"Lifes' Fragments - When Everything Change". Terminata: 8 capitoli (brevi racconti). Rating: arancione

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Pagine: [1], 2, 3
MichaelInTheHeart
00giovedì 12 novembre 2009 17:09
La mia fan fiction su Michael...
Beh, visto che tutti postano qualche loro ff su Mike, e ho da poco scoperto di avere manie di grandezza (XD) anch'io voglio postare qui la mia ficcy, pubblicata già sul sito EFP...
E' una raccolta, quindi ogni capitolo sarà un racconto diverso; al momento mancano gli ultimi due, in fase di scrittura...
aggiornerò una volta a settimana, in modo da avere tempo per ultimare entrambi... ed ora... ENJOY THE FIRST CHAPTER!! [SM=g27822]

1. 2 BAD

Told me that you're doin' wrong
Word out shockin' all alone
Cryin' wolf ain't like a man
Throwin' rocks to hide your hand

You ain't done enough for me
You ain't enough for me
You are disgustin' me
(Yeah, yeah)
You're aiming just for me
You are disgustin' me
Just want your cut from me
But too bad, too bad


Mi ero svegliata alle sette quella mattina, talmente tanta era l’ansia. Era il mio primo provino; in diciannove anni non ero mai stata così agitata: il cuore stava per uscirmi dal petto e dovevo più volte prendere una boccata d’aria, o avrei rischiato di svenire dinanzi alla giuria… Rabbrividii al pensiero. Non potevo neanche contare sull’appoggio di qualcuno, perché – ovviamente – nessuno della mia famiglia sapeva che mi trovassi qui.
Ai miei genitori non faceva molto piacere la mia innata passione per la danza (avevo scoperto questa mia “vocazione” alle elementari, e mi esercitavo quasi ogni giorno nel garage di casa mia per non farmi scoprire)… in verità non era proprio il ballo a dare loro fastidio, quanto il fatto che io imitassi il mio idolo: Michael Jackson. Vivevo in una famiglia di bianchi, ma lo stesso i miei non vedevano di buon occhio il fatto che un uomo abbia cambiato colore della pelle così improvvisamente. Inutile spiegare loro che era a causa di una malattia, e che a lui non faceva di certo piacere vedersi mutato in così poco tempo… avevano i loro pregiudizi e quando una cosa era tale, non c’era nulla che avrebbe fatto cambiare loro idea, neanche se il Signore in persona fosse sceso dal cielo nella nostra cucina in un trionfo di luce e accompagnato da cori angelici che innalzavano un Alleluia per questa sua venuta. Immaginavo già la reazione di quell’ignorante di Stephan (non lo chiamavo mai papà da un periodo di tempo piuttosto lungo): -Ma guarda un po’ cosa è in grado di fare la tecnologia…-.
Per evitare quindi una punizione, avevo accuratamente evitato di dire loro del provino… anche perché si trattava di quello che mi avrebbe permesso di accompagnare Michael Jackson in uno dei suoi tanti tour in giro per il mondo.
La versione ufficiale era che io mi trovavo a casa della mia migliore amica Helen, magari per condividere qualche smalto o per fare una passeggiata (Helen mi copriva sempre in questi casi – il mio angelo custode – e aveva raccontato ai suoi genitori che avremmo passato un lungo, lungo pomeriggio di studio nella biblioteca…). Purtroppo, c’era un piccolo inconveniente: differentemente da me, che ero figlia unica, Helen aveva una sorella più piccola – Rose – dotata di un’astuzia inversamente proporzionale alla sua altezza. Il soldo di cacio – così la chiamavamo io ed Helen – aveva ricattato la sorella dicendole che non avrebbe spifferato ai suoi genitori quello che stavamo combinando se Helen le avesse dato dei soldi. La piccola Rose esigeva 50 bigliettoni e una manicure tre volte a settimana se avessimo voluto comprarci il suo silenzio. Non potevamo rischiare di farci scoprire, ma non avevamo neanche la minima intenzione di dare tutti quei soldi ad una ragazzina di 13 anni. Helen riuscì a convincerla che aveva speso tutti i suoi risparmi comprando la splendida borsa di Gucci che le aveva regalato a Natale, e la somma da sganciare scese magicamente a 25 dollari, utili per una manicure decente.
Helen sei grande!, pensai.
Mi divertivo ogni volta che davamo vita a quelle nostre scorribande, ma in fondo ci soffrivo. Ormai avevo perso ogni speranza di chiarimento con i miei genitori, sebbene mi avrebbe fatto enormemente piacere vedere che almeno per un giorno non mi guardavano come se fossi una malata mentale tutte le volte che muovevo la testa a ritmo se sentivo una canzone. Capii che i miei sedicenti mamma e papà possedevano un’intelligenza un po’ scarsa, nonché una concezione della famiglia e dei giovani ferma a quarant’anni prima. Una volta provai a parlare con loro e capire il perché del loro comportamento. Ricordo ancora quando entrai decisa e orgogliosa nel salotto dove mia madre era impegnata a lucidare i mobili (sì, alle nove di sera: è la sua fissazione e la sua maledizione) e mio padre a guardare un programma idiota in TV. Nessuno di loro due si accorse di me. Mi schiarii la gola per attirare l’attenzione, ed ebbi solo occhiate annoiate.
Cominciamo bene…, pensai.
Mi feci coraggio e presi fiato. Fui bloccata subito da un’imprecazione di mio padre.
-Porca vacca, vuoi tirare bene quella cazzo di palla??-.
-Oh, Stephan, non fare così! I vicini si scandalizzeranno!-, disse mia madre voltandosi verso di lui lentamente.
-Ma chi se ne fotte dei vicini? Che vadano a quel paese anche loro! Bastardi…-.
Io rimasi spiazzata. Cioè, nessuno dei due si era accorto del fatto che io stessi parlando? Sentii montare la rabbia.
Calma, Wendy, non avere reazioni sconsiderate…,pensavo tra me e me per calmarmi.
Quando fui sicura che i miei nervi erano sotto controllo, tentai nuovamente di attirare la loro attenzione.
-Lucy, chiudi quella maledetta porta che mi arriva l’aria addosso, merda!-.
-Subito, caro-, rispose mia madre affrettandosi ad obbedire. Pur di passare – io stavo ancora impalata davanti alla porta – mi stava quasi per venire addosso e mi diede una gomitata negli stinchi.
-Ahio!-, esclamai, ma lei non mi chiese neanche scusa, tornando al suo lavoro di lucida-mobili-come-se-fossero-monili-dal-valore-inestimabile.
No, Wendy, non mollarle uno schiaffo in piena faccia o non ti faranno uscire per tutta la settimana… e tu come farai a provare?
Presi un altro respiro e mi schiarii nuovamente la gola.
-Bene-, iniziai, -non me ne frega un cavolo se mi ascoltate o no, io parlo e voi non potete fare nulla per fermarmi. Allora, io amo il ballo – certamente più di quanto io ami voi – e vorrei capire perché non rispettate questa mia passione. So che siete ottusi, superficiali e poco intelligenti, ma davvero non mi aspettavo fino a questo punto-.
Finalmente mi degnarono di uno sguardo, anche se non si poteva dire che fosse proprio amichevole.
-Quindi, se avete un minimo di coscienza, provate a chiedervi cosa avete fatto perché vostra figlia ha questa bassa concezione di voi. Se davvero ci tenete alla vostra reputazione, chiedetevi se potete fare qualcosa affinché io possa cambiare idea su di voi. Se v’importa almeno un po’ di me… allora lasciatemi ballare-.
Mi sentivo come se mi fossi appena tolta un peso di dosso. Quella sensazione però mi abbandonò appena Stephan aprì la bocca per lasciarsi scappare un sonoro e disgustoso rutto. Poi mi disse con la sua voce irritante e rivoltante: -A me non me ne frega un cazzo se tu ami il ballo, chiaro? Ci vuole fisico e grazia e tu non hai nessuno dei due. E poi quegli strani movimenti che tu chiami passi non ti faranno andare da nessuna parte: ti tireranno pomodori appena salirai sul palco. E non me ne fotte un cazzo neanche di quel che pensi di noi. Il tuo rispetto me lo ficco nel…-.
Fu come ricevere uno schiaffo in piena faccia. Quell’uomo mi disgustava talmente tanto da farmi venire il voltastomaco.
-Tu non sei mio padre-, sibilai.
-E ne sono fiero-, rispose.
-Mai quanto me-.
-Quello che mi dici non mi fa né caldo né freddo-, disse.
Ah, sì? Vediamo se sei indifferente anche a questo, stronzo.
Mi guardai attorno, conscia che la mia pazienza era ormai estinta peggio dei dinosauri.
Crash.
Il vaso greco che mia madre ricevette come regalo da sua sorella si schiantò a terra, con un fracasso che fece sobbalzare Lucy e Stephan.
-Ops! Scusate, ma Michael Jackson amava molto questo passo-, dissi fingendo di scusarmi per la piroetta che aveva appena mandato in frantumi il vaso.
-Tu! Brutta…-, esclamò Stephan, ma non finì la frase che io continuai la mia imitazione rompendo oggetti appena lucidati da Lucy.
-Tu non sai nulla di fisico né di grazia!-, urlai, -e non lo saprai mai! Eppure, guarda! Con i miei passi guarda cosa sono capace di fare!-.
Causai altri guai al salotto così amato da loro, e più lo facevo, più volevo continuare.
-Questo è per avermi ruttato in faccia prima-, e diedi un calcio alla sedia di mogano davanti a me.
-Questo è per la gomitata nei fianchi che tu, puttana, mi hai dato per chiudere la porta-, e mandai in frantumi una bomboniera.
-Questo è per aver strappato il mio poster del mio Michael nella mia stanza-, urlai gettando un posacenere di ceramica dalla finestra.
-E questo-, aggiunsi, in preda ad un collasso di nervi e brandendo pericolosamente il bastone da baseball che comprò mio padre per 1000 dollari, -è PER NON AVERMI MANDATA AL CONCERTO L’ALTRO IERI!!!-.
Scaraventai il bastone contro la vetrina con il maglione firmato da Michael Jordan appeso al muro dietro di me: era il cimelio più prezioso di mio padre.
Ero preda di una folle eccitazione e la mia sete di vendetta si era finalmente placata. I miei pensieri furono bloccati da un urlo
Stephan si era alzato in piedi, il volto paonazzo.
-Vieni qui, disgraziata!-, urlò, correndo verso di me.
Mi precipitai fuori, ma non fui abbastanza veloce. Mi agguantò per i capelli e mi sbatté a terra.
Fui colpita da una sensazione di stordimento che mi fece girare la testa vertiginosamente e subito dopo sentii qualcosa di caldo che mi colava dalla fronte. Sangue. Riuscii a rendermi conto solo del fatto che Stephan aveva una cintura in mano prima di affannarmi per scappare. Inutile. Il colpo mi giunse dietro la schiena, micidiale, malefico. Non avevo mai sentito così tanto dolore in vita mia. Ero scioccata e terrorizzata, e iniziai a piangere e gridare.
-Così impari!-, urlò Stephan, mentre mi assestava altre cinghiate dietro la schiena.
Tentavo di scappare, ma il dolore mi aveva bloccato. Ardere nelle fiamme dell’inferno sarà più bello, pensai.
Continuò per un’altra mezz’ora, finché non persi sensibilità alla schiena e non fui più in grado di reggermi in piedi.
Per tutto il tempo, Lucy restò barricata nel salotto.
Quando mi svegliai, la prima cosa che vidi fu un uomo accanto al mio letto.
-Alla fine sono diventata come te…-, allungai una mano verso di lui. -Michael…-.
Chiusi gli occhi e mi riaddormentai cullandomi fra quegli occhi di cartone.
Avevo quattordici anni.

-Wendy Moira Angela Darling!-.
Sobbalzai quando sentii il mio nome provenire da un angolo recondito della mia mente. Mi ero nuovamente persa in quel ricordo sgradevole.
Diamine.
-Sono io-, esclamai alzandomi.
La donna che mi aveva chiamato aveva corti capelli neri e la carnagione scura; mi sorrise.
-Vieni, è il tuo turno-.
Annuii e presi lo zainetto, avviandomi verso la porta che conduceva ad un corridoio. Lo attraversammo per un po’, finché non ci fermammo davanti un’altra porta.
La donna la aprì e mi sentii svenire.
Di fronte c’era un tavolo lungo color marrone chiaro e dietro vi erano seduti circa sei persone, tra cui…
Mi venne un tuffo al cuore: era lui.
Aveva i capelli lunghi e ricci legati in una coda di cavallo, e indossava una camicia bianca. Mi guardò per un attimo e mi sorrise. Non potei fare a meno di arrossire.
-Prego, entra-, mi disse con la sua voce da bambino vedendo che rimasi impalata davanti la porta.
Obbedii e tentai di calmarmi.
Guardarono il mio curriculum.
-Wendy Moira Angela…-, sussurrò Michael. Poi mi guardò. -Per caso conosci Peter Pan?-, mi chiese sorridendo.
Dapprima non seppi cosa pensare, ma quando capii che era una battuta divenni rossa come un peperone e risi nervosamente.
Calma, calma, calma, calma, calma, calma!
-Bene-, disse uno dei giudici. -Quale pezzo ci mostri?-.
-2 bad-, risposi, decisa.
Fece un gesto con la mano per indicarmi che potevo proseguire e posai lo zainetto a terra. Mi misi al centro della sala.
-Quando sei pronta-, disse Michael.
Pensai ai miei genitori e a Helen. Pensai alle burle dei miei compagni quando sapevano che mi piaceva Michael Jackson. Pensai alle mie innumerevoli prove in garage.
Non puoi sbagliare. È una canzone di Michael Jackson, e ne sai il ritmo a memoria. Ti sei preparata a questo da una vita: non rovinare tutto.
Annuii e lui fece partire il pezzo.
Mi voltai dando le spalle alla giuria e improvvisai qualche piccolo passo hip-hop nel momento in cui parlavano i rappers. Quando stava per arrivare la prima strofa urlai come Michael nel video e con un mezzo giro ebbi la giuria di fronte… per il resto della canzone non rimase altro da fare che lasciarmi trasportare dalle note.

Rimase impalata davanti la porta, e mi fissava con un’espressione vacua. In quel momento capii subito che poteva farcela. Fisico da modella a parte, c’era qualcosa in quei suoi occhi così incredibilmente azzurri che mi aveva attirato fin da subito. Desideroso di sapere di più su di lei, presi il suo curriculum ed ebbi appena il tempo di leggere il suo nome che subito Wendy Moira Angela Darling mi fu simpatica.
-Conosci per caso Peter Pan?- , le chiesi con una punta d’ironia nella voce. Lei rimase per qualche secondo senza dire nulla, per poi arrossire e dare il via ad una risatina alquanto nervosa.
-Bene-, disse improvvisamente Uriah, un giudice seduto accanto a me. -Quale pezzo ci mostri?- .
Lei spostò la sua visuale da me a lui e rispose, pronta: -2 Bad-.
Probabilmente non se ne accorse, ma sorrisi.
Uriah le indicò che poteva partire, e i suoi occhi si accesero. Si vedeva che non aspettava altro. Posò il suo zainetto in un angolo e si posizionò al centro della sala.
-Quando sei pronta-, dissi, e lei iniziò a tremare. Smise dopo qualche secondo, per poi annuire. Schiacciai il pulsante PLAY e la musica partì. Nel pezzo iniziale fece qualche piccola mossa hip-hop, e a pochi secondi dall’inizio della prima strofa gridò proprio come facevo io. Mi vennero i brividi: i miei stessi passi, i miei stessi movimenti… ma visti in un’altra persona. Era fenomenale! Se non fosse stato un provino mi sarei catapultato anch’io sulla pista da ballo per danzare con lei. Non ci fu alcun dubbio: era quello che cercavo. Fosse per me non avrebbe neanche continuato il resto della prova – ovvero delle sfide contro gli altri ballerini – : già la vedevo sul palco che ballava le mie canzoni ripetendo i miei stessi passi…
Sì, Wendy Moira Angela Darling sarebbe diventata parte del mio cast.

-Basta così-.
Una voce mi bloccò proprio nel bel mezzo della mia performance.
La musica si stoppò improvvisamente e mi ritrovai al centro della sala. Mi sentivo come se fossi stata risvegliata di botto dopo un sogno bellissimo. La giuria mi guardava severamente. Non ebbi il coraggio di verificare l’espressione di Michael.
-Signorina Darling… in realtà quello che sto per dirle dovrebbe essere ufficiale solo tra qualche giorno, ma è meglio essere chiari fin da subito-, cominciò togliendosi gli occhiali. Lo guardai speranzosa: di solito questa frase precede una buona notizia.
-Lei non ha fatto altro che ripetere gli stessi passi del qui presente Michael Jackson durante tutta la prova. Non abbiamo bisogno di questo. Noi cerchiamo ballerini che siano in grado di affrontare nuove coreografie che non si limitano ad imitare, ma a creare nuovi movimenti-.
-Ma io credevo che il provino si basasse sulla verifica delle proprie capacità… c’era scritto sull’inserzione… e io vi ho mostrato ciò che so fare-, risposi, incredula e confusa.
-Non basta. Lei ha talento, ma non lo sfrutta a dovere. Noi cerchiami ballerini, non sosia. Ci dispiace, signorina, ma non ha passato la prova-.
Mi sentii vuota e ferita. In confronto le punizioni di mio padre non erano nulla. Ripensai ai suoi maltrattamenti e sentii la rabbia impossessarsi di me.
-Faccio questo da quando avevo 5 anni-, dissi trattenendo a stento le lacrime, -e ho dovuto esercitarmi nel minuscolo garage di casa mia, perché se mio padre veniva a sapere che ballavo di nascosto mi picchiava. Solo Dio sa quello che ho dovuto passare per arrivare fin qui, e sentirsi dire che i miei sacrifici sono stati buttati al vento non è una bella cosa-.
-Signorina Darling, ci rincresce molto la sua storia, ma se cerca in tal modo di comprarsi il provino non ha capito con chi lei stia parlando-, disse acido lo stesso giudice.
-Io non sto cercando di far pena a nessuno, se questo è quel che intende dire. Sto solo dicendo che non è facile subire una sconfitta se hai lottato tutta la vita per vincere la guerra-.
Detto ciò mi voltai, punta nell’orgoglio e col cuore a pezzi.
-Aspettate-.
Quella voce! Quante volte l’avevo ascoltata cantare? Quante volte avevo sperato di sentirla dal vivo? Il mio desiderio era stato esaudito, e mi sembrava che stessi ascoltando un coro angelico.
Mi fermai e mi girai nuovamente. Tutta la giuria aveva lo sguardo rivolto verso Michael, che, a sua volta, guardava me.
-Io credo che bisogna dare una chance alla ragazza… a Wendy. Ha buone potenzialità, ed è molto sciolta, una caratteristica propria solo dei grandi ballerini. Tecnica e grazia sono in perfetto equilibrio fra loro. E poi ha ripetuto le mie stesse movenze in modo strabiliante! Tutte le altre persone che ci provano o sono portate via di peso dalla polizia, o non ci riescono. Insomma, una rarità così non possiamo sprecarla!-, esclamò Michael.
Non so descrivere quello che sentii in quel momento. Ero così felice e così strabiliata che dissi a gran voce con un sorriso enorme stampato in faccia: -So fare persino il moonwalk-.
Gli occhi di Michael divennero di fiamma.
-Fammi vedere-.
Lo accontentai e il volto di Michael si allargò in un sorriso splendente che per poco non mi procurava un attacco cardiaco.
-Visto?-, chiese poi alla giuria con un tono stile te-l’-avevo-detto.
-Non possiamo far passare il provino ad una che non ha fatto altro che imitarla, signor Jackson-.
-Sbaglio, o forse non è questo ciò che devono fare i ballerini sul palco? E poi non spetta a me decidere se qualcuno è in grado o meno di far parte del mio cast?-, chiese con sfida lui.
Il giudice non disse nulla, e Michael continuò:-Per quanto riguarda gli altri passi, può benissimo impararli… glieli insegnerò io-, propose, e mi sentii la ragazza più felice della Terra.
I giudici non ebbero nulla da ridire, e Michael si rivolse a me con un sorriso a trentadue denti: -Signorina Darling… in realtà quello che sto per dirle dovrebbe essere ufficiale solo tra qualche giorno, ma è meglio essere chiari fin da subito. Lei ha passato la prova con gran successo. Mi complimento con lei e la informo anche del fatto che non ha alcun bisogno di presentarsi qui altre volte. Si presenti tra un mese…-.
-Aspetti! Vuole dire che solo perché ha fatto quattro volteggi e una specie di piroetta non deve affrontare gli altri livelli della prova? Adesso sta esagerando, signor Jackson!-, urlò il giudice antipatico che aveva parlato poco prima. Mi trattenei dal non lanciargli uno sguardo omicida.
-Non sto esagerando, questa ragazza deve far parte del cast o manderò a monte tutto e farò tornare a casa i ballerini che avete scelto-.
-Che abbiamo scelto, vorrà dire-, lo corresse l’antipatico.
-Io ho solo dato il mio parere, per il resto avete provveduto voi-, rispose con lo stesso tono Michael.
-Nessuno vi ha chiesto di non farlo-.
-Mi sono semplicemente limitato ad avvalorare o meno le vostre decisioni, che finora mi sono sembrate giuste e motivate. Ma non sono in grado di condividere la vostra opinione su Wendy, mi dispiace-.
-Dispiace anche a noi, signor Jackson, ma la signorina Darling qui presente deve superare anche le altre prove, o non saremmo corretti nei confronti degli altri ballerini che invece si esibiranno sul palco dopo aver sudato quattro camicie per superare ogni singola prova… e poi, se manderà a monte tutto, le ricordo che lei ci perderà, e non certo noi-.
Michael stava per ribattere quando io mi interposi fra loro – la situazione stava letteralmente degenerando – e dissi a voce alta e con un tono del tutto innocente:
-Per me va bene-.
Michael mi guardò sorpreso e deluso, e io mi spiegai: -Ho combattuto tutta la vita con le unghie e con i denti per ottenere ciò che volevo, e il più delle volte ci sono riuscita. Ringrazio il signor Jackson per avermi dato questa opportunità a dir poco allettante, ma non mi sento di accettare. Mi basta di aver passato questa prima prova, e se non riuscirò a far parte del suo cast… beh, spero che mi contatti per un altro ruolo, magari in uno dei suoi splendidi video-, aggiunsi con un sorriso che lui ricambiò dopo un attimo di incertezza. -Se poi mi ritrovassi sul palco a ballare “Black or White” o “Thriller”… beh, avrò dimostrato al mondo intero che sono capace di stare accanto al grande Michael Jackson, e che i miei passi così simili ai suoi mi hanno portato in alto-.
L’espressione di Michael passò dalla delusione alla felicità e malizia più totali. Non aveva ottenuto ciò che voleva, ma da quanto io avessi capito di lui non si sarebbe arreso così facilmente
È proprio un bambino, pensai.
L’altra prova sarebbe stata due settimane dopo. Stavo già per andarmene quando Michael mi bloccò, di nuovo. Questa volta però mi prese per un braccio e mi sussurrò all’orecchio parole che avrebbero cambiato la mia vita per sempre: -Denuncia tuo padre-.
-Cosa?-, esclamai, con la vaga impressione di non aver sentito bene.
-Io non ho potuto farlo quando ero piccolo-, mi sussurrò con un tono triste, -perché ero troppo debole. Tu invece no. Nonostante sapessi che tuo padre ti avrebbe certamente punita, lo stesso ti sei presentata qui. Devi essere abbastanza forte da compiere questo piccolo gesto. Ti assicuro che se non lo fai ora, passerai il resto della tua vita immaginando cosa saresti diventata se quel giorno avessi ascoltato il mio consiglio-.
Un groppo mi bloccò la gola e poco dopo le lacrime presero a scorrere senza che potessi fermarle.
-Non lo so…-.
-Ti prego Wendy… fallo per me-.
Lo guardai negli occhi, dritto in quelle iridi così incredibilmente nere, e desiderai perdermi in esse per dimenticare tutto…
Tirai su con il naso ed annuii.
E, senza che potessi rendermene conto, improvvisamente Michael mi abbracciò. Ricambiai la stretta, per poi staccarmi delicatamente.
-Non deludermi-, mi ordinò con un tono al contempo dolce e iussivo.
-Mai. Promesso-, risposi, conscia del fatto che quel frammento di vita trascorso fino ad allora stava per cambiare.



Alla prox settimana con il 2 capitolo... un bacione a tutti voi!!!!
Orsola^^
polly_borderline
00giovedì 12 novembre 2009 17:52
Cavolo, in questo forum stanno prendendo piede ste fan fiction eh [SM=g27828] bene, ora devo scappare ma ho messo la pagina nei preferiti e appena posso leggo anche la tua [SM=g27828] ciauuuuu
GioTanner
00giovedì 12 novembre 2009 19:33
ma tu ci credi se ti dico che ho pianto come una bambina di 3 anni?
Continua, (anche se li sto già leggendo su EFP) molto toccante il 2!
Allyss
00giovedì 12 novembre 2009 19:41
ok...una nuova...yuhuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuu

ora la leggo!!!!
MichaelInTheHeart
00giovedì 12 novembre 2009 20:09
Re:
GioTanner, 12/11/2009 19.33:

ma tu ci credi se ti dico che ho pianto come una bambina di 3 anni?
Continua, (anche se li sto già leggendo su EFP) molto toccante il 2!




Oh Dio, addirittura?? Beh, ti ringrazio!! [SM=x47987]
Uffi, però mi sento in colpa!!!! Io alla tua ff sono rimasta al 4 capitolo... [SM=g27813] Se la posti su EFP però può darsi che la leggo, e poi scommetto che ci sono tanti altri che aspettano un tuo aggiornamento [SM=g27822]
Un bacione e grazie a tutti/e!! [SM=g27828]
Allyss
00giovedì 12 novembre 2009 20:16
[SM=x47980]
come faccio ad aspettare una settimana??????

cmq...bellissima!!
marty.jackson
00giovedì 12 novembre 2009 22:08
bellissimaaaaaaaaaaaaa!!!
nooooo una settimana?????nooooooooooooo nn ce la faccio ad aspettare uff...
"Dangerous boy"
00giovedì 12 novembre 2009 22:12
mamma mia e quante fan fiction eheh
polly_borderline
00giovedì 12 novembre 2009 22:44
è BELLISSIMA!!!!!
Complimentoni davvero...scrivi benissimo e poi cmq la storia è molto interessante di per sè!!! :D
ma non ho capito bene...quinsi il prossimo capitolo parlerà di un'altra storia?
"Dangerous boy"
00giovedì 12 novembre 2009 22:49
certo ragazzi che avete una fantasia da fare invidia eheh
polly_borderline
00giovedì 12 novembre 2009 22:51
dai mettiti a scrivere anche tu Evan :D
sono sicura ke non sei da meno... (:
FaithMJfan
00venerdì 13 novembre 2009 00:12
Fantastica anche questa nuova ff..ma no,no fantastica di PIùùùùùùùù!! [SM=x47932]

Cioè,l'hai scritta così bene che mi è sembrato di leggere il copione di un film..anche il titolo.. [SM=x47932] Bravissima!!!!!!! [SM=x47932]

Ma adesso qualcuno mi crederà se dico che sto davero tentando di scrivere una fanfiction anch'io? Solo che è un casino..e cmq mi vergognerei un pò a pubblicarla perchè non penso di essere all'altezza vostra in fatto di scrivere.. [SM=g27819] siete troppo brave caspita! [SM=g27818]

Cmq ci sto pensando..
MichaelInTheHeart
00venerdì 13 novembre 2009 13:39
Re:
polly_borderline, 12/11/2009 22.44:

è BELLISSIMA!!!!!
Complimentoni davvero...scrivi benissimo e poi cmq la storia è molto interessante di per sè!!! :D
ma non ho capito bene...quinsi il prossimo capitolo parlerà di un'altra storia?



Grazie mille!! Eh, sì, il prossimo capitolo sarà un'altra storia... e vi anticipo anche il titolo: "Leave me alone"...
Grazie ancora a tutti voi!!!
Eh, sì, Evan, abbiamo una fantasia... sai com'è, Michael è la nostra fonte d'ispirazione... [SM=g27822]
Un bacione a tutti e grazie mille!!!
Orsola^^

Micheal'sNewFan
00venerdì 13 novembre 2009 18:16
MichaelInTheHeart oddio, ci credi che mi hai fatta commuovere?! [SM=x47964]
Questa storia è bellissima...continua ti prego!
Complimenti...sei bravissima... [SM=g27821]
MichaelInTheHeart
00sabato 14 novembre 2009 00:21
Re:
Micheal'sNewFan, 13/11/2009 18.16:

MichaelInTheHeart oddio, ci credi che mi hai fatta commuovere?! [SM=x47964]
Questa storia è bellissima...continua ti prego!
Complimenti...sei bravissima... [SM=g27821]




Grazie mille, Michael'sNewFan!!!! [SM=x47987] God bless you!!!! [SM=g27824]


Micheal'sNewFan
00sabato 14 novembre 2009 14:10
Re: Re:
MichaelInTheHeart, 14/11/2009 0.21:




Grazie mille, Michael'sNewFan!!!! [SM=x47987] God bless you!!!! [SM=g27824]






[SM=g27821]
Thanks...
MichaelInTheHeart
00sabato 14 novembre 2009 16:48
Uffi, e va bene, visto che proprio non riesco a farvi attendere così tanto... ecco a voi il secondo capitolo!!! [SM=g27828]
PS: attenti: all'inizio della storia potete avere dei ripensamenti sul mio essere fan di Michael...



2.LEAVE ME ALONE

I don't care what you talkin' 'bout baby
I don't care what you say
Don't you come walkin' beggin' back mama
I don't care anyway
Time after time I gave you all of my money
No excuses to make
Ain't no mountain that I can't climb baby
All is going my way
('Cause there's a time when you're right)
(And you know you must fight)
Who's laughing baby, don't you know?
(And there's the choice that we make)
(And this choice you will take)
Who's laughin' baby?





RE DEL POP O MANIACO SESSUALE?
I FANS: “NON LO RICONOSCIAMO PIÙ”



“Lasciatemi stare”, diceva il grande Re. “Non m’importa di cosa voi stiate parlando, perché non vi amo”. Chi, almeno una volta nella sua vita, non ha ascoltato “Leave me alone” di Michael Jackson? Allora avrete certamente riconosciuto questa strofa. Perché ormai tutti, e ripeto, tutti, lo conoscono. Perché è il Re, perché sa ballare, perché ha una bella voce. Certo. E poi? Sapete perché molti hanno ben presente il nome “Michael Joseph Jackson”? No? Allora vi do qualche indizio: chi ha cambiato colore della pelle? Chi ha praticato sesso orale con i bambini invitati nel suo ranch? Chi ha speso milioni di dollari per poi scoprire di essere indebitato fino al collo? A chi è sfuggito il naso durante un live? Chi si chiude in una camera iperbarica per non far trasparire la pelle raggrinzita e le rughe? Ecco, ora avete capito chi è veramente Michael Jackson. Perché, diciamocelo, l’era in cui il monarca ballava con gli zombie è ormai lontana. Lì sì che faceva paura con quei non-morti che gli volteggiavano attorno. Adesso invece l’unico nostro timore è ritrovarcelo nel letto dei nostri figli, mentre magari combina qualcosa descritto molto bene nella canzone “In the closet”. Più alto è il piedistallo più rovinosa è la caduta. E il nostro Michael lo sa bene. Sembra infatti che neppure i fans credano totalmente alla sua innocenza – e dovevano aspettare alla seconda denuncia per pedofilia –, a tal punto che nei sacchi della spazzatura sono stati trovati CD del cantante e una targa con su scritto “WE LOVE MJ”. Proprio per tale motivo la popstar ha deciso di concedersi un lungo periodo di vacanza invece di continuare il suo “Dangerous Tour”. Non si sa quanto tempo si dia di tregua, ma molti sono fermamente convinti che Michael Jackson non tornerà troppo presto sulla scena musicale. Forse vorrà trovare altri bambini con cui giocare a mamma e papà, o forse avrà in programma di riscattarsi da queste accuse non infondate con qualche nuovo pezzo mirante a provare la sua innocenza? Tutto inutile. Ormai la pedina finale di Jacko si è infangata, e nemmeno l’assoluzione dalla colpevolezza può purificarla. È la fine del Re del Pop; il mito è tramontato per colpa di un bambino.
SUSIE K. RIGHT

Il bar era affollato come sempre mentre leggevo il mio articolo di giornale. Era venuto molto bene, tutto quello che dovevo dire l’avevo reso pubblico. Era finalmente ora che tutti sapessero. Nessuno escluso, compresi i fan, quegli stupidi esseri che ritenevano una persona innocente o colpevole quando nemmeno l’avevano mai conosciuta.
Sorseggiai il mio caffé e ripiegai il giornale; se non mi sbrigavo rischiavo di far tardi al lavoro… e chi lo sentiva al boss…
Quel giorno c’era un importante evento alla Casa Bianca, ed ero stata scelta fra i miei molti colleghi per documentare il tutto. Il capo considerava molto le mie capacità, a tal punto da affibbiarmi gli articoli più importanti. Lui sosteneva che la buona stampa doveva essere perseverata, ma sapevo che di me non gli interessava la penna, quanto la disponibilità. Thomas J. Hunter non era famoso solo per il suo essere il direttore di uno dei più grandi giornali d’America, ma anche per aver “distratto” centinaia di nubili, single, divorziate e sposate – di cui le ultime sono le sue prede preferite.
Non ero ancora entrata nella lunga lista delle sue conquiste, e dubitavo fermamente di farne parte un giorno. Amici certo, ma il rispetto viene prima di tutto, soprattutto nei confronti di una propria dipendente.
Salii nel taxi che mi avrebbe accompagnato all’aeroporto, dove avrei preso un volo per Washington; lì avrei soggiornato in un albergo in cui veniva ospitata la stampa durante queste convention. Avevo portato con me solo un piccolo trolley con una miserrima quantità di vestiti dentro: ciò di cui avevo davvero bisogno era un taccuino per gli appunti, una penna e un registratore, che in quel momento si trovavano nella mia borsa, accanto a me.
-Dove la porto?-, chiese il tassista, un uomo abbastanza corpulento sulla cinquantina.
- All’aeroporto, grazie-, risposi.
Presi lo specchietto dalla borsa per verificare se i capelli erano in ordine. Dopo essermi accertata che il mio cuoio capelluto si trovava in condizioni abbastanza presentabili, presi il volantino-guida arrivatomi il giorno prima direttamente in redazione, su cui c’era scritto tutto quello che i giornalisti che arrivavano alla Casa Bianca dovevano sapere sull’argomento; ero appena arrivata a metà del secondo rigo, quando il tassista mise una cassetta nella radio. Feci una smorfia quando la canzone partì.
-Michael Jackson?!-.
-“Billie Jean”, per la precisione. La conosce?-, mi chiese.
Annuii tentando di fermare i conati di vomito. Il tassista parve non accorgersene perché picchiettò le dita sul volante e continuò: -Anche se lei è giovane, non mi stupisco se dice di averla già ascoltata: questa canzone ha scritto la storia della musica. Ricordo che io e mia moglie la ballavamo sempre…-, si perse per un attimo fra i ricordi. -Sarà il ritmo, ma “Billie Jean” riesce sempre a trascinarmi. Eppure non sono neanche un bravo ballerino… Qualcosa non va?-, chiese, notando la mia espressione disgustata.
-Sì, mi da fastidio la canzone. Può chiudere, per favore?-.
Il tassista mi guardò per un attimo dallo specchietto retrovisore, per poi spegnere la radio.
Continuai a leggere.
-Le da fastidio ascoltare musica mentre legge, o è la canzone proprio?-.
-Credo che dalla precedente risposta abbia già capito da sé…-, guardai il suo nome sul cruscotto.
-… signor Heatherby-, aggiunsi.
Lui rimase in silenzio, e io ne approfittai per continuare a leggere il volantino.
-Non le piace Michael Jackson?-, chiese il tassista con un filo di voce.
-Diciamo che non gli do tanta importanza. Ma se fossi nei suoi panni, non farei altre domande-, risposi con tono neutro, faticando a restare calma. Le note di quella maledetta canzone mi erano entrate in testa, rendendomi acida come tutte le volte che vedevo quell’orrenda faccia di un cantante da quattro soldi.
-Perché?-.
-Di quale dei miei tanti affronti volete sapere il motivo?-, domandai con un pizzico di sfida nella voce.
-Perché avete scritto quell’articolo stamattina, signorina Right?-, ebbi un sussulto e i miei occhi incrociarono quelli tenebrosi e profondi del tassista, fermi all’altezza del mio petto, lì dove c’era un tesserino con sopra scritto il mio nome e quello del giornale per cui lavoravo.
Solo allora mi accorsi le iridi, la pupilla e la pelle avevano lo stesso colore: era nero. O meglio caffelatte. Proprio come me.
-Perché è la verità-, risposi con un sospiro.
-Oh, certo. Giuri che ha ragione, perché se è così io sono Stevie Wonder-, disse con tono sarcastico.
E a quel punto scoppiai.
-È la gente come lei che mi ha fatto odiare Michael Jackson: lo venerate come se fosse un Dio! Ogni volta che fa quella specie di movimento con i piedi o mette la mano sul pube tutti lì ad idolatrarlo! Nessuno si rende conto del fatto che sembrate ridicoli?-.
-Io non ci trovo nulla di male ad andare al concerto del proprio idolo o tentare di imitarlo-, rispose lui, senza un accenno di emozione.
-Bene, allora non dovrò stupirmi se un giorno vedrò uno vestito con mocassini, calzini di pailettes e in testa un cappello che violenta un bambino per strada e dice: “Guardatemi sto imitando il mio idolo!”-.
-È la gente come voi che sta rovinando la fedina penale di una brava persona come Michael Jackson-, rispose, ora visibilmente arrabbiato.
-Essere accusato di pedofilia per la seconda volta dovrà pur significare qualcosa…-.
-Oh, andiamo, chi vuole che creda a queste cose?-.
-TUTTI!-, urlai io improvvisamente, facendo sussultare il tassista. –Altrimenti, perché si sarebbero messe in giro tali dicerie?-.
-Soldi. Gelosia. Cinismo. Le dicono niente queste parole?-, rispose, con un pizzico di malizia.
-Quindi secondo lei coloro che lo hanno accusato lo hanno fatto solo per spillargli soldi?-, chiesi, dubbiosa.
-Certo. Logico, no?-.
-No-, risposi. –Che cosa dovrebbe esserci di logico in tutto ciò? Insomma, accusare qualcuno di un crimine così grave solo per mandarlo in bancarotta… è esagerato secondo me-.
-No invece, signorina. È la vita-, rispose con un tono da saggi.
Sbuffai.
La vita. Ma per piacere…, pensai.
-Ma come fa a dire che è colpevole?-, chiese lui, senza arrendersi.
-E lei come fa a dire che è innocente?-, risposi imitandolo.
Stette un attimo a pensare.
-Una ragazzina potrebbe risponderle che lo legge nei suoi occhi. Ma sono del parere che un uomo con due figli che ha scritto una canzone bella come “Heal the world”, e che si è attivato per rendere questa catapecchia di mondo un posto migliore, non può semplicemente essere un maniaco sessuale-.
-Belle parole, ma molte lacune. Innanzitutto: Michael Jackson – questo lo ammetto – è un ottimo attore. Può aver finto anche mentre cantava o mentre ospitava i malati terminali nel suo ranch, o mentre faceva il bambino-.
-Anche il suo discorso ha dei punti deboli-.
-Davvero?-, risposi scettica. –Non credo proprio-.
-Oh, sì, invece. Come è strano tutto l’amore che si prova verso Michael Jackson, così anche il suo odio è immotivato. Chiunque ascoltando le sue parole l’avrebbe mandata a quel paese. Ma siccome io sono una brava persona, non mi tolgo questo sfizio-.
Mi aveva spenta. Non sapevo come controbattere. Aprii bocca, poi la rinchiusi. Niente. Non trovavo nulla da dire.
-Beh, visto che nessuno dei due dice nulla… almeno ascoltiamo della buona musica-. Detto questo accese la radio.
-Ascolti questa prima di giudicare qualcuno che non conosce-, mi disse, e schiacciò il pulsante play.

Hai mai visto la mia infanzia?
Sto ancora cercando il mondo da cui provengo
Perché mi sono guardato attorno
Tra la perdita e il ritrovamento del mio cuore…
Nessuno mi capisce
Mi vedono come un’anomala eccentricità
Perché continuo a scherzare
Come un bambino, ma perdonatemi…
Le persone dicono che non sto bene
Perché amo le cose elementari
È stata la mia sorte per compensare l’infanzia
Che non ho mai avuto…
[…]

Era “Childhood”.
Tentai di fare l’indifferente, ma mi si bloccò il respiro. L’avevo ascoltata già qualche tempo prima, eppure mai quelle parole mi arrivarono al cuore come durante quella maledetta e benedetta giornata in un taxi decrepito.

Quelle parole d’inchiostro sembravano risucchiarmi. Non riuscivo a capire perché mi sentissi così male: d’altronde, non era la prima volta che scrivevano una cosa del genere. Avrei dovuto abituarmi, prima o poi. Eppure qualcosa era diverso. Lo sentivo già quando lessi il titolo, e man mano che proseguivo il respiro si faceva sempre più affannato. Poi, il colpo di grazia. Ecco perché quelle reazioni sconsiderate per un articolo che non meritava nemmeno di essere letto. I miei occhi caddero sul nome dell’autrice di cotanta falsità. E mi sentii mancare.
Corsi di filato nello studio, dove presi il telefono. Il centralino mi rispose dopo due squilli, che mi parvero venti.
-Posso aiutarla?-.
-Sì-, risposi con veemenza. -Mi può dare il numero della direzione del “Real Magazine”?-.
Mi fece attendere qualche minuto, trascorsi a picchiettare le dita sul banco e lanciare sguardi sempre più frequenti all’orologio. Quando la signorina riprese la telefonata dovetti sforzarmi di non chiederle perché ci avesse messo così tanto tempo. Mi dettò il numero e biascicai un “grazie” per non sembrare maleducato.
Attaccai e composi le dieci cifre. Cinque squilli, e dall’altro capo del filo mi rispose una voce femminile.
-Pronto, qui è la redazione di “Real Magazine”-.
-Salve, vorrei parlare con il direttore del giornale-.
-Chi lo desidera?-.
Rimasi un secondo in silenzio, indeciso se rivelarmi o no. Presi la decisione che in quel momento mi sembrava migliore.
-Sono Michael Jackson-. La verità. Sempre ottima alleata.
Silenzio. Poi una forte risata.
-Certo! Lei è Michael Jackson! E io sono Lady Diana!-.
Sospirai.
-Può passarmi il direttore, per favore?-.
-Oh, sì. Subito!-, esclamò, continuando a ridere. –Rimanga in linea-.
La sentii mormorare: -Michael Jackson… come no…-, prima che la sua voce venisse sostituita da una musichetta che mi mandò sui nervi.
Ancora.
Dovevo aspettare ancora.
Quella volta restai attaccato alla cornetta del telefono per ben mezz’ora prima che mi decidessi ad attaccare.
Stupido giornale, pensai, mentre ricomponevo il numero.
Dalla voce capii che mi rispose un’altra segretaria: evidentemente quella di prima era fuggita per continuare a ridere. Davvero era così ironico il fatto che io telefonassi alla direzione di un tabloid? La risposta arrivò da sola, e feci una smorfia.
-Sono James Keith-, improvvisai, -presidente di un’agenzia pubblicitaria. Mi chiedevo se era possibile parlare con il direttore del vostro giornale riguardo una questione di estrema urgenza-. Le bugie. A volte ottime nemiche.
-Attenda, prego-, mi rispose.
La musica non durò più di un minuto. Una voce maschile mi riempì l’orecchio destro.
-Pronto?-.
-Credo che lei debba cambiare personale, signor Hunter: prima ho dichiarato il mio nome e la sua segretaria mi ha riso in faccia. Non credeva possibile che fossi io-.
Il direttore non fiatò. Passarono alcuni secondi interminabili.
-Signor Jackson! Vogliate perdonare Gwen. È una brava ragazza, nonché ottima assistente, ma spesso ci sono buffoni scansafatiche che chiamano qui fingendo di essere delle star… mi scusi, la starò annoiando… in cosa posso aiutarla?-.
I giornalisti. Quanto li odiavo. Dalla faccia doppia e la coscienza pari a zero.
-Vorrei parlare con la giornalista che ha scritto l’articolo su di me stamattina-.
Il direttore parve un po’ soprappensiero.
-Susie Right?-.
-Sì, esatto. È lì?-.
-Ehm… no, veramente no. In questo momento si trova a Washington-.
-Ah-, risposi. –E quando tornerà?-.
-Fra due giorni. Precisamente lunedì sera. Potrebbe richiamare martedì mattina, signor Jackson. Però se è qualcosa di urgente può riferirmi tutto-.
La sera torna a casa e la mattina è già a lavoro?
Sospirai.
-Mi chiedevo se era possibile avere un’intervista con la signorina Right-.
-Un’intervista?-, chiese, scettico.
-Esatto. Racconterò ogni cosa di me stesso. È impensabile che io sia stato dichiarato innocente tre anni fa e ci sono ancora persone che pensano che io sia un pedofilo-, dissi tutto d’un fiato.
Attimo di silenzio.
-Per me non ci sono problemi, ma dovrebbe chiedere a lei…-.
-Non c’è problema. Richiamerò martedì. Grazie mille. Ah! Se per favore quello che le ho detto può rimanere fra noi due, non so se mi spiego…-. Ecco, e adesso mi sentivo un perfetto idiota. Un giornalista che tiene nascosto uno scoop come una telefonata del grande Michael Jackson? Accidenti, ma perché proprio a me?
-Naturale, signor Jackson. A domani e grazie a lei-.
-Arrivederci-, e agganciai.
Emisi il solito sospiro. Speriamo…

Quando entrai nell’ufficio di Thomas capii subito che qualcosa non andava. Primo: non mi aveva mai chiamata lui fino ad allora, ma ero sempre io che andavo nel suo ufficio per portargli articoli, news, e quant’altro. Secondo: quando mi guardava non gli luccicavano gli occhi come quella mattina di 22 giugno. Terzo: se mi aspettava non lo faceva mai girovagando per la stanza, ma seduto sulla poltrona.
-Susie!-, esclamò tirandomi letteralmente nell’ufficio e chiudendo la porta alle mie spalle.
-Cosa succede, direttore?-, gli chiesi.
-C’è una telefonata di estrema urgenza per te-, mi disse solamente, per poi pigiare il dito su un tasto del telefono.
-Gwen? Passami la telefonata sulla linea 1-.
-Subito, direttore-, rispose lei.
Thomas tolse il vivavoce e alzò la cornetta.
-Eccola, è qui. Ora gliela passo-, e mi fece cenno di avvicinarmi a lui.
Perché mi tremavano le gambe? Perché il mio cuore stava per scoppiare?
-Pronto?-, dissi.
-Ciao Susie. Sono Michael Jackson-.
Chissà perché, ma me lo immaginavo.
-Buongiorno signor Jackson-, risposi con voce atona, contenendo la rabbia.
Sospirò.
-Ah, giusto, le formalità. Testarda come sempre, vero?-.
-No, signor Jackson. Solo precisa nel mio lavoro e rispettosa nei confronti degli estranei-.
-Oh, sì, certo. E anche il tuo articolo dell’altro giorno voleva rispettarmi?-.
Sospirai. –Cosa vuole?-.
Rimase per un attimo in silenzio, poi disse: -Un’intervista-.
Mi bloccai.
-Eh?-. Vidi con la coda dell’occhio Thomas ridere sotto i baffi.
-Hai sentito bene-, mi rispose. –Voglio che tu m’intervisti. Ti racconterò tutto su di me. Ogni minimo particolare-.
-So già tutto su di lei, signor Jackson-.
-Ah, non sapevo che i miei fans mi considerassero pedofilo-, ironizzò.
-Devo informarmi si ogni minima cosa quando scrivo un articolo. E comunque non sono sua fan, dovrebbe saperlo-.
-Uhm… oh, certo, informarsi-.
Lo immaginai scuotere il capo e farsi beffe di me senza che io potessi vederlo. Quel pensiero mi fece urtare ancora di più i miei nervi di per sé già provati.
-Sì, informarsi. La regola d’oro dei giornalisti. Ma cosa vuole che ne sappia lei di cose che vanno al di fuori del campo di bambini e sesso?-.
-La tua frase è alquanto sgrammatica. Strano, ti facevo più intelligente per essere una giornalista-.
Sbuffai.
Ma va’, idiota…
-Alle 15, oggi pomeriggio nell’albergo “Sun” di NewYork. La mia camera è la 25. Non tardare-, e riattaccò.
Rimasi per un minuto buono senza fiatare con la cornetta in mano. Quando la posai, Thomas mi chiese: -Allora?-.
-Allora niente. L’intervista è per oggi pomeriggio-.
-Fantastico! Allora va’ a preparare domande e tutto, e non dimenticare il registratore. Il tuo articolo sarà un figurone! Già immagino i titoli in prima pagina: MICHAEL JACKSON MESSO A NUDO. L’INTERVISTA DEL SECOLO-.
E uscì dall’ufficio con le speranze già rivolte ad un articolo inesistente. Non sarei mai andata da Michael. Non l’avrei mai perdonato. Mai.

***

-Michael! Michael!-.
Una bambina dai capelli ricci e la pelle color caffelatte correva raggiante nel cortile verso il suo cugino preferito.
Il ragazzino si girò verso di lei e le sorrise, uno spettacolo da togliere il fiato.
-Susie!-, esclamò, abbracciandola.
La bambina inspirò profondamente il suo profumo. Gli voleva tanto bene, forse perfino più di quanto ne volesse a sua madre.
-Sei stato bravissimo stasera! Mi hai fatta piangere! Hai cantato benissimo!-, disse la piccola.
-Grazie! Però, ti prego, non piangere! Lo sai che non sopporto le lacrime su quel tuo bel visino da angioletto!-, la pregò lui e lei sorrise.
-Visto? Sei più bella ora. Scommetto che quando ti farai più grande un sacco di maschietti ti pregheranno per mettersi insieme a te!-.
La piccola scosse la testa.
-No, sei tu il mio futuro marito!-.
Il ragazzino rise, e lei si sciolse.
-Aspetta un attimo! Prima ero il tuo cugino preferito, poi tuo padre, poi il tuo fratellone… e adesso addirittura tuo marito?-.
La bambina annuì.
-Tu per me sei tutto!-, esclamò lei, facendolo cadere sull’erba.
Risero entrambi, felici come solo i bambini potevano esserlo.

La ragazza lo guardava con sguardo furioso. Si era di nuovo lasciato mettere i piedi in testa, e – come al solito – non aveva fatto nulla per impedirlo.
-Perché non reagisci?-, gli chiese lei, cercando di incontrare quegli occhi che fuggivano il suo sguardo.
-Ti prego, Susie…-,mormorò lui sprofondando con la testa nel cuscino.
-No, Michael, ti prego un bel niente!-, gridò lei facendolo sobbalzare. –Perché non li mandi tutti a quel paese? Lo sanno che la tua è una malattia, non devono prenderti in giro! Mio fratello è un ignorante! E, scusa se lo dico, ma tuo padre lo è ancora di più! Non puoi permettere che continuino a farlo! Devi porre fine a tutto questo! In questo mondo non esiste solo il perdono, ma anche la vendetta! Reagisci, cavolo, reagisci!-. La ragazza lo strattona e riesce a guardarlo negli occhi. Gli venne un tuffo al cuore. Il piccolo Michael, il suo adorato cugino, stava piangendo.
-Non posso …-, bisbigliò fra le lacrime. La guardava come se fosse un gattino sperduto. -Non voglio …-, disse infine, voltandosi dall’altra parte.
La ragazza lasciò la presa. Rimase a guardarlo singhiozzare ancora, per poi avviarsi verso la porta.
-Stupido…-, disse ad alta voce, e uscì dalla stanza con le lacrime agli occhi e le mani che le prudevano.
Quando entrò in casa, solo Susie rimase di sasso.
-Che cosa hai fatto?-,gli chiese, avvicinandosi a lui.
-Non vedi?-, disse zio Joseph, il padre del ragazzo. –Ha cambiato colore-.
Lei lo guardava stranita. Lui si sentiva a disagio da quello sguardo strano, e abbozzò un sorriso.
-“Thriller” ha avuto un successo inaspettato… mi hanno chiesto di pubblicizzare delle marche… l’intero mondo ora sa chi sono… e con i soldi ricavati ho pagato il chirurgo che mi ha… ehm…-, e si indicò il viso e le mani non più caffelatte, ma rosee.
Impossibile, pensò Susie, continuando a guardarlo frastornata.
-Perché? A me piacevi com’eri prima…-, biascicò lei.
Lui sospirò.
-Sto avendo troppa notorietà. Non posso rischiare di farmi vedere in pubblico con queste macchie addosso. Immagino già cosa diranno i media…-.
-Non diranno un bel niente! Tu sei malato! Ti perseguiteranno invece se ti vedranno così! Penseranno che l’hai fatto perché non ti accettavi, perché preferivi nascere bianco piuttosto che nero!-, esclamò lei.
Lo sguardo del ragazzo era triste.
-Non ho avuto altra scelta…-, mormorò.
Gli occhi le iniziarono a bruciarle e le lacrime presero a scorrere da sole.
-Sì, invece. C’è sempre un’altra scelta. Potevi farti accettare così com’eri, e invece hai deciso di trasformarti. Potevi fregartene altamente del giudizio degli altri, e invece hai deciso di subire tutte le ingiurie delle persone senza dire nulla e serbare tutto dentro. Allora sappi che dovrai soffrire ancora. Non finiranno qui le ingiustizie, anzi… ogni giorno peggioreranno. Purtroppo però non ci sarò più io ad asciugare le tue lacrime e a farti forza. Mi dispiace, Michael, ma da ora in poi io per te non sarò più niente. Addio-.
E fuggì via lasciandosi alle spalle il suo vecchio cugino che urlava dalle scale: -Susie! Susie!-.


***

Qualcuno bussava alla porta insistentemente.
-Un attimo, arrivo!-, urlai, posando il piatto sul tavolo.
-Ma che modi…-, mormorai, abbassando la maniglia.
Rimasi impalata quando vidi chi era il rompiscatole.
-Che modi? CHE MODI?? Dovrei dirla io questa frase! Ti ho aspettata tutto il pomeriggio e non sei venuta! Ti sembra educazione, questa?-.
Michael Jackson si trovava davanti a me, in carne ed ossa, con i capelli lisci sul viso e gli occhi che fumavano.
Rimasi impalata, incapace di parlare. Poi mi accorsi di avere la bocca.
-Che diavolo ci fai tu qui?!-, esclamai, irata.
-Beh, visto che tu non sei venuta…-, mi disse, entrando.
-Ehi! Non ti ho dato il permesso di entrare!-.
Mi guardò. Poi scrollò le spalle.
-Fa niente-.
-Che maleducato…-, dissi, chiudendo la porta alle sue spalle.
-Io maleducato?-, esclamò. –E allora tu come sei? Ti aspettavo oggi pomeriggio per quell’intervista! Mi hai fatto cancellare tutti i miei impegni, per poi scoprire che tu non venivi… come credi che mi sia sentito?-, mi chiese, furioso.
Mi accigliai.
-Dovresti saperlo che io di pomeriggio lavoro-, risposi, acida.
-Ma davvero? E come mai il tuo direttore ti ha mandato via prima?-.
-Che ne sai tu?-. Adesso aveva anche la facoltà di leggere nel pensiero, oltre che ballare come se fosse sulla Luna?
-Me l’ha detto lui stesso-, rispose semplicemente.
Ovvio, no?
Lo guardai ancora un po’. Era diverso dall’ultima volta che l’avevo visto – di persona, intendo. Ovvero, ai tempi di “Bad”, quando avevo 23 anni. Sapevo che non si era rifatto il naso più di due volte – sebbene nei miei articoli scrivevo che lo aveva modificato almeno 7 volte –, ma il suo cambiamento mi fece male ancora una volta.
Perché sei così cambiato?
Mi sedetti sul divano, e lo guardai.
-Non c’è bisogno dell’intervista. Domani inventerò qualcosa per giustificare me e te. Non ne hai bisogno, e io non ho alcuna intenzione di ascoltare nuovamente la storia della tua vita. La so a memoria-, gli annunciai.
Mi aspettavo qualcosa tipo “Nemmeno per sogno, io non torno indietro”, ma come al solito Michael mi sorprese.
Sorrise.
-Veramente… non sono io quello che devi intervistare…-.
Lo guardai, interdetta.
-Eh?-.
Andò verso la porta e l’aprì.
-Adesso potete entrare-, disse affacciandosi, per poi lasciar passare tre strane figure mascherate. Uno aveva i capelli biodo platino, l’altra marrone chiaro e l’altro ancora marrone scuro. Si avvicinarono a Michael, che disse: -Ora potete togliervi le maschere-.
Loro obbedirono.
E io rimasi incantata.
Erano bellissimi.
Erano i suoi figli: Prince, Paris e Blanket, e mi guardavano incuriositi.
Rimasi senza fiato, prima di registrare le sue parole.
-Vuoi che io intervisti… loro?-, e li indicai.
-Certo-, rispose scrollando le spalle come se io fossi una sciocca a non aver capito prima quello che intendesse dire.
Lo guardai stralunata.
-Tu sei matto!-.
-Quindi accetti?-.
-Io non ho detto ques…-.
-Bene! Accettato!-, esclamò battendo le mani. –Bambini, sedetevi-, ordinò.
Scossi la testa. Una volta che si metteva qualcosa in testa nulla e nessuno l’avrebbe distolto dai suoi obiettivi. Strano che dopo tutto quel tempo passati in lontananza io mi ricordassi ogni minimo particolare del suo carattere fanciullesco.
Mi sedetti sulla piccola poltrona di fronte il divano e Michael prese posto su una sedia accanto a me.
-Non vuoi infondere coraggio ai tuoi figli?-, gli chiesi, guardandolo.
Scosse la testa.
-Devo suggerirti le domande-.
-Giusto…-, mormorai, annuendo.
Guardai i tre bambini. Erano uno più bello dell’altro. Mi persi nella profondità dei loro occhi.
-Da dove devo iniziare?-, chiesi a Michael.
-Sei tu la giornalista-, mi disse sorridendo.
-Sei odioso-.
-E tu paranoica. In fondo sono solo dei bambini!-.
Lo guardai di sbieco e presi fiato.
-È vero che sei nostra zia?-, chiese Blanket con voce sottile.
Rimasi un momento allibita.
-Non può essere nostra zia-, gli rispose Prince. –Non l’abbiamo mai vista. Non è mai venuta a trovarci. Di solito gli zii fanno i regali-.
Aprii la bocca, ma non ne uscì alcun suono.
-I-io… non…-, farfugliai.
-Ma guardala!-, esclamò Paris. -È uguale a papà!-.
-Sì, però non l’abbiamo mai vista prima! Chi ci dice che sia veramente nostra zia?-, obiettò Prince. Non potei non dargli ragione.
-Se siamo qui ci sarà un motivo…-, disse Paris.
Il fratello maggiore annuì.
-Infatti…-, disse.
Il più piccolo mi guardava in modo strano, come se volesse dirmi qualcosa. Ricambiai lo sguardo e la sua voce mi giunse cristallina e terribile nelle orecchie.
-Perché non ci hai mai cercati?-.
Tutti fecero silenzio, compresa io. Mi sentivo un groppo in gola e gli occhi iniziarono a luccicarmi.
-N… non… potevo, io… io non sapevo…-, mormorai abbassando lo sguardo.
Perché stavo piangendo? Perché non ero ma corsa dai miei nipoti? Perché avevo detto quelle cose tremende a Michael? Perché? Perché? Perché?
All’improvviso, tra la confusione della mia mente, sentii qualcosa. Una stretta soffice. Un profumo dolce. Un cuoricino che batteva sul mio.
Blanket mi stava abbracciando.
Non ce la feci più e scoppiai in singhiozzo, ricambiando la stretta. Anche Prince e Paris si unirono all’abbraccio e mi sussurravano: -Sssh… non piangere, zia Susie… noi sappiamo chi sei… papà non ha fatto altro che mostrarci le vostre foto…-.
Mi allontanai, mi asciugai le lacrime e guardai Michael. Mi accorsi che anche lui stava piangendo come me.
-È vero?-, gli chiesi, anche se sapevo già la risposta.
Lui mi sorrise e annuì.
Mi alzai e lui fece lo stesso. Sprofondai la testa nel suo petto e lui mi cinse le spalle con un braccio e la vita con l’altro.
-Mi dispiace…-, mormorai, stringendolo forte a me.
-Non importa. Io già ti ho perdonata-, mi rispose.
Risi pensando che litigammo proprio perché lui non conosceva la vendetta, ma aveva sempre perdonato chiunque, anche chi non lo meritava.
-Cugini come prima?-, chiesi, guardandolo negli occhi.
-Più di prima, piccola Susie-, rispose sorridendo sciogliendomi il cuore.

Il bar era affollato come sempre mentre leggevo il mio articolo di giornale. Era venuto molto bene, tutto quello che dovevo dire l’avevo reso pubblico. Era finalmente ora che tutti sapessero. Nessuno escluso, compresi i giornalisti, quegli stupidi esseri che giudicavano una persona quando nemmeno l’avevano mai conosciuta.
Sorrisi ripensando al giorno prima. Le lacrime, gli abbracci, i chiarimenti…
Presi il mio diario e una penna.
Ripensai al volto di Michael e sulla mia bocca comparve un sorriso.
Da ieri, 23 giugno 2009, questo piccolo frammento di vita sta per cambiare. Per sempre.
Micheal'sNewFan
00sabato 14 novembre 2009 17:32
E' molto duro quello che hai scritto...fa male, ma è la realtà.
Purtroppo la gente pensava, e ancora pensa, quelle cose orrenede e false su Michael, i giornalisti scrivono cose false, superficiali, solo per soldi...questa è la realtà e tu l'hai riportata benissimo in questo racconto...anche se è stato molto triste leggerlo, il finale mi ha rincuorata...
Sai scrivere molto bene, bravissima... [SM=g27821]
marty.jackson
00sabato 14 novembre 2009 17:40
semplicemente meraviglioso...ho pianto molto xkè ha pensato a come michael soffriva leggendo quelle cose...dobrebbero esserci piu xsone come il tassista...anke il finale è stato molto commovente... brava davvero!!
GioTanner
00sabato 14 novembre 2009 18:43
come già detto, io l'avevo letto su EFP...e cavoli se non mi ha colpito, ho sentito una psecie di fitta al cuore -poi in questi giorni ci si mette pure il mio "umore a terra"- e insomma sono fritta, io a leggerti, devo piangere!
MichaelInTheHeart
00sabato 14 novembre 2009 18:53
Grazie mille, ragazze... sì, lo so, anche a me ha fatto molto male scrivere queste cose... ma tanto tutto si è sistemato, no? Anche se un po' tardi...

X GioTanner: spero che il tuo malumore non sia nulla di grave... dai, segui gli insegnamenti di Mike: SMILE...

Grazie ancora per tutti questi complimenti... vi voglio un bene nell'anima...
Alla prossima col capitolo "Ben"! [SM=g27823]
BEAT IT 81
00domenica 15 novembre 2009 23:44
I tuoi racconti sono bellissimi, brava!!! Questo secondo capitolo xò è stato molto duro da leggere, so che hai descritto la realtà, nel senso che molta gente (purtroppo), pensa quelle cose di MJ proprio x causa dei giornalisti e di ciò che scrivono, gente che pur di avere una notizia sarebbe capace (come nella tua storia) di infangare anche il proprio cugino, gente senza coscienza, che purtroppo ha fatto soffrire molto il nostro MJ, praticamente l'hanno distrutto, tutte le volte che ci penso mi sale una rabbia...tornando alla tua FF...la parte dei ricordi di Susie e la scena finale mi hanno fatto piangere, davvero, sei stata bravissima, ah, dimenticavo, bello il personaggio del tassista che fa le veci della coscienza, magari ci fosse più gente come lui...Aspetto il tuo prossimo capitolo. Baci
MichaelInTheHeart
00lunedì 16 novembre 2009 16:20
3 CAPITOLO
3. BEN

Ben, the two of us need look no more
We both found what we were looking for
With a friend to call my own
I'll never be alone
And you my friend will see
You've got a friend in me
(You've got a friend in me)

Ben, you're always running here and there
You feel you're not wanted anywhere
If you ever look behind
And don't like what you find
There's something you should know
You've got a place to go
(You've got a place to go)

I used to say, "I" and "me"
Now it's "us", now it's "we" (X2)

Ben, most people would turn you away
I don't listen to a word they say
They don't see you as I do
I wish they would try to
I'm sure they'd think again
If they had a friend like Ben
Like Ben
Like Ben


Dicono che il destino non esiste… e do loro ragione. Ma a volte succede qualcosa che ti fa cambiare idea. Tipo quando lo vidi per la prima volta; non potevo credere che fosse accaduto tutto per caso. Quando ascoltai per la prima volta il Re del Pop mi trovavo nel pancione della mamma. Quando tremai per una sua canzone avevo poco più di quattro anni. Quando Michael Jackson entrò nella mia vita… beh, semplicemente non sapevo che era lui.

Mia madre aveva in mano un pezzo di stoffa nera. Lo manteneva solo con due dita, il pollice e l’indice, come se ne avesse paura.
Mio padre era… spaventato. E anche stupito. Sì, o almeno credo. A dieci anni non riesci a decifrare tutte le emozioni della gente…
Io guardavo la scenetta da dietro la porta della stanza da letto dei miei; non capivo nulla di quello che stava accadendo, ma sentivo che quella situazione non era molto bella… era come se avessi un qualcosa dentro di me che mi sussurrava: “Scappa… andrà a finire male…”.
Ma per qualche insolito motivo decisi di restare. E non mi pentirò mai della scelta che feci quel giorno.
-Cosa ci fa questa nel mio letto?-, mormorò mia madre indicando lo strano oggetto che aveva in mano. Solo allora mi accorsi che era una mutandina di pizzo nero. Ma perché era così arrabbiata? E perché papà stava sudando così tanto?
-Hannah… lasciami spiegare…-, disse lui, avvicinandosi a lei e posando le sue mani sulle sue spalle. Lei si scostò.
-Voglio sapere cosa cazzo ci fa questa mutanda nel mio letto-, ripeté.
Ma prima che lui potesse rispondere, mia madre iniziò a gridare.
-Come hai potuto? Hai una famiglia a carico! Un figlio! E hai preferito portarti a letto un’altra!-.
Trattenei il respiro.
-I…io… mi dispia…-.
-Non dire quella parola! Se davvero eri “dispiaciuto” non ti scopavi una puttana!-, lo interruppe lei.
-Non gridare, ti prego…-.
-No, io grido quanto mi pare e piace, invece! Che tutti sentano! I vicini, l’altro quartiere, tutta la città… tutti devono sapere che sei uno STRONZO!-.
Iniziò a prendere a calci la poltrona e il letto.
-Ferma! Ferma, cosa fai?-, urlò mio padre. L’agguantò da dietro, ma lei si liberò dalla stretta e lo spinse verso la porta.
-Via! Via da qui! Non ti voglio più vedere qui! Tu. Non. Sei. Mio. Marito!-, disse, mano a mano che lo portava fuori dalla stanza da letto.
Mi scostai evitando per un pelo di essere travolto da mio padre, che cadde con la faccia a terra. La porta si rinchiuse. Io rimasi a fissarlo ancora per qualche secondo, guardandolo alzarsi a fatica e sospirare di resa. Poi i suoi occhi incontrarono i miei.
-Michele…-, sussurrò.
Mi voltai e mi avviai verso la porta d’ingresso.
Sentii mio padre gridare, e subito dopo la sua stretta. Mi aveva preso prima che potessi raggiungere l’uscita. Non ricordo quello che mi disse: pensavo solo a staccarmi dalla sua stretta, perché per lui provavo solo odio.
Riuscii a scrollarmelo di dosso e aprii la porta di casa. Uscii fuori e iniziai a correre. Corsi fino a star male, fino a non sentire più le gambe, pur di andare il più lontano possibile da quella casa.
Avrei continuato a correre per ore, ma mi fermai. Mi guardai indietro. Di mio padre nessuna traccia.
Tirai un sospiro di sollievo e alzai gli occhi. Di fronte a me si ergeva in tutta la sua imponenza il Colosseo.
Cavolo, ero arrivato fin lì? Da casa mia al monumento ci voleva come minimo un quarto d’ora… a piedi… ah, allora non avevo fatto molta strada.
Sospirai e mi sedetti su una panchina.
Mio padre aveva tradito mia madre. Non sapevo bene cosa significasse, ma di sicuro era una cosa cattiva se aveva fatto piangere mia madre. Rividi quelle guance bagnate quando disse a mio padre di andarsene… presi le ginocchia fra le mani e vi immersi il volto.
Poi, inaspettatamente, sentii un tocco caldo sulla spalla.
-Why are you crying, child?-.
Alzai la testa e vidi tre uomini davanti a me. Uno aveva i capelli biondo scuro e occhi azzurri, l’altro era moro e l’altro ancora aveva i capelli corti biondo platino e portava un berretto e gli occhiali da sole.
Scossi la testa.
-You don't understad me, right?-, mi chiese quello col berretto. Solo allora mi accorsi che la sua voce era tenera e cristallina come quella di un bambino.
-Vi capisco-, risposi in inglese. –Non preoccupatevi, sto bene-.
-Non mi pare. Stai piangendo-, mi fece notare il tizio che aveva parlato prima.
Mi asciugai in fretta le guance.
-No, queste non sono lacrime!-, risposi.
-Certo… è pioggia, giusto? A fine giugno è normale-, disse ironico.
Abbassai la testa.
-Che volete da me?-, gli chiesi.
-Eravamo preoccupati, tutto qui. Ti abbiamo visto… ehm… bagnato per colpa della pioggia e ho pensato che sarebbe stato bello se ti avessi dato un ombrello-.
Lo guardai stupito.
-Eh?!-.
-Okay, parlo normalmente, però non ti lamentare. Ti abbiamo visto piangere e abbiamo pensato che sarebbe stato bello se ti avessimo… consolato-.
Sorrisi.
-Grazie mille, ma adesso passa tutto-, risposi.
-Sicuro?-.
Annuii.
-Grazie-, dissi di nuovo, e mi alzai dalla panchina.
Li sentii borbottare fra loro.
Non capii quello che dicevano, ma per un attimo mi parve di sentire il mio nome.
Mi voltai.
-Mi avete chiamato?-, chiesi, e li vidi scambiarsi occhiate strane.
-No…-, rispose quello moro.
-Non avete detto Michele?-, domandai dubbioso.
Quello con il berretto aveva un’espressione strana.
-Ti chiami Michele?-, mi chiese.
Annuii.
Lui sorrise.
-Il mio cantante preferito si chiama come te! Michael, però…-, disse.
Gli occhi mi luccicarono.
-Non dirmi che stai parlando di Michael Jackson! Perché anche a me piace tantissimo! Sono fiero di chiamarmi come lui!-, esclamai tutto d’un fiato.
Le due persone dietro s’irrigidirono e il tizio sorrise; chissà perché, ma per un attimo ho creduto che fosse felice.
-È bello vedere come un cantante così conosciuto possa piacere anche ai bambini-.
-Ma a tutti piace! La sua musica entra nell’anima! O almeno, è quello che mi dice mia madre…-, dissi io, e per un attimo ricordai perché ero scappato. Stavo per piangere di nuovo, quando sentii di nuovo la voce del tizio col cappello.
-Anche tua madre è una fan di Michael Jackson?-.
Annuii, frenando le lacrime.
-E mio padre. Si sono conosciuti ad una festa e hanno scoperto di avere gli stessi gusti musicali. Mia madre si trovava in Italia da due mesi, e conosceva solo la ragazza che aveva fatto la festa. Mio padre, che sa parlare bene l’inglese, l’aveva vista sola e le aveva fatto un po’ di compagnia, e così…-.
-Ah, allora tua madre non è italiana… ecco perché sai parlare così bene la nostra lingua!-, esclamò lui.
-Sì, infatti, è americana. Viene da Phoenix-.
Lui fece un cenno con la testa. –Arizona… ci sono stato un paio di volte. È molto bello lì-.
-Mia madre me lo dice spesso. E voi di dove siete?-, chiesi, curioso.
-Di Los Angeles-, rispose il moro.
Rimanemmo un po’ in silenzio, fin quando il tizio col berretto mi chiese: -Ti va un gelato?-.
Lo guardai per un attimo. In fondo non c’era niente di male, no?
-D’accordo. Grazie-.
-Ah, comunque mi chiamo Thomas-, disse lui.
Gli sorrisi e lo presi per mano.
-Piacere di conoscerti, Thomas-, risposi, e ci avviammo al chiosco.

Il Colosseo era un monumento sensazionale. Era enorme, stabile… in tutti quegli anni era rimasto in piedi per infondere paura e timore ai nemici e a farsi ammirare da coloro che venivano in pace nella sua terra.
Desideravo da anni di venire a Roma e poter dire che anche io, il famoso Michael Jackson, ho visto il Colosseo e sono rimasto colpito dalla sua grandezza e dalla sua magnificenza. Era come se mi fossi prostrato davanti a lui e gli chiesi di rendermi grande, forte e coraggioso, e di farmi vivere per sempre proprio come lui. Eterno, saldo e capace di infondere ammirazione fra gli animi di tutte le persone. Ecco come mi immaginavo. Ma in quel periodo le cose non andavano proprio a meraviglia. E non si trattava dei dischi, “Bad” in pochi mesi aveva raggiunto le milioni di vendite… anche se non avrebbe mai superato “Thriller”. No, il problema era un altro. Il problema era che da quando avevo cambiato colore della pelle i tabloid non facevano altro che attaccarmi. Approfittavano di ogni mia minima azione per ingigantirla e trasformarla in articolo di prima pagina, per cui dovevo stare molto attento a quello che combinavo.
Ma quella volta era diverso. Io dovevo andare a Roma. Lo dissi categoricamente ai miei produttori, e loro non ebbero nulla da ridire. Restava solo da decidere come sarei sopravvissuto a Roma. Se i miei fans lo avrebbero scoperto addio giri turistici, benvenuti al bagno di folla e all’orda di giornalisti. Per cui, avevamo attuato un piano di riserva: mi sarei travestito.
Ci volle meno di un’ora per fare in modo che i miei tratti somatici cambiassero con il trucco. Poi indossai altri accessori, in modo da rendermi praticamente irriconoscibile.
Per tutta la mattinata non ci fu alcun problema, e finalmente riuscii a vedere il Colosseo. Mi guardai attorno per cogliere ogni minimo particolare di quella città stupenda, quando vidi un bambino dai capelli biondi rannicchiato su una panchina con la testa fra le ginocchia.
Senza fregarmene delle due guardie del corpo accanto a me, mi avvicinai a lui. Solo allora mi accorsi che singhiozzava.
No, perché sta piangendo?, pensai.
Non sapevo cosa fare, anche perché molto probabilmente era italiano e non capiva l’americano…
Oh, ma che t’importa, Michael? Sta piangendo! Ed è solo un bambino!
Così mi feci coraggio e gli chiesi con un filo di voce: -Why are you crying, child?-.

-Allora, quale gusto vuoi?-, mi chiese Thomas.
-Ehm… io non ho soldi…-, mormorai imbarazzato.
Lui mi guardò stupito. Poi mi sorrise. Ma perché mi sembravano così familiari quei gesti?
-Secondo te ti faccio pagare un gelato? Ad un bambino? Naturalmente te lo offro!-, esclamò. –Quindi? Il gusto?-, aggiunse.
Stetti un attimo a pensare se era il caso o no. Di certo non potevo tornare a casa, non volevo rivedere il volto triste di mia madre. Ma i miei genitori mi ripetevano sempre: -Non accettare mai nulla da uno sconosciuto!-. Però… era strano, non riuscivo a spiegarlo… eppure, mi sembrava che conoscessi Thomas da una vita, sebbene durante il tragitto fino al chiosco io abbia parlato solo di me. Sospirai.
-Tiramisù e nocciola-, risposi. Poi, dopo una breve pausa:-Con la panna-.
Thomas mi guardò divertito.
-Ah, allora non sei poi così timido!-, rise lui.
Sorrisi fingendo di essere imbarazzato e mi misi le braccia dietro la schiena.
Vidi Thomas che si avvicinava a me correndo e mi spaventai. Poi mi abbracciò.
Io ricambiai la stretta e ridemmo entrambi. Mi trovavo proprio bene con lui: saremmo diventati ottimi amici, lo sentivo.
-Perché piangevi prima?-.
Eravamo seduti su una panchina non lontana dal chiosco con i gelati in mano – a parte i due amici strani di Thomas che stavano in piedi e si guardavano attorno come se stessero cercando qualcuno.
Abbassai la testa.
-Nulla…-.
-Se è qualcosa che ti fa soffrire, scusami. Però io credo che ti servirebbe proprio sfogarti con qualcuno. Ovvio, se non vuoi parlare nessuno ti costringe-, disse Thomas.
Lo guardai e vidi il mio riflesso nei suoi occhiali.
-Sono scappato di casa-.
Non disse nulla.
-Mio padre ha tradito mia madre-, continuai.
-Ah-, disse solamente.
-Non so bene cosa significhi…-, mormorai pensieroso, -…ma mi sa tanto che non è una cosa bella…-.
-No, infatti-, rispose Thomas. –Ma sono convinto che tutto si sistemerà-, aggiunse, rassicurante.
Annuii.
-No, non piangere…-, mormorò asciugandomi una lacrima. Poi si batté la testa con una mano. –Ah, già! È pioggia, vero?-, domandò sorridendo.
Risi.
-Visto? Sono riuscito a farti ridere!-, esclamò trionfante.
Gli feci una boccaccia e lui iniziò a farmi il solletico.
-No! No, ti prego!-, lo implorai fra una risata e l’altra.
-Ah, lo soffri?-, e continuò più veloce.
-Sì! Ti prego, smettila!-.
-E tu promettimi che non piangerai più!-, esclamò.
Non riuscivo a parlare, mi stavo soffocando. Lui fraintese il mio silenzio in un segno di testardaggine e iniziò anche a pizzicarmi.
-NO! Lo prometto! Lo giuro!-.
-Cosa giuri?-, domandò lui senza fermarsi.
-Giuro che non piangerò più!-, gridai alla fine, esasperato.
Mi lasciò.
-Bravo. Così si fa. E mi raccomando: mantieni la tua promessa, altrimenti verrò a punirti fin dentro casa tua-.
Annuii.
-E adesso torna a casa, perdona tuo padre e sta’ vicino a tua madre, ha bisogno di te-, mi disse.
Abbassai la testa, ma non piansi. No, gli avevo promesso che non l’avrei fatto.
-D’accordo-, e lo abbracciai.
Lui mi accarezzò la schiena e i capelli.
-Adesso siamo amici?-, gli sussurrai all’orecchio.
-Fin quando mi vorrai accogliere-, rispose.
Non capii la sua risposta, ma non ci pensai più di tanto. Thomas mi capiva e mi voleva bene, e saremmo rimasti attaccati anche se lui viveva lontano. Avevamo trovato entrambi ciò che cercavamo: un amico vero. E io non l’avrei mai tradito.

-Michele? Michele, è per te!-.
Mia madre mi chiamava dalla cucina. La sua voce era più viva, più rilassata. Da quando lei e mio padre avevano divorziato si sentiva più serena. C’era stato un periodo in cui credevo che non avrebbe mai superato il dolore, ma mi sbagliavo: ormai stava bene. E io anche. Era passato qualche mese dall’incontro con Thomas, e l’unica notizia che avevo da lui era una lettera in cui diceva che era appena partito e che voleva sapere se stavo bene.
Io gi risposi di sì, che ormai i miei stavano per divorziare, che soffrivo – quello è ovvio – ma che non ho mai pianto, perché gliel’avevo promesso.
Aspettavo con ansia qualche sua notizia, ma non era arrivata nemmeno una cartolina. Col tempo ho cercato di non pensarci più, ma ogni mattina mi svegliavo con la speranza di trovare nella cassetta della posta una sua lettera, o foto, o anche uno straccio di carta con la sua firma. L’importante era sapere che stava bene.
Quando mia madre mi chiamò non pensai a nulla. Tuttavia, quando la vidi con un pacco in mano, mi incuriosii. Me lo porse e io guardai il foglietto attaccato sopra. C’era scritto “Los Angeles”.
Trattenei il fiato rumorosamente e presi velocemente un taglierino dal cassetto alla mia sinistra. Aprii il pacco e guardai dentro.
C’era carta.
La tolsi.
Cellophane.
Tolsi anche quello.
Poi lo vidi.
In fondo alla scatola c’era qualcosa.
Un altro pacco.
Lo presi e lo aprii tremante.
C’erano due pezzi di carta e un rettangolo incartato.
Guardai prima i pezzi di carta.
E mi si fermò il cuore.
Erano due biglietti per la prima fila al “Bad Tour” di Michael Jackson a Roma.
Aprii il rettangolo.
C’era la figura di un uomo con i ricci e addosso una giacca nera di pelle con borchie varie.
Il vinile di “Bad”.
Lo girai.
Sul retro era appeso un biglietto. Quando lo lessi, iniziai a piangere.

Al mio fan numero uno,
a cui ho offerto un gelato ai sensazionali gusti tiramisù e nocciola con panna.
Con l’augurio che ora non soffra più e che
Verrà a trovarmi al mio concerto.
Un bacio, il tuo grande amico
Thomas / Michael Jackson


Strinsi a me quei meravigliosi regali mentre piangevo di gioia e mia madre mi abbracciava.
Sì, grazie a lui quel frammento di vita stava per cambiare. Per sempre.



Beh... so che è breve... ma spero che vi sia piaciuto lo stesso...
X BEATIT81: Grazie mille per i complimenti!!! [SM=g27821]
Un bacio a tutti voi e... GOD BLESS YOU!!!! [SM=g27817]
BEAT IT 81
00lunedì 16 novembre 2009 17:13
Prego ;-))))), ma quello che ho scritto ieri è la pura verità...bellissimo anche questo tuo terzo racconto...Brava!!!
Micheal'sNewFan
00lunedì 16 novembre 2009 18:28
MichaelInTheHeart è stupendo questo capito, troppo dolce e tenero!
Bravissima!!! [SM=g27822]
Bellissimi questi raccontiiiiiiiiii! [SM=g27819]
MichaelInTheHeart
00lunedì 16 novembre 2009 18:51
Grazie mille... *.*
Non sapete quanto mi rendano felice questi vostri commenti positivi... cavolo, e adesso vorrei tanto postare il prossimo... però poi non lascio quella "suspence" tipica degli scrittori... [SM=g27822] sese, una scrittrice io... [SM=x47954]
Vabbè, comunque grazie mille a tutti voi... siete meravigliosi, davvero, vi voglio un mondo di bene!!! :'] Beh, se questi vi hanno fatto piangere... voglio proprio vedere il prossimo... [SM=g27825]
Okay, non anticipo altro... solo una cosa: preparatevi mentalmente!
Un bacione!!! [SM=x47938]

GioTanner
00lunedì 16 novembre 2009 19:14
Re:
MichaelInTheHeart, 16/11/2009 18.51:

Grazie mille... *.*
Non sapete quanto mi rendano felice questi vostri commenti positivi... cavolo, e adesso vorrei tanto postare il prossimo... però poi non lascio quella "suspence" tipica degli scrittori... [SM=g27822] sese, una scrittrice io... [SM=x47954]
Vabbè, comunque grazie mille a tutti voi... siete meravigliosi, davvero, vi voglio un mondo di bene!!! :'] Beh, se questi vi hanno fatto piangere... voglio proprio vedere il prossimo... [SM=g27825]
Okay, non anticipo altro... solo una cosa: preparatevi mentalmente!
Un bacione!!! [SM=x47938]



eh si, preparetevi mentalmente *sisi* perchè giuro, io leggendolo su EFP (li ho letti tutti oggi xD mi è piaciuto molto emn..posso dire il titolo? Baby be Mine, ok? Spero di non aver tolto emn..la suspence che volevi anche nei titolo, altrimenti scusami x°) comunque ritornando a questo capitolo che postarai, lo devo dire, io con te riesco solo che a piangere, ma a piangere in modo positivo! [SM=g27821] [SM=g27822] [SM=g27836]

MichaelInTheHeart
00martedì 17 novembre 2009 15:08
Oh, GioTanner... davvero li hai letti tutti?? [SM=g27827] *me emozionata* [SM=g27821] [SM=g27819]
D'accordo... allora... bando alle ciance...
ecco a voi il quarto capitolo... mi raccomando, però... preparatevi...





4. GONE TOO SOON

Like a comet
Blazing 'cross the evening sky
Gone too soon
Like a rainbow
Fading in the twinkling of an eye
Gone too soon
Shiny and sparkly
And splendidly bright
Here one day
Gone one night
Like the loss of sunlight
On a cloudy afternoon
Gone too soon
Like a castle
Built upon a sandy beach
Gone too soon
Like a perfect flower
That is just beyond your reach
Gone too soon
Born to amuse, to inspire, to delight
Here one day
Gone one night
Like a sunset
Dying with the rising of the moon
Gone too soon
Gone too soon


Il centro commerciale non era molto affollato quel giovedì mattina. Io e le ragazze ci eravamo messe d’accordo per farci un giro e festeggiare la fine della scuola. Era una giornata tersa, serena, tipica di fine giugno, e il centro commerciale la rispecchiava perfettamente: era tutto così splendente e allegro e meraviglioso… il nostro gruppo sembrava un insieme di creature nate direttamente dal sole dalla felicità e l’allegria che sprizzavano dai nostri pori. Ero spensierata e felice, quel giorno più che mai. Strano, per me che ero sempre la più timida, riservata e malinconica del gruppo. Stavo bene e non sapevo nemmeno io perché. Ma in quel momento non m’interessava il motivo di cotanta positività. Avrei respirato il favoloso profumo della contentezza per il resto della giornata.
-Ambra?-.
Mi voltai sentendo il mio nome. La ragazza dai capelli e gli occhi scuri che mi aveva chiamata guardava una vetrina.
-Dimmi, Joanne-, le risposi.
-Vieni a vedere-, mi disse solamente indicando una vetrina.
Mi avvicinai a lei e guardai ciò che indicava.
-Mio Dio…-, mormorai.
Davanti a me si ergeva in tutta la sua bellezza un poster a grandezza naturale che raffigurava un uomo dai lunghi capelli neri e ricci che mi sorrideva. Per un attimo mi si fermò il cuore. Non capivo cosa mi succedeva, né tanto meno quello che accadeva attorno a me. Ero completamente assorbita dai suoi occhi neri, profondi e dolcissimi.
-Mio Dio-, ripetei, questa volta più forte. –Ma è vero?-, chiesi, scioccata.
-Certo che no, Bra! Secondo te Michael Jackson si fa trovare così facilmente? In una vetrina di un negozio? E poi adesso ha i capelli lisci, non ricci!-, osservò intelligentemente Dora, un’altra mia amica dai corti capelli platinati.
-Ah-, dissi, delusa.
Ovvio che non è lui, Ambra… mica ti aspettavi che venisse da te a braccia aperte?, mi domandai.
Cavolo, stavo di nuovo precipitando nel mio stato di perenne malinconia. No, dovevo essere allegra, allegra!
Entrai di corsa nel negozio.
-Ambra, che fai?-, chiese Kate.
-Un po’ di spesa-, risposi, e mi diressi al bancone.
-Salve-, mi salutò il commesso, un uomo sulla quarantina. –Posso fare qualcosa per lei?-.
-Sì. Quanto costa quel poster gigante di Michael Jackson in vetrina?-, chiesi.
-15 euro-, rispose.
Sorrisi maliziosa.
-Lo compro-.

-Ambra, sei cosciente del fatto che questo poster non ti farà dormire la notte, vero?-.
Annuii.
-Certo, Joanne, ma saranno notti trascorse in paradiso con lui che mi sorride-, risposi sognante.
Joanne scosse la testa.
-Spero di non arrivare ai tuoi livelli, un giorno…-, mormorò.
Io risi.
-Allora quando ci vediamo?-, chiesi.
-Questo sabato James ci ha invitati ad una festa a casa sua. Vieni?-, mi domandò Kate.
-Uhm… credo di sì… devo chiedere, ma non credo che ci siano problemi! Allora a sabato!-.
-Okay, a sabato! Ciao!-.
Ci salutammo e mi diressi a piedi a casa.
Durante il tragitto non facevo altro che pensare a come sarebbe stato bello guardare quel poster accanto il mio letto al mio risveglio, con che gioia avrei iniziato la giornata… sorrisi felice e presi l’mp3. Mi infilai gli auricolari e dopo alcuni secondi le note di “Thriller” riempirono le mie orecchie.
Che giornata meravigliosa…, pensai, felice mentre mi rinchiudevo la porta di casa alle spalle.
-Mamma, sono tornata!-, urlai.
Nessuno rispose, stranamente, alla mia chiamata.
-Mamma? Papà? Ci siete? Maria?-, chiamai.
-Ambra?-, era la voce di mia madre.
-Sì, sono qua-, risposi.
Entrai in cucina, dove c’era tutta la famiglia davanti il televisore.
-Guardate cosa ho comprato!-, esclamai, prendendo il mega poster e mostrandolo a tutti.
Mi guardarono strabiliati e mamma scoppiò a piangere.
-Che succede?-, chiesi preoccupata, e mia madre mi abbracciò forte.
-Non hai saputo?-, mi domandò.
-Saputo cosa?-.
Mi guardò con quei suoi splendidi occhi blu uguali ai miei e indicò la televisione.
Non avevo fatto caso al fatto che fosse accesa. Trasmettevano l’edizione straordinaria del telegiornale. Alla mezza? Strano. Cosa ancora più ambigua era il fatto che parlavano di Michael. Ma che diavolo…
-Michael Jackson è morto circa mezz’ora fa per arresto cardiaco. Inutili i soccorsi dell’ambulanza: quando è arrivato all’ospedale il suo cuore non batteva più. Grande il dolore dei fans che aspettavano il suo ritorno a luglio col suo ultimo tour “This is it”. I testimoni della sua morte…-.
Il poster mi cadde da mano.
No…
Non sentii il resto del telegiornale.
Non è possibile…
È indescrivibile ciò che provai in quel momento.
Non può essere vero...
Un misto di emozioni negative cancellarono perfino la felicità provata fino ad allora.
-NON È VERO! NON PUÒ ESSERSENE ANDATO, NON È POSSIBILE! NON È VERO!-.
Scoppiai a piangere e mi accasciai sul divano.
-Non è vero…-, mormorai, coprendomi il volto con le mani.
Pensai al suo sorriso. Pensai alla sua voce. Pensai ai suoi passi. Pensai alla malvagità di chi lo aveva attaccato per tutti quegli anni.
E sentii qualcuno che mi abbracciava.
Alzai la testa, convinta che fosse stato lui che mi stringeva forte e che mi avrebbe sorriso dicendomi: “Sto bene, non preoccuparti”.
Ma dovetti ricredermi. Era mia madre che aveva preso posto accanto a me, non Michael.
Ovvio che non è lui, è morto, disse una vocina nella mia testa.
Non ce la feci più. Mi alzai e corsi di sopra.
Volevo stare da sola, in quel momento più che mai.
Entrai nella mia stanza e sbattei la porta.
Poster, cuscini, dvd, cd, foto, perfino un fotomontaggio di me e lui abbracciati.
C’era dappertutto.
Mi aveva fatto sempre compagnia e consolata nei momenti più bui.
E io gli avevo voltato le spalle.
Stavo bene e lui si sentiva male.
Ero allegra e lui soffriva.
Ero felice e lui moriva.
Mi gettai sul letto e continuai a piangere.
Non poteva essersene andato, e invece era proprio così.
Di solito sentivo la sua presenza, invece ora… l’unica cosa che provavo era dolore, tristezza e un’angoscia che venivano direttamente dal cuore.
Presi l’mp3 dalla tasca del pantalone e misi “Gone too soon”.
Sentivo il bisogno di piangere.
Era l’unico modo che avevo per far passare il dolore.
Far passare?
No, non avrei mai smesso di soffrire, né avrei mai dimenticato tutto quello che era successo, tutte quelle immagini terribili che avevo visto poco prima in televisione.
L’ambulanza…
I fans in lacrime…
Quel corpo ricoperto da un telo bianco che veniva portato nell’elicottero…
-Te ne sei andato troppo presto… proprio come l’arcobaleno dopo un giorno di pioggia…-.

Buio. Buio pesto. Totale. Non vedevo assolutamente nulla.
Credo che mi guardai intorno, ma non ne sono tanto sicura, perché era tutto così uguale e maledettamente tenebroso.
Mi sentivo oppressa, i polmoni reclamavano aria… pensai, per un millesimo di secondo, che io stessi per morire.
Tristezza, sopraffazione, tenebre… se quella non era la morte…
Poi, un luccichio lontano.
Era piccolo, ma mi ridiede la speranza.
Corsi verso quello spiffero di paradiso e il buio non fu più tale. Al mio fianco si aprivano strade, case ed edifici. Era scuro, sì, però c’era quella luce. Correvo a perdifiato verso di essa, non potevo perderla. La città sfrecciava accanto a me.
Mi stavo avvicinando, ed esultai. Vidi una sagoma in quel fascio di speranza. Una persona.
Corsi più veloce, e le gambe iniziarono a dolermi.
Ancora un po’, ci siamo quasi.
Lo vedevo. Vedevo chi era. Quel volto l’avevo ammirato ogni giorno della mia vita, ogni secondo della mia esistenza… non potevo crederci… eppure qualcosa non andava: perché era girato di spalle? Perché si stava allontanando? Perché fuggiva da me?
Provai a chiamarlo, ad urlare il suo nome, ma dalla mia bocca non usciva alcun suono.
No! No! Torna qui!
Correvo, ma non sentivo più le gambe. E lui si allontanava… lontano, lontano, sempre di più…
Non potevo fermarmi, perché se l’avessi fatto lui sarebbe scappato… ed io non potevo vivere senza di lui…
Improvvisamente, non sentii più la terra sotto i piedi. Precipitai nel vuoto, ma in alto potevo ancora vedere la sua luce. Non potevo gridare, non potevo chiamarlo… non esistevano suoni. Nulla.
Ma allora cos’era quel bisbiglio nelle mie orecchie che ogni secondo si faceva più insistente?
“Lasciami andare”, diceva.
Addio.

Mi svegliai urlando e con le lacrime agli occhi.
Guardai la sveglia digitale sul comodino. Erano le cinque di pomeriggio.
Mi portai le mani nei capelli e le lacrime continuarono a scorrere.
Era solo un sogno, ma mi aveva scossa profondamente.
Perché in fondo quell’incubo nascondeva una verità che, per quanto dolorosa, era realmente accaduta.
Se n’era andato. Si era allontanato da me.
-Ambra!-, urlò mia madre entrando nella stanza.
Mi vide piangere e si sedette sul letto. Mi abbandonai sul suo ventre.
-E Prince? Paris? Blanket? Come faranno senza un padre, eh? Come faremo noi fans senza di lui? Come farò io?-, singhiozzai mentre continuavo a piangere.
-Non serve a nulla essere tristi… prova a pensare che adesso lui sta bene…-.
-Bene? Bene!? Mamma, lui è morto! Morto! E io… io…-.
-Tu non potevi saperne nulla, bambina mia…-.
-Io credevo che quando succede qualcosa di brutto ad una persona che ami tu senti qualcosa… tipo dolore fisico o psicologico… invece io non ho provato niente. Niente. Anzi, vuoi sapere una cosa? Ero felice. Sì, felice, e invece lui stava malissimo… lui è morto, e io non ho mai fatto nulla per fargli capire che non era mai solo, non potevo aiutarlo, non potevo dirgli di stare più attento alle persone che lo circondavano…-.
Mi sdraiai sul letto, afflitta.
-Lasciami stare-, dissi, una frase così simile a quella con cui lui mi aveva pregato nel sogno… lasciami andare
Mia madre mi carezzò i capelli.
-Sorridi perfino quando il tuo cuore si spezza-, mormorò accanto al mio orecchio, per poi poggiare qualcosa sul letto e andarsene.
Rimasi qualche secondo immobile; decisi infine di alzarmi e vedere cosa mia madre aveva posato sul letto. Era il poster che avevo fatto cadere a terra quel pomeriggio e che avevo dimenticato di riprendere.
Adesso dimenticavo perfino il suo poster?
Non contava più nulla per me lui?
Era questo quello che era accaduto?
Avevo smesso di amarlo?
No, non era possibile!
Non avrei mai potuto fare una cosa del genere!
Mi passai nuovamente le mani nei capelli.
Posai il poster nel cassetto. Non ce la facevo a guardare il suo sorriso. Era troppo doloroso.
Mi sedetti sul letto e sospirai.
-E adesso?, mi chiesi. –Cosa faccio?-.
Ascoltare le sue canzoni mi avrebbe solamente provocato maggior dolore. Vivere senza di lui però era assolutamente impensabile.
L’intero mondo era vuoto e inutile senza la sua voce e il suo sguardo da bambino.
Ma allora?
Che senso aveva una vita piena di dolore? Che senso aveva continuare a respirare se la persona che ami non l’avrebbe più fatto?
Mi alzai e presi un biglietto e una penna.
Se questa è l’unica soluzione…

Cara mamma,
so che sarà troppo tardi quando leggerai questo biglietto.
Sappi che ti ho voluto bene e te ne vorrò per sempre, a te, papà e Maria.
Siete stato un punto fermo nella mia vita, ma non mi basta. Non basta perché il dolore si plachi. Addio.

P.S. Non giudicatemi: non riesco a vivere senza di lui.
Non posso vivere senza il suo sorriso.
E adesso lo rivedrò finalmente risplendere solo per me.


Piegai il biglietto e mi diressi alla porta.
Guardai un’ultima volta la mia stanza con i suoi occhi dappertutto, ma non piansi.
Tanto lo avrei rivisto tra poco.
Scesi giù.
Feci il giro della casa , ma non c’era nessuno.
Poggiai il foglio sul tavolo in cucina e aprii la porta d’ingresso.
Addio, pensai, e uscii fuori da quella casa, fuori dal mondo.

La città sfrecciava al mio fianco.
Correvo, correvo perché ero impaziente, correvo per non sentire la sofferenza, correvo per non farmi raggiungere da nessuno che mi conoscesse e che avrebbe potuto fermarmi.
Correvo e correvo.
Le gambe mi dolevano, ma non m’interessava.
Ora avevo qualcosa di più importante a cui pensare.
-Michael, aspettami-, mormorai.

La vedevo correre per la città con le lacrime agli occhi. Quanto dolore c’era nel suo cuore… una sofferenza enorme ed unica. Aveva tante altre cose da imparare, tante altre esperienze da vivere in quel mondo, tanto tempo da trascorrere felice e spensierata…
-La prego, lasci che io l’aiuti-, lo pregai.
In un attimo fu accanto a me.
-Ci tieni così tanto a lei?-, mi chiese.
Non so descrivere la sua voce, è come se tentassi di mettere insieme il rumore della pioggia, del vento, del fuoco, dei fiori, delle rocce, delle foglie e delle altre meraviglie del mondo con il verso di una fenice o di un unicorno… assolutamente indescrivibile.
-Gli altri non sono riusciti a salvarli semplicemente perché io non ero ancora qui. Ma quella ragazza… posso fare qualcosa per salvarla. Almeno ora. La prego-.
Sospirò, ma a me quel rumore parve più quello che faceva il vento passando fra le foglie.
-Va’-, mi disse, e io volai sulla Terra.
Altri dodici erano appena morti per causa mia… no, non potevo permettere che se ne andasse anche lei.


Il cuore batteva forte.
Il vento mi scuoteva i capelli.
Era tutto così piccolo dall’alto.
Un altro po’ riuscivo a toccare le nuvole con un dito.
I fidanzati avrebbero trovato il tutto piuttosto romantico, ma quello non era il momento adatto per pensare alle sdolcinerie.
Era tutto così calmo… così silenzioso…
Riuscivo a sentire il rumore del vento…
Sembrava che mi stesse chiamando…

Poi la vidi. Si trovava su un grattacielo e aveva gli occhi chiusi.
-Ambra! Ambra!-, urlavo, ma non mi sentiva. Ancora non l’avevo raggiunta.
-Ambra, non farlo!-.


Ambra… Ambra…
Sì, il vento sussurrava proprio il mio nome…
Mi stava dicendo che mi avrebbe cullata… che non avrei dovuto avere paura…
Chiusi gli occhi e feci un piccolo passo avanti, verso il cornicione.

-Ambra! No! Non farlo! Aspettami!-.

Aspettami… cosa avrei dovuto aspettare?
Che la polizia mi impedisse di ritrovare il mio Michael?
Che mia madre leggesse il biglietto prima che io avessi potuto coronare il mio sogno?
No… ormai avevo deciso. Nulla e nessuno mi avrebbe impedito di tornare indietro.
Lasciai scorrere l’ultima lacrima sulla mia guancia.
-Questo è per te, Michael…-.
Presi un bel respiro, aprii le braccia e mi tuffai nel vuoto.

La vidi abbandonarsi fra le braccia del vento con un’espressione serena sul volto.
Rimasi pietrificato.
Non poteva averlo fatto realmente…
No…
-Ambra!-, urlai più forte. –AMBRA!-.


Era stupendo.
Il vento che sembrava cullarti, la sensazione di libertà…
Poi, qualcosa andò storto.
Aprii gli occhi e vidi il cielo che si allontanava sempre di più.
Ma allora… non serviva a nulla… non l’avrei mai raggiunto…
Alzai il braccio verso le nuvole… solo allora mi accorsi che non le avrei mai toccate…
Rividi i volti di tutti i miei familiari e, per ultimo, quello di Michael.
Sentii una voce.
Solo quella.
Mi chiamava.
Gridava il mio nome come un ossesso.
Poi il buio.

Vidi il terrore e il dolore nei suoi occhi… aveva capito che non mi avrebbe mai incontrato…
Alzò il braccio verso il cielo… verso di me.
-Ambra! Ambra!-.
Mi avvicinai velocemente a lei.
La raggiunsi, finalmente.
E le nostre mani si incrociarono.

Luce.
Luce bianca.
Allora era il Paradiso…
Aprii gli occhi… o li avevo già aperti?
Mi guardai attorno.
-Ma che…-.
Mi trovavo di nuovo sul grattacielo.
Mi ero immaginata tutto?
Non mi stavo suicidando?
Mi sedetti.
Poi sentii un tocco sulla mia spalla.
Mi voltai, impaurita.
E mi bloccai.
Era lui.
Ed era bello, bello come il sole, bello come l’avevo sempre immaginato.
La sua pelle era candida e i suoi capelli nero carbone avevano la stessa consistenza delle nuvole. Gli occhi avevano dentro tutta la bellezza dell’arcobaleno.
Inoltre, cosa che non stonava affatto con il suo volto, aveva le ali. Ali bianche, da angelo.
-Stai bene, Ambra?-, mi chiese con una voce che assomigliava ai cori del Paradiso e che mi riempì il cuore di gioia.
-Sì… ma sono morta?-, chiesi, titubante.
Lui sorrise, e il mio cuore si fermò.
-No… a meno che io non sorrida di nuovo-.
Abbassai lo sguardo. Mi sentivo così… strana.
-Sei un fantasma?-, chiesi.
-No-.
Sospirai.
-Menomale… perché ho un po’ paura dei fantasmi… quando ho visto il video di “Ghost” se non ci fossi stato tu sarei scappata via terrorizzata…-, balbettai senza sapere il perché di quella rivelazione.
-Sì, lo so-.
Lo guardai scettica.
-Davvero?-.
Mi sorrise.
-Lascia perdere. Non è di questo di cui volevo parlare-.
La sua espressione divenne improvvisamente seria e severa. Non potevo guardarlo, e abbassai lo sguardo.
-Perché stavi per buttarti?-.
-Volevo solo incontrarti…-.
-E io no-, rispose secco lui.
Quelle parole mi pugnalarono, e iniziai a piangere.
Come poteva dire una cosa del genere?
-Non in quel modo-.
Mi bloccai e lo guardai.
Sorrideva.
-Ti sei mai chiesta perché tu ti sia sentita felice durante tutta la mattinata?-, mi chiese.
Io scossi la testa.
-Perché io ero felice. Non è vero che tu non hai sentito nulla. Quando hai visto il mio poster, io stavo esalando il mio ultimo respiro e tu ti sei sentita malinconica: io in quel momento pensavo a voi, e ai miei figli. Ho provato un po’ di dolore, ma poi sono diventato felice. E tu lo sei stata con me. Poi hai saputo la notizia e sei rimasta sconvolta. Io in quel momento stavo trapassando e sentivo tutte le emozioni di coloro che mi avevano amato, quindi ero in balia di milioni di sensazioni messe insieme. Poi tu ti sei fatta trascinare dall’oblio e dal dolore, e non ti ho sentita più. Così ti ho “spiata” dall’alto, visto che ormai mi trovavo nell’aldilà e avevo capito le tue intenzioni. Sono sceso sulla Terra apposta per salvarti e... menomale che ci sono riuscito!-, concluse trionfante.
Io lo guardavo allibita.
-Allora io non ti ho mai abbandonato…-, mormorai.
-Mai. Nessuno di voi l’ha mai fatto. E io non vi ho mai persi di vista. Beh, a parte…-.
Abbassò il capo e tirò un sospiro.
-A parte?-, lo incitai.
Lui alzò lo sguardo incrociandolo con il mio.
-Dodici ragazzi hanno preso la tua stessa decisione oggi, ma non sono riusciti a salvarli-.
Una lacrima brillò sul suo volto lucente.
Io l’asciugai prontamente.
-Non piangere-, gli dissi.
Lui sorrise.
-Questo dovrei dirlo io a te…-.
-Ma tu sei solo un bambino e devi essere consolato. Io sono più grande e devo assumermi questa responsabilità-.
Mi accarezzò una mano. Era la prima volta che mi toccava, e mi sentii la ragazza più felice della Terra.
-Ma tu sei solo una mortale e devi essere vegliata. Io sono un angelo e devo assumermi questa responsabilità-, rispose lui, dolce.
-Se sei tu a proteggermi allora mi fido-.
-Devi farlo, perché non ti lascerò mai-.
Strinse la mia mano, ma non mi sentivo a disagio pensando che stavo parlando con una persona morta. Strano, ma il suo tocco era caldo, e non freddo come tutti immaginavano.
-Come farai a capire che ho bisogno di te?-.
-Lo so e basta-, rispose semplicemente.
-Spiegati meglio-.
Iniziò ad accarezzarmi la mano con il pollice.
-È difficile da descrivere… ogni tanto “vedo” quello che fanno tutti coloro che mi amano… è come se avessi delle visioni. Per esempio, so che in Germania due ragazzi – Gustav e Viktor – si stanno abbracciando e piangono perché alla radio hanno appena ascoltato “Childhood”. So che in Francia una bambina di nome Charlotte sta intonando le note di “Heal the world”, e che in Cina una ragazza chiamata Ko-Ni ha appena dato un soldo ad un bambino povero dedicando questo suo gesto a me. So che fra due mesi circa in Italia due mie grandi fans – Orsola ed Elena – mi dedicheranno delle storie, e diverranno grandi amiche insieme ad una ragazza che ha il tuo stesso nome-.
Lo fissai allibita.
-Wow-, dissi solamente.
Lui annuì.
-Quindi mi basterà pensarti...-, mormorai.
-Beh, allora dovresti proprio aggiungere un letto nella tua stanza, perché tu mi pensi ogni secondo di ogni minuto di ogni ora di ogni giorno!-.
Scoppiai a ridere, e lui si unì a me.
Che bella sensazione la sua voce nelle mie orecchie!
-Basterà che tu mi nomini, o che mi dedicherai una buona azione, o che tenterai di ballare come me, e io sarò lì a ringraziarti, perché senza di voi ora non sarei proprio nulla-.
Gli sorrisi.
-Senti anche i tuoi figli?-.
-Ovvio. Loro sono la mia vita. Però è diverso, perché riesco a sentire e vedere tutto quello che fanno, dalla mattina alla sera, 24 ore su 24. Non li perdo mai di vista, insomma. Invece coi fans solo a volte. Però è stupendo vedere quante persone mi vogliano bene anche se non i hanno mai conosciuto di persona-.
-Noi sappiamo quello che traspare dalle tue canzoni. È come se ti conoscessimo da una vita, alla fin fine-.
Lui annuì.
-Spero che i piccoli non soffrano a lungo…-, mormorai.
-È dura perdere un padre, ma ce la faranno. Supereranno questo momento. Io sarò con loro sempre, ogni giorno. Neanche la morte può separare persone che si vogliono bene-.
Annuii.
Quanto era dolce quando pensava ai figli… erano davvero la sua vita…
Mi balenò un’idea in mente, ma chissà se lui sarebbe stato d’accordo. Beh, tanto valeva chiederglielo, no?
-C’è una cosa che ho sempre voluto fare…-, iniziai, arrossendo.
-E cioè?-.
Mi avvicinai a lui finché non rimasero cinque centimetri di distanza fra il mio volto e il suo.
I suoi occhi non tradivano alcuna emozione, erano innocenti e puri come sempre.
Sorrisi.
-Once all alone I was lost in a world of strangers, no one to trust on my own, I was lonely…-, iniziai ad intonare la prima strofa di “You are my life”, ma Michael mi guardava come se non capisse quello che stessi dicendo.
Sospirai e mi voltai.
-You suddently appeared, it was cloudy before, now it’s so clear. You took away the fear, you brought me back to the life…-.
La sua voce mi arrivò inaspettata e meravigliosa nelle orecchie. Era ancora meglio che sentire quella canzone dalle cuffie. Quel suono magnifico sembrava impregnare l’aria e riempirti il cuore.
Mi avvicinai a lui.
-Insieme?-, chiese.
Lo guardavo dritto negli occhi. Nessuna visione era più bella.
-Insieme-, risposi.
-You are the sun, you make me shine, or more like the stars who twinkle at night. You are the moon that glows in my heart. You’re my daytime, my night time, my world…-.
Sorridemmo entrambi.
-…you are my life…-.
Conclusi quel duetto felice come non lo ero mai stata prima.
Ma c’era un’altra cosa che volevo fare. Un’ultima cosa prima che se ne andasse.
Michael vide quello che avevo intenzione di attuare e sorrise.
-Ovvio che puoi, piccola-, disse, precedendo la mia domanda.
Io sorrisi e lo abbracciai.
Poi alzai il volto e gli lasciai un piccolo bacio sulle labbra.
-Questo non era previsto, però…-, disse lui.
Arrossii.
-E… ehm… è stata un’improvvisata…-, mentii. Da tutta la vita aspettavo quel momento.
Temevo però che si fosse offeso, ma – riusciva sempre a stupirmi – Michael iniziò a ridere.
-Improvvisata… sicuro…-.
Anche io risi. Come poteva offendersi?
Quando finimmo, sospirò.
-Ora devo proprio andare. Devo consolare… ehm… almeno qualche milione di persone-, terminò sorridente e modesto come sempre.
Io gli sorrisi.
-Certo. Ti capisco. Ma tanto sarai sempre vicino a me, vero?-, domandai, anche se sapevo benissimo la risposta.
-Contaci, piccola. Sempre accanto a te. Ah!-, esclamò improvvisamente. Si avvicinò a me e mi prese le spalle. I nostri volti si avvicinarono di nuovo.
-Ricorda: “Ora mi sveglio ogni giorno con il sorriso sul mio volto. Niente lacrime, niente dolore, perché tu mi ami”. Ogni volta che sarai triste, Ambra, tieni sempre in mente queste mie parole, chiaro?-.
Annuii.
-Lo farò per te. Promesso-, dissi.
Si librò in cielo e – dovevo aspettarmelo – attorno a sé si creò una splendente luce bianca.
-Sorridi perfino quando il tuo cuore si spezza-, mormorò salutandomi con una mano.
Ricambiai il saluto e lo vidi sparire fra la luce.
-Prega per noi da lassù, Michael-, mormorai. –E continua a proteggerci come hai fatto finora-.
Mi parve di sentire la sua risata da bambino diffondersi nel cielo, e per un attimo una nuvola prese la forma del suo volto.
Sorrisi e tirai un profondo sospiro.
Sì, tutta la mia vita stava per cambiare. Ora più che mai.




Ehm... ci siete?? Spero proprio che questo capitolo non vi abbia fatto piangere troppo... davvero, già mi sento in colpa per quelli precedenti, ora non sopporterei proprio di vedere le vostre lacrime... dovete sorridere, sorridereeee!!!! [SM=g27828] Fatelo per lui... per Michael...
Orsola
Micheal'sNewFan
00martedì 17 novembre 2009 15:38
MichaelInTheHeart, mi hai fatto rivivere quel momento. Quei giorni...oddio, piango... [SM=x47964]
Fa male, eccome se fa male...

Bravissima comunque, scusami se ho poche parole da dedicare alla tua FF, ma quello che hai scritto mi ha fatto rivivere quei giorni, e piangere è inevitabile...non ho parole, scusami...
Sei davvero brava e la tua FF è molto bella...
MichaelInTheHeart
00martedì 17 novembre 2009 15:46
Re:
Micheal'sNewFan, 17/11/2009 15.38:

MichaelInTheHeart, mi hai fatto rivivere quel momento. Quei giorni...oddio, piango... [SM=x47964]
Fa male, eccome se fa male...

Bravissima comunque, scusami se ho poche parole da dedicare alla tua FF, ma quello che hai scritto mi ha fatto rivivere quei giorni, e piangere è inevitabile...non ho parole, scusami...
Sei davvero brava e la tua FF è molto bella...



No, ti prego, non fare così... no non piangere... cavolo, ma perchè ho postato questo capitolo??? [SM=x47926]
Maledetta me, adesso tu stai male!!! No, non voglio che tu stia male, non voglio!!!!!!! [SM=x47964]
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