie, ma sto cercando il mio rossetto che non trovo più."


Poi mi rendo conto e rettifico in un inglese improbabile, ma non ho tempo per pensare alle parole giuste:

"Sorry. Thanks, I look for my lost lip-gloss."

E' chiaro che mentre rispondo, per educazione, devo guardare verso di lui, quindi, sfodero un sorriso di cortesia, senza far trapelare minimamente né che l'abbia riconosciuto e, né tantomeno, che mi stavo letteralmente squagliando dall'emozione.

Percepisco che lui mi sta guardando fisso, ma non capisco con quale sguardo perché non si è tolto gli occhiali da sole. Ma quando mai!
Mi parla quindi di nuovo, dicendomi che, forse, il mio rossetto è rotolato lì dentro, ma ovviamente io non oso muovermi dalla mia posizione, vale a dire impalata fuori la porta.

Nel frattempo anche la guardia del corpo si è messa a cercare, dopo che Michael si è rivolto a lui brevemente.
Non sapendo né che fare né che dire, mi rimetto gli occhiali, che mi ero appoggiata sulla testa, per vedere meglio da vicino, mentre cercavo il mio rossetto, e in quel momento Michael esclama:

"Ahhh!"

In un primo momento, penso che quest’esclamazione sia per i miei occhiali, ma poi, noto che sta indicando con la mano un punto non meglio identificato poco distante dai miei piedi, che ricordo ora, sono calzati dalle orrende pantofole.

Non riesco proprio a vedere ciò che mi sta indicando, quindi, forse esasperato, si alza, viene verso di me e poi si china per raccogliere il mio rossetto, che si era andato ad infilare tra la porta e il suo stipite.
Lo prende, si alza e me lo porge con un sorriso, dicendo:

"Your lip-gloss, madam".

Prendo il rossetto dalle sue mani, sorrido, lo ringrazio di cuore e guardandolo intensamente negli occhi gli porgo la mano per salutarlo, lui a quel punto si toglie gli occhiali, mi guarda anche lui fisso ma con uno sguardo un po' incerto e mi chiede se sono italiana, gli rispondo di sì ma lui vuole sapere se sono di Roma.
Io non so che rispondere perché ho come l'impressione che mi possa riconoscere e gli dico che sono di Venezia, ma che abito a Roma da poco tempo. Lui mi guarda ancora con un'espressione perplessa e con il sopracciglio alzato come per chiedere se quella sia la verità.

Sono imbarazzatissima, abbasso gli occhi e per porre fine a questo esame, gli domando perché mi ha fatto quella domanda e lui mi risponde che gli sembrava che somigliassi molto ad una ragazza che aveva conosciuto molti anni prima proprio a Roma.

Per sdrammatizzare e per cambiare discorso, replico che ognuno di noi ha almeno sette sosia nel mondo e, ridendo mi dice che lui ne ha molti di più di sette.

A questo punto non posso continuare a far finta di non averlo riconosciuto, anche perché veramente farei la figura della cretina e gli rispondo che lo so.

Sorridendo mi dice:

"Allora sai chi sono?"

Ora sono io a guardarlo con aria perplessa e il sopracciglio alzato, e rispondo:

"Se non sei uno dei tanti suoi sosia, dovresti essere Michael Jackson".

Fa una bella risata, mi prende finalmente la mano che sfiora leggermente con le labbra e mi conferma che è il vero Michael Jackson ed è contento di aver fatto la mia conoscenza, anche se in un primo momento ha pensato che fossi un po' funny.

Di rimando gli chiedo:

“Perché funny?”

Lui allora mi spiega che quando ha visto che mi era caduta di mano tutta quella roba, e mi sono abbassata per raccoglierla, parlavo da sola e non ho mai girato la testa verso di loro, che erano lì a pochi passi da me, come se in quel momento vivessi in un mondo tutto mio, insomma questo gli ha fatto pensare che fossi un po' funny, ecco.

Gli chiedo se adesso lo pensa ancora, mi risponde di no, e che dopo aver guardato i miei occhi, il mio sorriso, la mia bocca, e dopo aver ascoltato la mia voce gli ho fatto ricordare quella sua amica di Roma, che non vede da tanto tempo e che gli sarebbe piaciuto incontrare di nuovo.

Vengo presa dall'angoscia perché il desiderio di dirgli che sono io quella persona è violento, ma poi penso che non so nemmeno quale sia attualmente la sua situazione sentimentale, e per paura di illudermi e di soffrire ancora, preferisco far finta di niente.

In questi ultimi anni, infatti, non ho seguito molto le sue vicende, perché in primo luogo, quando in tutto il mondo circolò la notizia che era stato accusato da quel ragazzino, di pedofilia, cosa a cui non ho mai creduto nemmeno per un millesimo di secondo, sono stata talmente male per lui e ho sofferto talmente per non essergli potuta stare vicino, che mi sono rifiutata di leggere o di ascoltare qualsiasi cosa potesse essere scritta o detta sul suo conto, perché la consideravo solo sporcizia, messa in giro per distruggere la sua immagine, infangare la sua credibilità ed estorcere il suo denaro.

Ogni qualvolta che capitava che alla televisione parlassero di lui, mi affrettavo a cambiare canale, poiché mi rifiutavo di ascoltare qualsiasi tipo di notizia che lo riguardasse, pur tuttavia, inevitabilmente, avevo comunque saputo dei suoi due matrimoni e, dei suoi due figli avuti dalla seconda moglie e, se da una parte mi auguravo che lui fosse felice, dall’altra avevo passato lunghi periodi di sconforto totale.

Ogni volta che sentivo pronunciare il suo nome mi veniva da piangere, e cadevo in uno stato di profonda tristezza che mi durava giorni, per questo, mi sono imposta di fare del tutto per saperne il meno possibile sul suo conto, proprio per evitare di soffrire. Rinuncio quindi a rivelargli la mia identità.

Mi chiede poi se sto andando a Los Angeles per turismo, e quanto tempo mi fermerò.
Gli rispondo che sto accompagnando mio padre che deve avere un incontro d'affari e che se la cosa si svolgerà senza problemi tra una settimana dovremmo ritornare a Roma.

A questo punto mi chiede :

"Scusa, ma posso sapere il tuo nome?”

Nel momento in cui stavo per rispondergli un nome a caso, ecco che vedo arrivare verso di noi mio padre, che per stazza non passa certo inosservato.
E' difficile infatti non notarlo visto che è alto 1,95 e pesa 130 chili.
Presa dal panico, poiché ho paura che vedendolo possa avere la conferma dei suoi dubbi, dico in tutta fretta a Michael che mi dispiace, ma che devo andare perché vedo che mio padre mi sta chiamando, lo ringrazio ancora e lo saluto.

Lo lascio, visibilmente sconcertato per il mio comportamento che troverà a dir poco del tutto funny, e proseguo verso mio padre che sta mi sta venendo a cercare preoccupato, visto che erano circa 30 minuti che mi ero allontanata da lui.
Lo tranquillizzo che sto bene e che ho fatto tardi perché mi dovevo sistemare prima di scendere.
Vado a risedermi al mio posto e finalmente realizzo ciò che è successo.

Ho il cuore che ancora batte forte dall'emozione e faccio fatica a fare ordine nella mia mente.

Intanto la prima cosa a cui penso è che ho fatto davvero una figura barbina che per fortuna si è risolta al meglio.

Sentire da lui, infatti, che m'ha preso, in un primo momento per una pazzerella, perché parlavo da sola mentre io credevo che quell'escamotage gli facesse pensare che quell'incidente non era stato voluto, mi procura ancora sudori freddi e, come se questo non bastasse aver ritenuto inoltre che non guardando mai dalla sua parte mi scagionasse ancora di più e, invece scoprire che non aveva fatto altro che attirare maggiormente l'attenzione su di me, mi fa sentire ancora più idiota.

Passando a considerare la nostra breve conversazione poi, il fatto che Michael si ricordasse ancora di me, dopo tutti questi anni, mi ha lusingato moltissimo ma non posso fare a meno di essere anche profondamente dispiaciuta per non avergli detto che ero io la ragazza di cui si ricordava e che comunque aveva riconosciuto.

Mi sono già pentita del mio comportamento, e mi ripeto che mai mi capiterà un'altra occasione come questa, tanto più che tra una quindicina di minuti arriveremo a destinazione e allora addio per sempre, mio amato Michael.

Nemmeno ad averlo chiamato, il comandante annuncia l'atterraggio a breve e, noi allacciamo le cinture di sicurezza.
manu 62
00domenica 23 maggio 2010 06:30
ma io ti adoro!i capitoli sfornati cosi',uno dopo l'altro!sempre piu' avvincente!
marty.jackson
00domenica 23 maggio 2010 11:24
bravissima bellissimi questi due capitoli!!
(angel66)
00domenica 23 maggio 2010 11:44
bellissimi i capitoli, tutti belli grazie
malabi
00domenica 23 maggio 2010 20:59
grazie a tutte per i complimenti.

Ecco qualche altro capitolo sperando che vi piaccia.


PARTE SECONDA (Il Secondo Incontro)

3° Capitolo.

Finalmente l'aereo è atterrato. Mio padre che è un po' claudicante mi dice di aspettare che sfollino tutti i passeggeri, così può scendere la scaletta senza avere gente dietro e, io entro nuovamente in fibrillazione perché ho paura di incontrare nuovamente Michael, e forse vedendomi con mio padre, che come ho già detto non passa di certo inosservato, possa davvero riconoscermi, visto che comunque, la sera in cui ci siamo conosciuti a Roma ci aveva scambiato anche due parole.

Comunque aspetto pazientemente e quando vedo che l'ultimo passeggero sta per scendere, dico a papà che ora possiamo andare anche noi, e ci avviamo verso l'uscita.

Resto alle spalle di mio padre che affronta un gradino per volta per scendere e mentre mi trovo sul terzo gradino sento delle voci dietro di me. Non mi giro dato che so con sicurezza che quello è Michael con tutti gli altri suoi accompagnatori che stanno scendendo anche loro e, ovviamente papà, sentendo le voci si gira e mi guarda interrogativamente come per dirmi:

“Ma non erano usciti tutti?"

Gli faccio un gesto di rassegnazione e gli dico di non preoccuparsi.
Sento un brusio dietro di me, allora mi giro e alla guardia del corpo che sta più vicina a me, dico di avere pazienza poiché mio padre ha difficoltà nello scendere le scale, lui mi sorride e mi dice che non c'è nessun problema, poi ripete quello che gli ho detto a qualcuno dietro di lui che sento che risponde con un:

“Ok. Don’t worry”.

Finalmente arriviamo a terra, ci dirigiamo verso la navetta che ci deve portare al terminal, sempre con il gruppo di Michael dietro, che immagino non salirà sullo stesso mezzo con noi, ma invece mi sbaglio, perché anche loro per uscire devono necessariamente arrivare dentro l'aeroporto.

Papà ed io restiamo in fondo, ma non proprio vicini, cosicchè quando il gruppo sale, qualcun'altro passeggero si piazza tra me e lui.

Mi ritrovo quindi vicinissima alle guardie del corpo che praticamente circondano Michael e la sua famiglia, nascondendoli dalla vista degli altri.

Ad un tratto però mio padre mi chiama per dirmi qualcosa ed io ancora una volta mi faccio prendere dall'angoscia e spero con tutta me stessa, che Michael non abbia sentito il mio nome, poiché altrimenti i suoi sospetti, troverebbero una certezza.
Mi consola tuttavia pensare che tanto quando saremo al terminal, sicuramente imboccheremo delle uscite diverse, perché noi venendo dall'Italia dobbiamo passare la dogana, mentre lui no.

All'arrivo scendiamo tutti e, papà che vorrebbe uscire per ultimo, si trova invece a dover scendere prima del gruppo di Michael, visto che una delle body-guards gli fa cenno con la mano di passare e a quel punto scende prima di loro. Ci dirigiamo quindi verso una porta a vetri e fatti pochi passi ci ritroviamo sopra un lungo tapis-roulant.

Mi giro per vedere se papà è dietro di me e mi accorgo che invece è rimasto un po' distanziato, faccio passare quindi le persone che sono tra me e lui, davanti.

Dietro di noi torreggiano le guardie di Michael, ma lui non riesco a vederlo pur essendo solo a pochi centimetri di distanza, penso, tuttavia, che sia meglio così.
No, anzi dopo tre secondi, comincio a darmi dell’idiota per non avergli detto che invece sono io quella persona che lui ricordava e per la rabbia mi vengono le lacrime agli occhi e mentre arriviamo alla fine del tapis comincio a frugare nella borsa per cercare un fazzoletto di carta.

Scesa dal nastro, mi fermo per cercare bene in quella che, per la maggior parte delle donne, è un ricettacolo di qualsiasi cosa, utile (pochissima) ed inutile (tantissima) e, mentre mio padre si dirige all'uscita dei voli internazionali, il gruppo di Michael si dirige verso un'altra vetrata a destra.

Mentre sto tirando fuori il fazzoletto per asciugarmi quelle lacrime furtive, Michael, mi passa talmente accanto che quasi mi sfiora, io lo guardo imbarazzata ma lui non mi guarda, o meglio non so se mi stia guardando, perché con quei sempiterni occhiali da sole non riesco a vedergli gli occhi, ma ciò nonostante mi sembra che mi saluti chiamandomi per nome.

Sentendomi avvampare il viso per l'imbarazzo, mi dirigo subito verso la mia uscita dove mi sta aspettando mio padre, infilo anch'io gli occhiali da sole, tanto a LA c’è ancora luce e, ci incamminiamo entrambi verso il nastro trasportatore delle valigie, recuperate le quali, finalmente passiamo la dogana.

Mentre sono in fila aspettando il mio turno per il controllo dei passaporti, ripenso a quello che era appena successo, dicendo a me stessa che probabilmente sono stata vittima di un'allucinazione auditiva, perché Michael, passandomi vicino, mi aveva solo salutata, ma io, che invece mi ritrovo con una coda di paglia lunga un chilometro, per essermi comportata come una perfetta idiota, ho creduto che mi chiamasse per nome.

Comunque ormai è inutile pensarci poiché, il treno è passato, ed io per la mia idiozia, non l'ho preso.

Finite poi tutte le formalità, abbastanza lunghe, ci avviamo finalmente all'uscita degli arrivi internazionali, dove ci stanno attendendo gli amici Americani di mio padre e, infatti, non appena siamo fuori, sento qualcuno che a gran voce chiama papà e vedo due uomini che si sbracciano a salutarlo.

Ci avviciniamo senz’altro verso i due, che a turno ci salutano molto calorosamente, mentre i suoi amici, parlando uno slang americano che io capisco a malapena, mi fanno molti complimenti, mio padre traduce il tutto, non dimenticandosi di aggiungere, che lui era sicuro che avrei fatto una bellissima figura.
Sorrido e ringrazio nel mio inglese piuttosto incerto, anche se di sicuro migliorato, grazie alla frequentazione di qualche corso rapido, rispetto a quello che parlavo, o per meglio dire, balbettavo nel periodo in cui avevo incontrato MJ la prima volta.

Finiti i saluti, mio padre chiede come mai il terzo amico, non sia là con loro, ma l'organizzatore, quello bravissimo, che si chiama Ted, spiega a mio padre che ci sta aspettando nel suo ufficio, dato che doveva incontrare una persona molto importante, che il produttore, voleva farci assolutamente conoscere. Alla domanda di mio padre sul chi fosse questa persona, il suo amico, senza svelarci nulla, aggiunge:

“Non potrete mai immaginare chi vuole farvi conoscere………..”

Tra di me penso:

“E chi sarà mai sto personaggio così importante, tanto da non poterlo nemmeno mai immaginare, il Presidente degli Stati Uniti?”

Prima però che Ted possa aggiungere altro, dico a mio padre che prima vorrei passare in albergo per potermi almeno fare una doccia e cambiarmi, dopo tutte quelle ore di viaggio e, lui mi risponde che ovviamente faremo una sosta in hotel, ma che abbiamo appena 30, al massimo 40 minuti per sistemarci, dato che il produttore ci aspetta nel suo ufficio, per poi andare a cena da lui.

Visto che, il tempo per prepararmi è del tutto esiguo e, visto che, io odio fare le cose di corsa, non posso fare a meno di replicare:

“Capirai, cominciamo bene!”

Mio padre non osa ribattere nulla, cosicchè usciamo dall'aeroporto e ci avviamo verso una limousine nera con tanto di autista, messa a disposizione dal tizio che ci stava aspettando nel suo ufficio.

Una volta seduta nell’auto, cerco di scacciare tutti i pensieri negativi, guardando fuori per cercare di gustarmi il paesaggio, tuttavia ciò che vedo sono solo ed esclusivamente automobili che percorrono insieme a noi un’enorme autostrada ed ho come la sensazione di essere stata catapultata in un altro mondo.

Dopo circa 40 minuti di tragitto arriviamo in un quartiere elegantissimo, larghe strade, palme gigantesche, grattacieli con all'entrata portieri in livrea e bellissimi alberghi.

Appena giunti davanti al nostro hotel, subito qualcuno ci viene ad aprire la portiera della limousine e, due inservienti prendono le nostre valigie, veniamo accolti poi, all’interno, da una serie di saluti e sorrisi, come se fossimo chissà chi.

Sono senza parole, guardo mio padre allibita, ma lui mi dice che lì fanno le cose sempre in grande e, che il nostro produttore se lo può permettere.

Saliamo finalmente nelle nostre camere e, non appena metto piede nella mia, il mio stupore si trasforma in meraviglia.
Non sono in una semplice camera, ma in una vera e propria Suite, con tanto di salotto, sala da pranzo, camera da letto e un bagno che non avrei mai immaginato nemmeno nei miei più rosei sogni.

La mia ammirazione viene tuttavia distolta dal pensiero che ho solo mezz'ora di tempo per prepararmi.
Con l'affanno riesco a essere quasi pronta, quando mio padre mi bussa alla porta per dirmi che mi aspetta nella hall dell'hotel.

Non sapendo dove si svolgerà la cena, ho indossato un abito elegante ma sobrio, di velluto di seta nero , corto leggermente sopra al ginocchio, con una scollatura dritta che lascia scoperte le spalle e con un ampio collo a revers che segue la scollatura medesima, maniche fino al gomito, calze velatissime e scarpe nere con cinturino impreziosito da strass, tacco 5 cm., e pochette nera.

Per dare un tocco di raffinatezza, ho raccolto i capelli in un morbido chignon ed ho lasciato sul davanti la frangia leggermente di lato. Tipo Haudry Hepburn, in Colazione da Tiffany, anche se nient’affatto a lei somigliante.

Scendo nella hall e vedo mio padre seduto con i suoi due amici ad un tavolo dove, i tre, stanno bevendo qualcosa, quando mi avvicino, Ted e l'altro amico di papà, che si chiama Andy, si alzano in piedi e con sguardi ammirati, mi dicono che sono molto elegante ed affascinante, poi finiscono di bere in fretta e ci dirigiamo tutti verso la nostra auto che sta aspettando davanti all'entrata dell'hotel.
malabi
00domenica 23 maggio 2010 21:14
PARTE SECONDA (Il Secondo Incontro)


4° Capitolo.


Il viaggio è molto breve, la limousine si ferma davanti ad un altro grattacielo, scendiamo prendiamo uno dei tanti ascensori e saliamo fino ad un piano altissimo.

L'ascensore si apre e noi ci ritroviamo direttamente in una bella sala d'attesa arredata molto riccamente. Un'impeccabile segretaria appena ci vede alza il microfono di un interfono e annuncia il nostro arrivo.

Immediatamente si apre una porta ed esce un bell'uomo, classico americano, bel viso, denti perfetti, alto ed atletico, capelli castano chiaro, occhi azzurro intenso.

Penso subito che è davvero un gran bel tipo e, cercando di attribuirgli un'età, mi decido per i 45, massimo 50 anni.

Il bell’uomo ci fa un bellissimo sorriso e si dirige verso di noi esclamando:

"Eccovi qui finalmente!”

Ted presenta per prima me e, lui molto garbatamente, mi fa un leggero baciamano, poi mentre saluta mio padre con una vigorosa stretta, si dichiara molto contento di averci lì invitandoci ad entrare nella stanza.

L'ufficio è molto ampio, con una bella scrivania di legno scuro davanti alla parete tutta a vetri, bei quadri appesi e, un comodo salotto in un angolo, illuminato solo da una lampada che emana una luce soffusa, dove sono sedute due persone, di cui riesco ad intravedere solo la sagoma, dato che ormai, la luce del giorno sta lasciando posto alle ombre notturne.

Il produttore, che si chiama Phil, ci dice che vuole presentarci due suoi carissimi amici Mr. ............. e Mr.................., ovviamente non riesco a capire bene i loro nomi, anche se di uno mi è parso di capire Jackson, ma persa come sono ad ammirare il bell'ufficio ed il panorama notturno di Los Angeles, che trovo davvero meraviglioso, non ci bado più di tanto, mai pensando che possa essere “quel Jackson”.

Comunque, per non essere sgarbata, mi faccio più vicino al salotto, dove vedo che i due uomini che prima erano seduti si sono alzati in piedi ed anzi, uno dei due, che è di spalle rispetto a me, sta abbracciando affettuosamente Ted il quale, contraccambia quell’effusione con altrettanto calore.

Cerco con gli occhi mio padre e vedo che ha una faccia strana e mi indica con lo sguardo Ted e l'amico che sta salutando.

Dapprima non capisco quello che papà vuole dirmi, ma immediatamente il velo si squarcia, perché, anche se di spalle, lo riconosco, quello che Ted sta abbracciando è Michael, sì proprio “quel Jackson”.

Mi paralizzo e sento il sangue che mi si raggela nelle vene, e penso che davvero il destino a volte ci fa degli scherzi di cattivo gusto.
Questa volta sono davvero nel panico tanto che mi sembra quasi di svenire, noto poi, che anche papà, ha una faccia con un'espressione strana che non so nemmeno definire, sicuramente sorpresa ma forse anche imbarazzata.
Non appena Ted si scioglie dall'abbraccio si rivolge a Michael e gli dice se può presentargli un suo carissimo amico italiano con la sua affascinante figlia, lui risponde che ci vuole conoscere senz'altro e si gira verso di noi.

Mentre Ted gli dice il mio nome, senza osare guardarlo in faccia, gli porgo la mano per salutarlo, che lui sfiora appena e, con aria gelida, senza accennare al benché minimo sorriso, dice:

"La signora ed io ci conosciamo già".

Ted ovviamente, non accorgendosi della tensione che si è creata tra di noi, prende questa notizia come se fosse positiva e, con tono allegro, chiede quando ci saremmo conosciuti, ma Michael, con aria distratta e senza alcuna allegria nella voce risponde che ci siamo incontrati oggi sull'aereo, tutto questo mentre io rimango sempre ad occhi bassi perché non voglio guardare la sua espressione.

Mike, comunque, rivolge immediatamente la sua attenzione verso mio padre che saluta, mi pare, un po' più calorosamente di quanto abbia fatto con me, dopodiché continua a parlare con Ted come se noi non esistessimo più.

Phil ci presenta poi l'altra persona che è con Michael, della quale non capisco nemmeno il nome e alla quale, per come mi sento in questo momento, vale a dire completamente nel pallone, a mala pena riesco a rivolgere qualche parola di circostanza; tuttavia, la nostra nuova conoscenza, forse intuendo che c'è qualcosa che non va, si mostra davvero gentile cercando di intavolare subito con me una cordiale conversazione, forse per togliermi dall'imbarazzo.

Mi chiede, infatti, come mai mi trovo a LA e gli spiego che mio padre dovrebbe concludere un affare qui e, Phil che si è seduto vicino a noi, spiega subito a Franky, questo è il nome dell'amico di Michael, che ho capito in seconda battuta, che probabilmente coprodurrà con mio padre un film che dovrebbe essere girato in parte a LA ed in parte a Roma, non omettendo di raccontarne anche la trama.

Non riesco a seguire nemmeno una piccola parte di discorso a cui, tra l'altro, si è unito anche mio padre, perché sono preda di un malessere dal quale non so come potermi liberare, per come sono andate le cose e, soprattutto dopo aver visto la reazione di Michael che con il suo atteggiamento assolutamente raggelante, mi sta facendo soffrire come non avrei mai creduto potesse di nuovo accadere.

Continuo a pensare a quello che ha detto e soprattutto a come l'ha detto, se mi avesse insultata infatti, con una parolaccia, cosa che lui non farebbe mai, mi avrebbe ferita di meno e, mentre sto seduta sul divano, guardando Michael che sta parlando in piedi con Ted e sempre di spalle a me senza mai, nemmeno una volta, essersi girato verso di noi, ho la netta sensazione che io, per lui, non esista proprio in quella stanza.
Ad un tratto Franky si rivolge a me chiedendomi se anch'io mi occupo di cinema, gli rispondo di no, ma che comunque, in qualche maniera, sono nell'ambiente poiché, tra i clienti dello studio in cui lavoro, ci sono molte persone dello spettacolo e società di produzione cinematografica.

Mi chiede poi dove alloggiamo, ed io rigiro la domanda a mio padre poiché, nel trambusto dell'arrivo, non mi sono nemmeno accorta del nome dell'albergo e, papà risponde che l'hotel è il Beverly Hills.

Franky sorride e mi dice che anche lui alloggia lì, mi stupisco perché pensavo che invece lui abitasse in città, ma mi risponde che abita a circa 200 Km. da LA, però quando si trattiene in città per lavoro, abita al Beverly Hills.

Aggiunge poi, sempre con il suo sorriso cordiale, che è una fortuna per lui, così forse potremmo incontrarci e magari cenare insieme almeno una volta e, se mi fa piacere, sarebbe contento di accompagnarmi se avessi voglia di visitare la città.

Lo ringrazio e gli dico, ma solo per non sembrare scortese, poiché la mia mente è altrove, che in base agli impegni di entrambi potremmo trovare un po' di tempo libero.

Phil, dopo un po’ di tempo passato in chiacchiere, si alza e ci annuncia che ovviamente siamo tutti suoi ospiti a casa sua per cenare insieme e, per continuare tra di noi la piacevole conversazione.
Sono del tutto convinta che Michael ovviamente non verrà ma, con mia sorpresa, si avvicina a Franky per dirgli qualcosa a bassa voce, il suo amico quindi, prende subito un cellulare per parlare per pochi secondi con qualcuno e, dopo aver attaccato, fa un cenno con la testa a Michael, come per dire che è tutto a posto.

Da perfetta imbecille, non avevo realizzato, fino a quel momento, che Franky facesse parte dello staff di Michael, pensavo che fosse soltanto un amico, ed improvvisamente mi viene anche il dubbio che al Beverly Hills abiti proprio con Michael.

Mi auguro che quello che penso non corrisponda alla realtà, perché per me, saperlo nel mio stesso albergo, sarebbe davvero una sofferenza maggiore.

Con la testa che mi sta per scoppiare, vuoi per la stanchezza, per le emozioni che si sono susseguite e per il dolore che provo nel vedere l'atteggiamento così distaccato di Michael, m'incammino insieme agli altri verso l'ascensore.
Sento che Michael è alle mie spalle riesco a percepire il suo profumo, dolce intenso, sensuale e vengo sopraffatta da una voglia irrefrenabile di girarmi e baciarlo, qui davanti a tutti, ma il pensiero della sua reazione, che potrebbe essere ancora peggiore di quella avuta nel momento della presentazione, mi fa rigettare questo insano desiderio, nei meandri più reconditi della menta e mi impongo di non pensarci assolutamente più, perché ormai con lui il capitolo è chiuso, anzi chiusissimo.

Entro, mi giro verso le porte e mi ritrovo Michael esattamente di fronte a me, sempre con quei cavolo di occhiali da sole, ovviamente non tento neppure di vedere se mi stia guardando o no, mi chiedo solo perché li porta pure di notte, non faccio però in tempo a rispondermi perché ormai siamo arrivati al piano terra e, qui scendiamo tutti.

Mentre ci dirigiamo verso l'auto che ci aspetta, mi accorgo che saliremo tutti sulla limousine di Phil. guardo mio padre con aria interrogativa che mi risponde a bassa voce che non sa perché stiamo andando con una sola auto.

Ovviamente mi fanno salire per prima, così vado ad occupare il sedile posteriore di sinistra, poi entra mio padre che si siede su quello di destra, sale Michael che si posiziona di fronte al me, poi Franky che invece mi si mette vicino. A seguire tutti gli altri

La limousine si muove lentamente ed io guardo fuori dal finestrino, ma osservo Michael con la coda dell'occhio, che nel frattempo si è finalmente tolto gli occhiali da sole e si sta aggiustando i capelli.

Per stare più comoda tiro su una gamba per accavallarla ma, tocco inavvertitamente quella di Michael, lo guardo e, con un filo di voce, chiedo scusa ma lui mi risponde, con un tono del tutto impersonale, che non è niente, poi rimane a guardarmi con un'aria, che a me, nel buio della macchina, sembra di sfida.

A questo punto, però, sorreggo lo sguardo, perché non mi va proprio più di sentirmi come un cane bastonato per tutta la serata e, non lo avrei assolutamente distolto se Franky non mi avesse chiesto
se era la prima volta che venivo negli States e che impressione mi avesse fatto
Los Angeles.
Gli rispondo che era la prima volta e che era molto presto per avere un'opinione, anche se tutto mi sembrava così enorme e, aggiungo, che noi in Italia siamo abituati a spazi molto più angusti, specialmente poi per me, che per molto tempo ho abitato a Venezia, ed anche se ora abito a Roma, per quanto grande esse sia, non può essere certo paragonata all’immensità di LA.

Franky però replica, che mi considera una privilegiata, perché ho avuto la fortuna di vivere nelle due città tra le più belle del mondo e, mentre afferma questo si rivolge a Michael per chiedergli la sua opinione.

Contrariamente alla risposta secca che mi aspettavo, lui invece comincia a parlare, dicendo che l'Italia gli piace moltissimo ed in particolare Roma, dove si era trovato benissimo e, che suo malgrado, non era riuscito a visitare tutta come avrebbe voluto, perché è una città così piena d'arte che per poter vedere tutto ci avrebbe dovuto abitare per qualche mese, cosa che non ha mai potuto fare a causa degli impegni di lavoro.

Ovviamente gli altri, sentendo che Michael sta parlando, si sono subito ammutoliti e, hanno cominciato a chiedergli le sue impressioni riguardo all'Italia e agli Italiani.

Michael risponde che, secondo lui, noi siano molto espansivi, calorosi e molto vitali, soprattutto poi era rimasto colpito dalle donne italiane, che trova in generale molto belle, sexi, passionali e molto materne con i lori figli.

Specifica, inoltre, che visitando le città italiane, aveva notato che le donne che camminavano per la strada erano quasi tutte molto ben vestite, non erano affatto trasandate come invece gli era capitato di vedere in tanti altri paesi, America compresa.

A quel punto Phil interviene e, indicandomi, dice che quella sera, tra di loro, c'era un bellissimo esempio di donna italiana, bella, elegante e di classe.

Tutti tranne mio padre, per ovvi motivi e, Michael per motivi non altrettanto ovvi, almeno per altri, approvano quello che Phil aveva appena detto su di me.

Non so più dove guardare per l'imbarazzo e spero che a casa di Phil ci sia qualche altra donna che partecipi alla cena. Comunque ringrazio per i complimenti che trovo però esagerati e guardo Michael come per cercare un po' d'aiuto e lui forse capendo il mio disagio, accenna ad un mezzo sorriso, che io ricambio.

In quel preciso istante l'auto entra in un imponente cancello e dopo aver percorso un lungo viale si ferma davanti ad una villa enorme, stile neo-classico, però di recente costruzione, che personalmente non avrei mai acquistato per viverci, ma gli americani vanno pazzi per queste cose.

L'autista ci apre la portiera e, dopo essere tutti scesi, seguendo il padrone di casa, cominciamo a salire le scale della villa.
BEAT IT 81
00domenica 23 maggio 2010 21:29
Malabi ho letto ora i 2 capitoli nuovi....Bellissimi!!!!!! Ma cavolo, lei poteva rivelarsi, così si è solo incasinata la vita. Nn vedo l'ora di leggere il seguito. Baci !!!!

Ops....hai postato altri 2 capitoli !!!! Volo a leggere!!!!

Oddio, voglio sapere come va la cena!!!!! Sono troppo curiosa.....Lo sapevo io che facendo come ha fatto sull'aereo si giocava Michael, speriamo che riescano a chiarirsi....
malabi
00domenica 23 maggio 2010 21:35
Re:
BEAT IT 81, 23/05/2010 21.29:

Malabi ho letto ora i 2 capitoli nuovi....Bellissimi!!!!!! Ma cavolo, lei poteva rivelarsi, così si è solo incasinata la vita. Nn vedo l'ora di leggere il seguito. Baci !!!!

Ops....hai postato altri 2 capitoli !!!! Volo a leggere!!!!




Cara Beat It 81, ma non ci sarebbe più "suspense". Vedrai che questo racconto è pieno di colpi di scena. Con Michael niente è facile e scontato.

Comunque grazie, vedo che sei una mia lettrice affezionata.
BEAT IT 81
00domenica 23 maggio 2010 21:49
Re: Re:
malabi, 23/05/2010 21.35:




Cara Beat It 81, ma non ci sarebbe più "suspense". Vedrai che questo racconto è pieno di colpi di scena. Con Michael niente è facile e scontato.

Comunque grazie, vedo che sei una mia lettrice affezionata.




Assolutamente sì, la tua storia mi ha completamente catturata...Brava!!!!!!!
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