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I costi della Pubblica Amministrazione : Ecco quanto guadagnano i dipendenti di Regioni, Comuni e Province

Ultimo Aggiornamento: 12/03/2023 17:59
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Quanto guadagnano gli eurodeputati? Anche l'878% in più del reddito medio Ue

di Alberto Magnani29 luglio 2013Commenti (1)
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Argomenti: Italia | Olanda | Montecitorio | Gran Bretagna | Sofia | Germania | Parigi | Bruxelles



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Quanto guadagnano gli eurodeputati? Anche l'878% in più del reddito medio Ue
Sofia, capitale della Bulgaria. Fanalino di coda dell'economia Ue, con un Pil che supera appena i 50 miliardi di euro. Un dipendente statale guadagna poco più di 800 euro al mese. Lordi. Un secondo dipendente, sempre in forza alle istituzioni, 17.7782 euro. Che cosa cambia? Il secondo è un eurodeputato. E il suo stipendio ammonta a 20 volte tanto quello di un qualsiasi cittadino del paese che rappresenta.

I benefit di Montecitorio sono noti. Ma volando a Bruxelles, tra scranni insediati da deputati portoghesi ed estoni, belgi e ciprioti, il dislivello tra stipendio dei deputati e dei cittadini "normali" si conferma. Scavando una voragine che il portale tedesco Preisvergleich.de quantifica nell'ordine degli 878 punti percentuali: 213.924 euro per gli eletti di Strasburgo contro i 21.844 dei cittadini "comuni" di Roma, Atene o Parigi. Una candidatura vincente per Bruxelles vale fino al 2.000% in più rispetto alla media dei redditi del Vecchio Continente. Tanto che un dipendente bulgaro, per avvicinarsi allo stipendio di circa un milione di euro incassato dai deputati Ue nell'arco di una legislatura, dovrebbe lavorare per 108 anni.
Va detto che i parlamentari di Sofia a Bruxelles non superano le 18 unità. Un'élite di intimi rispetto alle medie dei quattro primatisti: dalla Germania, solitaria in vetta con 99 deputati, a Italia, Francia e Gran Bretagna, che seguono con 73. Costando ai contribuenti europei 21 milioni di euro nel caso della Germania, 16 (a paese!) nel terzetto italiano, francese e britannico. Se si sommano gli stipendi dei parlamentari al servizio degli altri 23 paesi, il totale è di 161 milioni all'anno. Il 24% dell'intero bilancio di Bruxelles.

Come? "Merito" di un conto spese che somma retribuzione, indennità e bonus di varia natura: fisso di 7.956,87 euro (6.200 netti), rimborso di spese generali a 4.299 euro, rimborso per i costi di viaggio, alloggio e "spese connesse" di 4.323 euro, rimborso giornaliero di 304 euro. Senza contare un gettone di 152 euro per qualsiasi trasferta fuori dai confini europei, con spese di viaggio e hotel a carico dei contribuenti. L'Europa costa di più? Non sempre. E se in Bulgaria, Cipro o Ungheria lo scarto reddito cittadini-parlamentari è vistoso con l'Europa e ridottissima in casa propria, alcuni paesi arrotondano per eccesso anche il conto delle Camere nazionali.

Sui gradini più alti del podio spiccano ancora Germania, Francia e Italia. Salta la sola Gran Bretagna, scalzata dai Paesi Bassi. Nel dettaglio, i membri dell'Assemblea Nazionale di Parigi percepiscono un reddito annuo (lordo, come tutti quelli elencati di seguito) di 157.520 euro; i parlamentari del Bundestag di 150.432 euro, e quelli di Amsterdam 120.384. L'Italia si accontenta della medaglia di legno: 114.601 euro annui.
Manca all'appello il capitolo benefit. Anzi: i capitoli benefit, a giudicare dal folto elenco di bonus, sconti ed esenzioni previsti per gli inquilini dei vari parlamenti. L'Italia fa scuola, aggiungendo a indennità di 5mila euro netti e diaria di 3503 euro la copertura delle spese di trasporto, di viaggio, di telefono e un "rimborso di fine mandato" di 3690 euro. Ma anche nel resto d'Europa, i parlamentari pagano meno di quanto dovrebbero tutti i servizi «essenziali» alle loro funzioni. O non pagano proprio. L'extra più curioso va a Malta: nessun ticket gratuito per i trasporti in treno, o marittimi come in Italia, ma un bonus di 230 litri di benzina gratuita al mese.


www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-07-29/quanto-guadagnano-eurodeputati-anche-164152.shtml?uuid=...
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Ecco la top ten delle pensioni d'oro: in testa Sentinelli con 91.337,18 euro al mese

di Marco lo Conte7 agosto 2013Commenta
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Argomenti: Previdenza complementare | Interbanca | Inter | PDL | Infostrada | Felice Crosta | Mauro Gambaro | JPMorgan Chase | Associazione Calcio



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Da sinistra in alto, Mauro Sentinelli, Mauro Gambaro, Alberto De Petris, in basso, Vito Gamberale, Alberto Giordano e Federico Imbert
Da sinistra in alto, Mauro Sentinelli, Mauro Gambaro, Alberto De Petris, in basso, Vito Gamberale, Alberto Giordano e Federico Imbert
È Mauro Sentinelli il pensionato più dorato d'Italia, con un reddito mensile di
91.337,18 euro al mese. Misterioso invece il nome del secondo della top ten dei vitalizi più ricchi, con i suoi 66.436,88 euro al mese. La classifica è stata resa nota dalla deputata Pdl Debora Bergamini, che ha diffuso la risposta del ministro Giovannini a una sua interrogazione parlamentare scritta. «I dati - dice l'esponente del Popolo delle Libertà - dimostrano quanto sia urgente un intervento sulle cosiddette pensioni d'oro». Ma chi sono gli italiani che godono dei vitalizi più alti? In testa alla classifica, come detto Mauro Sentinelli, ex manager e ingegnere elettronico della Telecom che ha visto lievitare le sue entrate negli ultimi due anni da 90.246 a 91.337,18 euro al mese. Lordi, ovviamente: incide la fiscalità generale e i prelievi già previsti sulle rendite più alte.

E già perchè l'idea di un prelievo dalle pensioni d'oro non è certo nuova, anzi: questo bacino rappresenta una risorsa importante per alimentare le rendite più basse; e per quanto limate da decreti e leggi varie, questi assegni restano un miraggio per la stragrande maggioranza di italiani. Detto del mistero sul secondo posto, l'identificazione di molte altre posizioni è possibile solo per induzione: la risposta all'interrogazione parlamentare, infatti, ha acclarato solo le cifre e non i nomi delle rendite più ricche. Non è difficile ricostruirne i titolari, almeno alcuni, con qualche margine di approssimazione (e di cui ci scusiamo in caso di imprecisione).

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Al terzo troviamo Mauro Gambaro: novarese, 67 anni, ex direttore generale di Interbanca e dell'Inter Football Club, per lui un vitalizio di poco meno 52mila euro al mese. Dietro di lui Alberto De Petris, ex Infostrada ed ex Telecom, che incassa circa 51mila euro, "tallonato" dal manager specialista della componentistica elettronica e dei semiconduttori Germano Fanelli, 65 anni, poco sotto i 51mila. Da qui in giù, l'attribuzione dei vitalizi ai nomi è meno certa: per Vito Gamberale, 69 anni, la pensione si dovrebbe aggirare poco sopra i 45 euro al mese, cosi' come Alberto Giordano, ex Cassa di Roma e Federico Imbert, ex JP Morgan.

Più in basso nella classifica si indovinano diverse new entry, rispetto al recente passato: difficile però indicare con certezza i nomi (e di ciò rimandiamo alle prossime puntate). Ma di certo, al di là della curiosità per i nomi, il tema dell'equità previdenziale è di stretta attualità. «Questi numeri - aggiunge l'on. Bergamini - dimostrano tutta la portata distorsiva di quel criterio retributivo dal quale ci stiamo fortunatamente allontanando grazie alle riforme pensionistiche degli ultimi anni. Benché gli interventi in materia siano particolarmente delicati, anche sul fronte della costituzionalità, e avendo cura di evitare qualsiasi colpevolizzazione verso i beneficiari di questi trattamenti, che li hanno maturati secondo le regole vigenti, è evidente che il tema coinvolge una questione di equità e di coesione sociale non più trascurabile dalle istituzioni, specialmente in un momento di grave crisi economica e di pesanti sacrifici per tutti».


www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-08-07/ecco-pensioni-testa-sentinelli-183418.shtml?uuid=...
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Dai consulenti ai portaborse, più di un milione di persone vivono di politica
Non ci sono solo gli eletti in Parlamento e negli enti locali. Secondo uno studio della Uil, coloro che traggono una fonte durevole di guadagno da ruoli legati all'amministrazione pubblica sono in 1.128.722. E i costi, diretti e indiretti, ammontano a 23,9 miliardi

di Salvatore Cannavò | 3 novembre 2013Commenti (2338)
Dai consulenti ai portaborse, più di un milione di persone vivono di politica
Più informazioni su: Casta, Politica, portaborse, Sprechi.

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Un milione di persone. Nemmeno Max Weber, quando scriveva ’La politica e la scienza come professioni’ pensava ci si potesse spingere a tanto. Il grande sociologo tedesco scriveva infatti nel 1919: “Si vive ‘per’ la politica oppure ‘di’ politica”. Chi vive ‘per’ la politica costruisce in senso interiore tutta la propria esistenza intorno ad essa” […] Mentre della politica come professione vive colui che cerca di trarre da essa una fonte durevole di guadagno”.

Secondo uno studio della Uil, invece, coloro che cercano “di trarre dalla politica una fonte durevole di guadagno” sono più di un milione: 1.128.722. Un “paese nel paese” ma non nella forma poetica in cui Pier Paolo Pasolini definiva il Pci. Piuttosto “un mondo a sé”, come lo descrive il segretario confederale della Uil, Guglielmo Loy che ha curato la ricerca. La cifra viene ricavata sommando voci tra loro diverse ma tutte legate alla politica: gli eletti e gli incarichi di Parlamento e governo (1.067) quelli nelle Regioni (1.356), nelle Province (3.853) o nei Comuni (137.660). L’incidenza delle cariche elettive sul numero totale non è molto alta, il 12%.

La forza del sottobosco
I numeri si fanno più forti man mano che ci si addentra nel sottobosco: i Cda delle aziende pubbliche ammontano, infatti, a 24.432 persone; si sale a 44.165 per i Collegi dei revisori e i Collegi sindacali delle aziende pubbliche; 38.120 sono quelli che lavorano a “supporto politico” nelle varie assemblee elettive. I numeri fondamentali della ricerca sono riscontrabili nelle due ultime voci, quelle decisive: 390.120 di “Apparato politico” e 487.949 per “Incarichi e consulenze di aziende pubbliche”. “Quest’ultimo dato si basa su numeri certi e verificati” assicura Loy, mentre quello relativo agli “apparati” costituisce una “stima della stessa Uil ma una stima attendibile”. Nella nota metodologica, infatti, il sindacato spiega che i numeri derivano da banche dati ufficiali e da quello “che ruota intorno ai partiti” (comitati elettorali, segreterie partiti, collegi elettorali, “portaborse”, ecc.”. Loy la spiega così: “Ventimila voti di preferenza non sono il risultato solo di un voto ideologico ma espressione di relazioni concrete”. E, in tempi in cui l’ideologia è fortemente in crisi, “si affermano gli interessi e la spinta ad aumentare il proprio tenore di vita, l’affermazione di un sistema economico”.

La politica si fa industria, quindi. E il dato è riscontrabile nei numeri. Si pensi al costo dei CdA dei quasi settemila enti e società pubbliche: si tratta di 2,65 miliardi mentre per “incarichi e consulenze” la cifra è di oltre 1,5 miliardi di euro. Stiamo parlando di gente che lavora, ovviamente. Alcuni di loro, come i dipendenti di Rifondazione comunista, sono anche finiti in cassa integrazione oppure, come in An, licenziati. “Ma non hanno fatto alcuna selezione pubblica, non hanno seguito nessun merito” commenta Loy, “e vengono pagati con soldi di tutti”. Parliamo di collaborazioni dirette nei vari ministeri, assessorati, consigli elettivi, incarichi elargiti da questo o quel politico di turno. Oltre ai Francesco Belsito, Franco Fiorito, ai diamanti della Lega, alle ricevute di Formigoni o alle consulenze di Alemanno, gli esempi possono essere tutti leciti ma del tutto interiorizzati dalla politica.

I vari ministeri hano speso, nel 2012, oltre 200 milioni per collaborazioni dirette. Tra i dicasteri più attivi, gli Interni, l’Economia e Finanze, la Difesa e la Giustizia. Del ministero diretto da Alfano ci occupiamo a parte. Il Mef dispensa centinaia di incarichi nelle società partecipate. Alla Difesa, il ministro dispone di ben 18 collaboratori quanti ne ha quello della Giustizia. Gli incarichi sono quasi tutti di pertinenza politica. Come proprio addetto stampa, ad esempio, il ministro ha la stessa persona che ha lavorato per Pierferdinando Casini dal 2006 al 2013 e prima, ancora, con l’Udc Vietti, attuale videpresidente del Csm. Una “ricollocazione” avvenuta tutta nei rapporti della politica.

Fedeli al ministro
Nell’Ufficio di gabinetto troviamo l’autrice di un libro, Guerra ai cristiani, troppo presto dimenticato e scritto insieme allo stesso Mauro. Più esemplare è il caso del “Consigliere per gli affari delegati, del Sottosegretario di stato alla Difesa On. dott. Gioacchino Alfano”, Nicola Marcurio. L’interessato ha iniziato la carriera politica nel Comune di Sant’Antonio Abate, dove organizzava le iniziative religiose per il Giubileo. Diviene consigliere comunale nel 2000 e di nuovo nel 2005. Poi va a lavorare presso il Commissariato per l’emergenza di Pompei, da lì alla Protezione civile per il G8 dell’Aquila. Finisce al ministero come consigliere di Gioacchino Alfano il quale, guarda caso, è stato sindaco proprio di Sant’Antonio Abate. L’altro sottosegretario, Roberta Pinotti, Pd, tiene nel proprio staff Pier Fausto Recchia, deputato non rieletto alle ultime elezioni e quindi ricollocato. Tra i collaboratori del ministro della Giustizia, Cancellieri, troviamo Roberto Rao, già deputato, non rieletto, e già portavoce di Casini ma anche Luca Spataro, già segretario Pd di Catania. Se un deputato non viene rieletto gli si trova un nuovo incarico. Come a Osvaldo Napoli, pidiellino molto presente in tv, bocciato lo scorso febbraio e oggi vicepresidente dell’Osservatorio Torino-Lione. Moltiplicando questi casi per l’intero numero delle cariche elettive si può avere un’idea del fenomeno. Alla Regione Lazio, il presidente Zingaretti dispone di un ufficio stampa con ben dieci addetti mentre in Lombardia, i consulenti della Regione sono passati, con la gestione Maroni, da 57 a 93, tutti riscontrabili sul sito ufficiale. Per questa voce l’ente regionale spende 2,6 milioni di euro l’anno. L’esercito della politica vive e si autoalimenta così.

Un tesoretto da 10,4 miliardi
Secondo lo studio della Uil i costi della politica, diretti e indiretti, ammontano a circa 23,9 miliardi di euro. Per il funzionamento degli organi istituzionali si spendono 6,4 miliardi di euro, le consulenze e il funzionamento organi delle società partecipate 4,6 miliardi di euro, per altre spese (auto blu, personale di “fiducia politico” ecc) 5,8 miliardi di euro, per il sistema istituzionale 7,1 miliardi di euro. La somma che equivale al 11,5% del gettito Irpef pari a 772 euro medi annui per contribuente. La Uil quantifica in almeno 7,1 miliardi di euro i risparmi possibili con “una riforma per ammodernare e rendere più efficiente il nostro sistema istituzionale”. Tra le proposte, l’accorpamento “degli oltre 7.400 comuni al di sotto dei 15 mila abitanti”, con un risparmio di circa 3,2 miliardi. Se le Province “si limitassero a spendere risorse soltanto per i compiti attribuiti dalla Legge”, il risparmio sarebbe di 1,2 miliardi. “Con una più ‘sobria’ gestione del funzionamento degli uffici regionali”, si potrebbero risparmiare 1,5 miliardi di euro mentre 1,2 miliardi di euro l’anno potrebbero arrivare da una razionalizzazione del funzionamento dello Stato centrale. Aggiungendo a questi, una riduzione del 30% dei costi di funzionamento delle istituzioni si potrebbe arrivare a 10,4 miliardi di risparmi annui.

da Il Fatto Quotidiano del 28 ottobre 2013


www.ilfattoquotidiano.it/2013/11/03/dai-consulenti-ai-portaborse-piu-di-milione-di-persone-vivono-di-politica...


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Partiti, fino a 150mila euro per un seggio. Il tariffario della democrazia in vendita
Le chiamano “erogazioni liberali” ma di libero hanno ben poco: quei “contributi volontari” in realtà sono obbligati in forza di scritture private, atti notarili e contratti fatti sottoscrivere ai candidati prima di metterli in lista. Chi non si impegna a versare non viene candidato, chi non versa non sarà ricandidato. I partiti hanno anche fatto in modo che i versamenti (a loro stessi) siano esentasse. Ecco le quotazioni, partito per partito
di Thomas Mackinson | 25 febbraio 2016
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Con 150mila euro il Pd è quello che, a conti fatti, propone il seggio al prezzo più caro. Segue la Lega, che ai suoi candidati ne chiede 145mila, poi i Cinque Stelle, 114mila euro più quanto avanzato della diaria (che versano però allo Stato). Forza Italia, ormai in declino, si accontenta di 70mila euro. Ecco il “tariffario” della democrazia in Italia, dove dal 2008 – complice il Porcellum e i listini bloccati – tutti i partiti impongono ai propri candidati ed eletti una tassa sullo scranno in Parlamento, nei consigli regionali e nei comuni. Le chiamano “erogazioni liberali” ma di libero, in realtà, hanno ben poco: quei “contributi” sono tanto obbligati da fungere come condizione stessa della candidatura e della permanenza nelle Camere in forza di scritture private, atti notarili e contratti. Da corrispondere anche in comode rate. Chi non sottoscrive l’impegno decade dalla lista. L’eletto che non versa viene deferito alle “commissioni di garanzia” e non ricandidato al prossimo giro, salvo conguaglio. Così i partiti, senza eccezioni, si vendono i seggi alla luce del sole, così li vincolano poi in forza di statuti, regolamenti finanziari e perfino di pretesi “codici etici”. Un pratica che non fa scandalo e non tramonta mai. Tanto che già si preparano i nuovi “contratti” in vista delle prossime amministrative.


Il commercio delle candidature passa sotto silenzio. Non come la famosa “multa” da 150mila euro con cui i Cinque Stelle pensano d’imporre ai propri eletti il vincolo di fedeltà per arginare transfughi e dissenzienti. Quel “patto di candidatura” che viene proposto – senza eccezioni – da quasi dieci anni a questa parte non è però migliore: si fonda sempre sulla preventiva sottoscrizione di obbligazioni patrimoniali della persona, con l’aggravante (semmai) di agire non sul vincolo di mandato quanto sull’accesso dei cittadini all’esercizio democratico dell’elezione. “E’ una pratica estorsiva”, arriva a dire l’ex tesoriere del Pdl Maurizio Bianconi che all’ultima tornata delle politiche stracciò assegni e contratti in via dell’Umiltà. Di sicuro è un veleno altrettanto fatale per la vita democratica che incrocia, non a caso, analoghi dubbi di incostituzionalità. Ma mica per ragioni “alte”, come può essere l’insindacabilità del mandato elettivo: per la pretesa dei partiti di esentare dal Fisco le “restituzioni” dei loro eletti. Beneficio che, manco a dirlo, hanno prontamente concesso (a se stessi). Per legge.



www.ilfattoquotidiano.it/2016/02/25/partiti-fino-a-150mila-euro-per-un-seggio-il-tariffario-della-democrazia-in-vendita/...
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Derivati, la storia della Voragine che costa agli italiani 4,7 miliardi l’anno
Derivati, la storia della Voragine che costa agli italiani 4,7 miliardi l’anno
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Il libro-inchiesta del giornalista Luca che racconta "La folle scommessa dei derivati di Stato. I contratti segreti con le banche. Il buco nei conti pubblici di cui nessuno parla”
di Costanza Iotti | 17 gennaio 2017
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Più informazioni su: Derivati, Mario Monti, Morgan Stanley
È Capodanno 2012. I banchieri di Morgan Stanley brindano a champagne perché i rischi sull’Italia sono scesi da 4,9 a 1,5 miliardi in tre giorni. Che cosa è accaduto? La banca americana ha “dato esecuzione ad alcune modifiche relative alla ristrutturazione di contratti derivati”. E l’Italia, all’epoca governata da Mario Monti, ha sborsato circa 3,4 miliardi senza battere ciglio. La cifra è da capogiro e da sola potrebbe finanziare la ricostruzione di Amatrice e Accumuli. Ma, in realtà, rappresenta una goccia nel mare se confrontata 47 miliardi di potenziale esborso stimato fra il 2011 e il 2021 per tutti i derivati sottoscritti dallo Stato italiano. Si tratta di una enorme quantità di denaro su cui il giornalista dell’Espresso Luca Piana ha voluto far luce con il suo nel libro-inchiesta La Voragine (edizioni Mondadori), che racconta “La folle scommessa dei derivati di Stato. I contratti segreti con le banche. Il buco nei conti pubblici di cui nessuno parla”.


In 168 pagine, La Voragine ripercorre all’indietro la storia spiegando perché lo Stato italiano ha sottoscritto questi onerosi contratti e quali sono gli effetti per le tasche degli italiani. Emergono inoltre personaggi chiave, segreti, misteri e giochi di potere che ruotano attorno a “una scommessa – fatta dal Tesoro – sull’andamento dei tassi d’interesse”. “Ma un governo, uno Stato, può scommettere i quattrini dei propri cittadini? Può anche soltanto esporsi al sospetto di aver tentato di speculare?”, si domanda Piana ripercorrendo le tappe che hanno portato lo Stato a sottoscrivere quelle che il finanziere Warren Buffett chiama “armi finanziarie di distruzione di massa”. Prima ancora di essere una scommessa, un derivato è uno strumento di copertura dai rischi le cui clausole però, nella migliore delle ipotesi, non sono state adeguatamente soppesate dal ministero delle Finanze.

Già dai tempi di Dini: “Nel gennaio 1994, il Tesoro aveva firmato il contratto con Morgan Stanley che ben 18 anni più tardi provocherà all’Italia il terribile salasso di 3,4 miliardi di dollari del Capodanno 2012 – ricorda Piana – Si trattava di una specie di accordo «ombrello» sotto cui far ricadere tutti gli specifici derivati che le due parti faranno negli anni successivi. È in questo accordo quadro, dunque, che compare una clausola che, dopo i fatti del 2012, farà discutere a lungo. Si tratta di una specie di via d’uscita garantita alla banca; se le condizioni di mercato sono favorevoli all’istituto, che in termini di flussi d’interessi ci sta guadagnando più di una certa cifra, Morgan Stanley può esigere la chiusura di tutti i derivati che ricadono sotto l’accordo, esigendo il pagamento immediato dei profitti. Badate bene: questa clausola vale solo per la banca”. Non anche per il Tesoro che, infatti, paga non appena Morgan Stanley batte cassa. La vicenda fa scalpore. A poco e nulla valgono le spiegazioni dei vertici dell’amministrazione pubblica: “Si era tentato di modificare tale accordo (…) ma la controparte aveva sempre rifiutato di intavolare una discussione in tal senso”, spiega Maria Cannata, responsabile della direzione debito pubblico del Tesoro. Non solo. Quando il Movimento 5 Stelle chiede di poter prendere visione dei contratti, viene rispedito al mittente perché gli atti sono “top secret”.

Intanto a Trani, il pubblico ministero Michele Ruggiero mette sotto inchiesta le agenzie di rating Standard & Poor’s e Fitch, che con i loro giudizi avrebbero messo sotto pressione i tassi facendo quindi scattare la clausola a favore di Morgan Stanley. Nella piccola procura pugliese sfilano così ministri, funzionari banchieri che danno la loro versione dei fatti. Quando il pm chiede a Mario Monti se è vero se è vero che, da premier, ha pagato 2,5 miliardi a Morgan Stanley (la cifra vera è però 3,1 miliardi), lui dichiara che non è “ in grado di dare una risposta”. Dalle carte, si scopre poi che fra il Tesoro e la banca c’era un accordo di assoluta segretezza sull’avvenuto pagamento da parte dell’Italia. Un patto violato provocando le ire della Cannata che spiega come Morgan Stanley “da noi non ha preso più un mandato”. E poi racconta anche come fu il ministro Siniscalco a concludere i contratti per conto dello Stato italiano. Salvo poi pretenderne il pagamento una volta entrato nei ranghi dell’istituto statunitense.

Per le casse pubbliche tutti i derivati sottoscritti dal Tesoro con diverse banche d’affari sono un vero e proprio salasso: circa 23,5 miliardi, con una media di 4,7 miliardi l’anno, solo fra il 2011 e il 2015. Senza contare poi che “per il periodo che va dal 2016 al 2021 stiamo parlando di oltre 24 miliardi di euro. Se a questo conto si somma l’esborso di 23,5 miliardi già sostenuto per il periodo 2011-2015, ne risulta un totale superiore ai 47 miliardi di euro in undici anni – spiega Piana – Una cifra enorme, che in parte è già uscita e in parte uscirà dalle casse dello Stato per beneficiare le banche che hanno sottoscritto i derivati con il Tesoro”. E pensare che il costo di un solo anno di derivati basterebbe e avanzerebbe all’Italia ad evitare la manovrina che ci sta chiedendo adesso la Commissione Europea.

www.ilfattoquotidiano.it/2017/01/17/derivati-la-storia-della-voragine-che-costa-agli-italiani-47-miliardi-lanno/...
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Mentre sono ancora calde le polemiche sul super cachet di Conti per Sanremo La Stampa pubblica tutti i compensi dell'ultima stagione Rai. La Clerici incassa 3 milioni, Insinna poco meno. Molti big riescono ad arrotondare grazie a prestazioni "extra". E i contratti firmati da Campo Dell'Orto per fiction, format e cachet dei conduttori impegnano la bellezza di 340milioni di euro. La parte del leone? Ancora e sempre Endemol e Magnolia
di F. Q. | 8 febbraio 2017
163
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Più informazioni su: Compensi, Festival di Sanremo 2017, Lucia Annunziata, Michele Santoro, Rai
Risparmiare, riorganizzare e rilanciare la produzione Rai di format a pagamento a favor di major e dove possibile i cachet a molti zeri dei conduttori. Un anno e mezzo dopo l’inizio dell’era Campo Dall’Orto le cose sembrano andate in un’altra direzione. E non solo per i cachet delle polemiche legati a Sanremo, con Carlo Conti che per la sua terza conduzione porterà a casa 650mila euro, 100mola in più rispetto alla precedente edizione. A serata sono 130mila euro. Il fatto è che il direttore generale con limite di spesa – aumentato rispetto ai predecessori – fino a 10 milioni, solo negli ultimi sei mesi del 2016 ha firmato 129 contratti per un ammontare complessivo che sfiora i 340 tra cachet dei conduttori, format, produzioni di fiction e programmi vari. Chiaro che si tratti degli anticipi, ma il conto finale si annuncia salato.

Ne da conto La Stampa di oggi in un servizio di due pagine che snocciola, tramite documenti interni, anche gli assegni incassati nel 2016 dalle star del piccolo schermo che spesso hanno preso per “prestazioni non previste” anche più di quanto previsto espressamente dal contratto. E allora:

Michele Santoro – Per tre programmi la sua Zero Studios Spa incassa 2,7 milioni di euro
Antonella Clerici – Per due anni costa 3 milioni tra “Prova del cuoco” e “Ti lascio una canzone”
Bruno Vespa – Aveva un minimo garantito da 1,8 milioni, ma ne ha incassato uno di più
Lucia Annunziata – Prende 460mila euro a stagione, in forza di un contratto triennale da 1,3 milioni
Flavio Insinna – Per “Affari tuoi” su Rai1 incassa 1,2 milioni a stagione
Piero Angela – Ha un contratto da 1,8 milioni per 4 anni in scadenza
Fabrizio Frizzi – Ha guadagnato 181mila euro più del previsto
Massimo Giletti – Per “L’Arena” ha un minimo garantito di 500mila euro lordi l’anno, nel 2016 però ne ha incassati 313mila di più per extra
E veniamo ai contratti con le società, con ricchi premi e cotillons. Negli ultimi sei mesi del 2016 Campo Dall’Orto ha attinto a piene mani dal ricco catalogo acquistando/confermando ben 16 format esterni. La parte del leone la fa Endemol che per due stagioni di “Affari tuoi” incassa 5,3 milioni e altri 2,96 per la quinta edizione di “Detto fatto”. Altra fetta consistente del budget va alla rivale Magnolia che incassa 5,6 milioni per “l’Eredità” che copre la prima serata di Rai1 per la stagione 2016-2017. Sempre Magnolia incassa 4,8 milioni per la licenza di “Pechino Express” su Rai2.

Nota di colore: a Carlo Conti, oggetto di polemiche per il super cachet di Sanremo, la Rai ha applicato una sanzione di 14mila euro rispetto al contratto. Motivo? Aver partecipato senza informare l’azienda a una puntata di “Amici” di Maria De Filippi, che presenta Sanremo ma senza compensi. Alla fine, un guadagno secco per l’azienda pubblica.

www.ilfattoquotidiano.it/2017/02/08/rai-da-clerici-allannunziata-ecco-gli-altri-conti-i-mega-contratti-della-rai-che-incassano-anche-di-piu-grazie-agli-extra/...
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Il Milleproroghe rinvia per l'ennesima volta la data della selezione, necessaria dopo che nel 2015 la Corte costituzionale ha bocciato l'assegnazione di incarichi in modo discrezionale. Ma nel frattempo alle Entrate e alle Dogane sono state effettuate nuove assegnazioni aggirando la sentenza: è bastato non chiamarli dirigenti ma Posizioni organizzative speciali e Posizioni organizzative a tempo
di Daniele Martini | 27 febbraio 2017
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Più informazioni su: Agenzia del Territorio, Agenzia delle Entrate, Consulta, Decreto Milleproroghe
Concorsi pubblici per i dirigenti delle Agenzie fiscali? Mai. È chiara quanto discutibile l’intenzione del governo in carica, che anche in questo caso si mette sulla scia dell’esecutivo precedente, di evitare la selezione pubblica per la individuazione di nuovi dirigenti nelle Agenzie governative, a partire da quella strategica delle Entrate. Alla chetichella nel decreto Milleproroghe è stato inserito senza tante spiegazioni un emendamentino con il quale viene rinviata per l’ennesima volta la data per l’espletamento del tanto atteso concorso.

Di rinvio in rinvio, è dal 2015 che va avanti così e la faccenda è grave per almeno due motivi. Il primo è che senza concorso il governo e i capi delle Agenzie si tengono le mani libere nella scelta dei dirigenti. Il secondo motivo è che così facendo viene di fatto eluso lo spirito di una sentenza della Corte costituzionale del 2015 che aveva praticamente bocciato le nomine di circa mille dirigenti effettuate fino a quel momento senza concorso, 800 circa alle Entrate e Territorio, 200 alle Dogane. Con quella sentenza la Corte aveva invitato il governo a organizzare la selezione pubblica per i nuovi dirigenti e il governo aveva fatto finta di voler rispettare l’autorevole indicazione salvo poi eluderla nei fatti.

A questo punto tutti coloro che aspettano il concorso si sono convinti che quella benedetta prova non si farà mai. Tutto ciò provoca “malcontento e delusione” come ha scritto in una nota molto polemica la Dirstat, la Federazione dei sindacati nazionali dei dirigenti e dei direttivi. Il disagio riguarda in particolare quei dipendenti pubblici “chiamati a combattere l’evasione fiscale che non è un optional, ma un imperativo categorico per cui servono massimo impegno e profonde motivazioni”. È dal 2001, anno in cui furono istituite le Agenzie fiscali, che i dirigenti delle stesse Agenzie vengono scelti con criteri assolutamente discrezionali, in contrasto con le norme che regolano la materia. L’andazzo ha creato un contenzioso amministrativo imbarazzante, alla fine risolto e sanzionato dalla Corte costituzionale.

Nelle intenzioni dei giudici della Consulta quella sentenza doveva rappresentare allo stesso tempo il blocco del vecchio sistema di nomina e l’avvio di una nuova fase. Non è successa né l’una né l’altra cosa. Per sopperire al vuoto che la sentenza stava creando dichiarando di fatto decaduti i vecchi dirigenti, la stessa Consulta aveva stabilito che al loro posto e in attesa del concorso, fossero promossi i funzionari più elevati in grado. Nel frattempo invece alle Agenzie sono state effettuate altre nomine con criteri discrezionali del tutto simili a quelli precedenti. Solo che per prudenza e pudore i nuovi nominati non vengono chiamati dirigenti.

Per loro la fantasia burocratica ha inventato due nuove caselle, quella dei Pos, Posizioni organizzative speciali e dei Pot, Posizioni organizzative a tempo. In questi ultimi due anni alle Agenzie fiscali sono stati nominati circa 700 tra Pos e Pot, e in moltissimi casi la scelta è caduta, guarda caso, proprio sugli stessi dirigenti la cui posizione era stata dichiara illegittima dalla Consulta. Di fatto si è trattato di una specie di rinomina discrezionale e mascherata dei dirigenti che dovevano essere rimossi. In pratica si è trattato di una forzatura. L’unica differenza rispetto a prima è lo stipendio: a fine mese lo Stato paga Pos e Pot circa il 10 per cento in meno rispetto a prima.

di Daniele Martini | 27 febbraio 2017


www.ilfattoquotidiano.it/2017/02/27/agenzie-fiscali-slitta-ancora-il-concorso-per-i-dirigenti-ma-in-700-sono-stati-gia-nominati-con-un-escamotage/...
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Niente di nuovo sotto il sole ci troviamo in Italia la terra dei cachi.
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Nel 2012 è stata introdotta l'incompatibilità tra eletti e incarichi professionali retribuiti nelle pubbliche amministrazioni. Ma in Commissione Bilancio si riapre il capitolo delle consulenze. Unico limite: non potranno essere affidate dallo stesso ente in cui si è eletti. Ma basta andare nel comune a fianco o in un'altra regione. Ecco come hanno resuscitato il doppio lavoro degli eletti
di Thomas Mackinson | 29 maggio 2017
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3,9 mila
Più informazioni su: Consiglieri Comunali, Consiglieri Regionali, Doppio Incarico, Manovra Correttiva
Zac e zac, un colpo di forbici e una penna. E 143mila politici locali di tutta Italia hanno riacquistato di colpo il diritto al “doppio incarico”, quello di consigliere per il quale ricevono emolumenti e rimborsi dal proprio ente d’elezione e quello ​di consulente geometra, avvocato, progettista o ingegnere collaudatore. Unico limite: non farlo nell’amministrazione in cui occupano​ la poltrona. Ma basta andare in quella a fianco e l’incompatibilità, come d’incanto, non c’è più. E’ una delle sorprese della “manovrina” che in fase emendativa sta funzionando come una macchina del tempo che sposta le lancette della legge secondo i desiderata del momento.

Il Tar ha bocciato le nomine dei nuovi direttori dei musei? L’indomani spunta l’emendamento ad hoc che reinterpreta la legge 16 anni dopo, annullando il divieto. La stessa cosa succede oggi per consiglieri di 6mila comuni ​e 20 regioni d’Italia cui il governo Monti, cinque anni fa aveva messo un freno. A garanzia del risparmio e del buon andamento delle pubbliche amministrazioni, agli eletti venne vietato per legge di svolgere incarichi professionali remunerati. Al massimo, potevano percepire il rimborso delle spese sostenute e gettoni di presenza non superiori a 30 euro ma limitatamente a quelli obbligatori per legge, come il revisore dei conti. Per il resto, niente incarichi.


Quell’impiccio, evidentemente, dà fastidio a molti. Così nella prima versione della manovrina l’incompatibilità è stata rimossa per i 1.117 consiglieri regionali, purché la pubblica amministrazione conferente operi in ambito territoriale diverso da quello dell’ente presso il quale è rivestita la carica elettiva. Per i soli consiglieri comunali la limitazione era estesa all’area provinciale o metropolitana in cui esercita la carica elettiva. Troppo, deve aver pensato il deputato Pd Giuseppe Sanga. Ed ecco che l’onorevole si fa promotore in Commissione Bilancio di un emendamento ad hoc all’articolo 22 che riduce il divieto al solo comune d’elezione.

Così il consigliere o assessore che volesse svolgere incarichi di progettista per un’amministrazione pubblica potrà farlo semplicemente in quella a fianco. Ad esempio un consigliere regionale del Lazio che svolge la professione d’avvocato potrà essere remunerato nel caso in cui sia chiamato ad assistere legalmente in una causa (o incaricato per una consulenza) un ente locale di qualsiasi livello in Liguria o in una qualunque altra Regione diversa dal Lazio. ​Idem per il consigliere comunale di Forlimpopoli che potrà esercitare la sua professione al servizio del comune di Ospedaletto con cui la sua amministrazione confina.


Il blitz a favore del doppio lavoro dei consiglieri passa, ma non inosservato. Attaccano, ad esempio, i deputati di Alternativa Libera: “La scelta del Partito Democratico di cancellare il divieto per le pubbliche amministrazioni di dare incarichi professionali retribuiti a quanti sono già titolari di cariche elettive in enti locali è un vero e proprio insulto ai tanti professionisti, soprattutto giovani, che, in un periodo di crisi come quello attuale, si vedono ridurre le opportunità lavorative e di guadagno in favore dei rappresentati dei partiti”.

Va anche detto che ​dal 2012 ad oggi molti consiglieri avevano fatto ricorso​ e sollevato eccezioni​ contro la legge. I ricorsi erano poi andanti però a sbattere sul portone della Corte Cost​it​uzionale che giusto l’anno scorso si è espressa ​in difesa dei vincoli riferiti a tutte le ipotesi di incarico​. Perché la ratio della legge, spiegava la Corte, non era la “preclusione dello svolgimento degli incarichi in favore delle pubbliche amministrazioni da parte dei titolari di carica” elettiva bensì “escludere che il titolare di tali cariche potesse percepire ulteriori emolumenti”. In pratica che gli incarichi venissero subordinati a logiche politiche anziché di garanzia della buon andamento dell’amministrazione. Con la manovrina quegli incarichi non saranno più vietati ma facoltativi. Basterà spostarsi di qualche chilometro per uscire dal perimetro dei divieti. Magari coperti con rimborso della benzina. E i consiglieri d’Italia, fin d’ora, ringraziano.

www.ilfattoquotidiano.it/2017/05/29/manovrina-lemendamento-pd-ripristina-doppi-incarichi-per-143mila-politici-locali/...

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I dati forniti dalla prefetture siciliane sul triennio, però, non convincono. E nemmeno quelli di Sardegna e Puglia relativi al 2014. Critiche alla gestione emergenziale, che fa salire i costi, e agli affidamenti diretti o bandi con l’unico principio del massimo ribasso

di Lorenzo Bagnoli | 24 marzo 2018
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730
Più informazioni su: Centri di Accoglienza, Migranti
La prima accoglienza, in Italia, nel 2016 è costata 1,7 miliardi di euro per 2.332 strutture. Il contributo dell’Unione europea alla spesa per l’accoglienza in Italia vale il 2,7% del totale: 38,7 milioni di euro. Sono le considerazioni contenute nella delibera della Corte dei Conti del 7 marzo sul sistema di prima accoglienza. Uno studio che si concentra sul triennio 2013-2016, sul quale ancora non sono sciolti tutti i dubbi rispetto al modo in cui è stato gestito il sistema. Critiche per l’Europa rispetto alla mancata relocation dei profughi in altri Paesi europei: al 15 ottobre 2017, stima la Corte, la spesa extra per l’Italia è stata di 762,5 milioni di euro.

Nel 2013, prosegue la delibera, il costo giornaliero pro capite medio per migrante è oscillato “da un minimo di 4,97 euro per la Sicilia e 11,63 euro per la Puglia, fino ad un massimo di 56,16 euro per l’Emilia Romagna” (Lazio e Abruzzo non pervenuti). La forbice si è ridotta con il tempo, assestandosi tra i circa 5-10 euro delle regioni d’arrivo dei migranti fino ai 35-40 di quelle del Nord.

I dati della Corte dei Conti sono elaborati a partire dai numeri inviati dalle Prefetture. Eppure, scrivono i revisori, qualcosa non torna. I dati forniti dalla prefetture siciliane nel triennio non convincono e nemmeno quelli di Sardegna e Puglia del 2014. La Corte invierà il report alle sezioni regionali in modo che fughino ogni dubbio. Diverse sono state in Sicilia le inchieste della Guardia di finanza rispetto all’uso dei fondi destinati all’accoglienza. Ad esempio, la procura di Ragusa ha rimandato a processo dieci persone che lavoravano in una onlus per un ammanco di 1,6 milioni di euro tra il 2005 e il 2014. Ma inchieste per scoprire dove sono finiti i soldi per i centri riguardano anche il Cara di Mineo e l’hotspot di Pozzallo, per fare sono alcuni esempi.

Tra le Prefetture analizzate a campione dallo studio della Corte dei Conti c’è quella di Avellino, dove è emersa la “non puntuale contabilizzazione dei dati gestionali, soprattutto con riguardo al rilevamento delle effettive presenze giornaliere nei centri, e l’assenza di un corretto sistema di controllo da parte di una prefettura”. Il tutto si è tradotto in due processi in corso, a Napoli e Avellino.

Tra le raccomandazioni che chiudono la delibera, i revisori scrivono che “l’aspetto dell’immigrazione non può essere più gestito come “fenomeno emergenziale””. Al contrario, il sistema italiano continua a essere dominato da Centri di accoglienza straordinari, aperti in fretta e furia dalle Prefetture, senza la programmazione necessaria a gestire meglio il sistema, senza costi aggiuntivi. In più, i revisori sottolineano come non sempre le Prefetture si impegnino, preventivamente, ad effettuare “i controlli antimafia, economici e strutturali sui soggetti privati, c.d. gestori, che saranno chiamati ad erogare i servizi”. Il motivo, ancora una volta è legato alla perenne emergenza. I revisori contestano anche l’uso di affidamenti diretti o bandi con l’unico principio del massimo ribasso.

Altro fronte di preoccupazione per la Corte dei Conti sono gli sprechi legati alla “mancata accoglienza”, cioè l’interregno in cui i richiedenti asilo aspettano di sapere l’esito della propria domanda. Ogni apertura di pratica d’asilo – prevista dalla Convenzione di Ginevra per tutte le persone che scappano da condizioni di pericolo – è di 203,95 euro di media, escludendo i ricorsi. Dal 2008 al 2016 la Corte ha individuato 340mila pratiche esaminate al costo di 69,3 milioni di euro. Il problema è che le richieste accolte sono 36.660, l’11% del totale. Gli altri hanno avuto il diniego e sono diventati irregolari e questo “investimento a metà” per l’accoglienza è una perdita per le nostre casse. I revisori per questo si auspicano che “si possa arrivare a concretizzare un metodo di valutazione e vaglio maggiormente celere”.


www.ilfattoquotidiano.it/2018/03/24/migranti-corte-dei-conti-prima-accoglienza-costata-17-miliardi-nel-2016-dalla-ue-contributo-di-soli-387-milioni/...
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Fabio Fazio dopo il rinnovo guadagna 2,1 milioni di euro all’anno

Carlo Conti guadagna altrettanto: 2 milioni di euro all’anno


Antonella Clerici guadagna 1 milione e mezzo di euro

Flavio Insinna guadagnava 1 milione e 300mila euro


Bruno Vespa guadagna 1 milione e 300mila euro


Michele Guardì guadagna 1 milione e 200mila euro


Amadeus si ferma a 900mila euro

Luciana Littizzetto arriva a 800mila euro

Alberto Angela non arriva ai 500mila euro


Giancarlo Magalli prende gli stessi soldi di Alberto Angela


Anche Milly Carlucci si assesta sulla cifra di 400mila euro

ucia Annunziata arriva attorno ai 400mila euro annui



it.finance.yahoo.com/foto/conduttori-pi%C3%B9-pagati-rai-slideshow-wp-081851897/photo-p-fabio-fazio-dopo-il-photo-081851...
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11/06/2018 20:10
 
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Parlamentari più ricchi grazie alle diarie, ai rimborsi spesa per lʼesercizio del mandato, i trasferimenti, i viaggi, il telefono






LEGGI DOPO
COMMENTA
Premier Giuseppe Conte, stipendio "light" da 6.700 euro al mese
Tagliare i costi della politica. Il Movimento 5 Stelle, con il premier Conte, potrà farlo, anche se non per propri meriti. Il neo presidente del Consiglio guadagnerà infatti 80mila euro all’anno netti, per uno stipendio mensile di 6.700 euro. Emolumenti sempre rispettabili, ma in teoria inferiori rispetto a quello dei semplici deputati o senatori. Conte è infatti un non eletto e non gode quindi della cosiddetta "indennità parlamentare"

Stipendio ottimo, ma inferiore in ogni caso a quello del Capo dello Stato (che prende 239.000 euro l'anno) e a molti deputati e senatori che percepiscono anche oltre i 13mila euro, grazie alle diarie, ai rimborsi spesa per l'esercizio del mandato, i trasferimenti, i viaggi, il telefono.

Il premier italiano guadagna meno anche rispetto ad altri capi di governo. Per esempio Angela Merkel ha uno stipendio di circa 316mila euro l’anno, mentre Alain Berset, primo ministro svizzero, guadagna 412mila euro l’anno. Il leader di governo più pagato è quello australiano, Malcolm Turnbull, che si intasca la bellezza di 450mila euro l’anno.

Conte userà l'appartamento a Palazzo Chigi ma non come abitazione esclusiva - Conte userà l'appartamento di Palazzo Chigi destinato ai presidenti del consiglio, ma non come abitazione esclusiva, visto che manterrà l'appartamento nel centro storico di Roma. Lunedì, pur avendo finito alle 3 di notte di limare il discorso per la fiducia al Senato, Conte è andato a dormire a casa. L'appartamento di Palazzo Chigi era rimasto disabitato durante il mandato di Paolo Gentiloni, che ha preferito continuare ad abitare nei pressi di largo Santa Susanna, mentre Matteo Renzi lo usò come abitazione esclusiva.


www.tgcom24.mediaset.it/politica/premier-giuseppe-conte-stipendio-light-da-6-700-euro-al-mese_3144175-20180...
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La storia dura da 16 anni, da quando nel 2002 l'allora governatore Fitto decise di dotare il suo ente di una nuova casa: sarebbe dovuta costare 40 milioni, ma ne serviranno almeno 87. Colpa di cambi in corsa, irregolarità e lavori a rilento. E ora indaga anche la Procura. E anche il presidente Michele Emiliano vuole vederci chiaro

di Rosanna Volpe | 11 novembre 2018
4
1,7 mila
Più informazioni su: Codacons, Michele Emiliano, Raffaele Fitto, Regione Puglia, Sprechi
Non ci sono solo le plafoniere da 637 euro ciascuna a turbare il sonno dei pugliesi, ma anche una lunga lista di spese pazze che riguardano la nuova sede della Regione. La settimana scorsa il programma Non è l’arena di La7 ha alzato il polverone sulla vicenda, anche se – a onor del vero – più volte la stampa locale ci aveva provato. A rincarare la dose ci ha pensato poi il Movimento Cinque Stelle che oltre alle plafoniere (ne servono 1.600 per un costo totale di 1.019.200 euro), ha messo nero su bianco altre spese: 228mila euro per un gruppo elettrogeno, 290mila per 19,6 chilometri di cavi. Per non parlare delle postazioni di lavoro: i dipendenti del Consiglio regionale sono 300, ma le postazioni di lavoro saranno 1.102. La vicenda ha quindi preso una piega diversa e – dopo gli esposti presentati dal M5s, a cui se n’è poi aggiunto un altro del Codacons – è arrivata in Procura. Al momento non ci sono indagati né ipotesi di reato. Il fascicolo è stato aperto dalla pm Savina Toscani, che ha chiesto alla Guardia di finanza di acquisire, nei competenti uffici regionali, la documentazione relativa al cantiere.





1:26 / 1:26
California, soccorritori: è il peggior...


Nel frattempo il governatore Emiliano ha promesso – ai microfoni di La7 e sulla sua pagina Facebook – che farà chiarezza sulla vicenda. “Se qualcuno ha commesso un errore, dovrà avere molta più paura di me che di lei” risponde a un giornalista. Quindi, ha istituito un collegio di vigilanza composto – oltre che da se stesso – dall’assessore Gianni Giannini, dal capo di gabinetto Claudio Stefanazzi, dal commissario di Asset Elio Sannicandro, dal direttore del dipartimento Barbara Valenzano e dal capo dell’avvocatura Rossana Lanza. Una sorta di task force che avrà il compito di verificare la corrispondenza alle leggi e alle regole di economicità della condotta del direttore dei lavori e del responsabile unico del procedimento che, in via esclusiva, avevano il compito di verificare la congruità dei costi delle plafoniere incriminate. Emiliano infine ha dato ordine di sospendere la fornitura “se ancora in itinere e, comunque, ogni pagamento nei confronti della ditta che ha acquistato le plafoniere sino a esito delle verifiche disposte”.


Il progetto per la realizzazione della nuova sede della Regione Puglia era ambizioso e prevedeva un asilo, un campo da calcio, uno da tennis, una sala fitness, grandi fontane. Oltre agli uffici del consiglio regionale oggi ospitati in un palazzo in via Capruzzi che costa di 1,5 milioni di euro all’anno. Il progetto risale al 2002, quando l’allora presidente della Regione Raffaele Fitto decise di dotare il consiglio regionale di una nuova sede. Viene avviata una gara di progettazione. Anni dopo si scoprirà che quella gara era truccata. La vicenda è andata avanti per anni tra modifiche, ripensamenti e cinque varianti. I costi nel frattempo sono saliti da 40 a 87 milioni. Nel 2010 la Regione, guidata da Nichi Vendola, ha avviato la successiva gara per la realizzazione dell’opera con prezzo fissato a 67 milioni: ha vinto un’impresa che ha presentato un ribasso del 41 per cento, facendo così scendere il costo della realizzazione dell’opera a circa 40 milioni di euro. I lavori però sin da subito sono andati molto a rilento e sono partite le varianti al progetto: eliminati i campi da calcio, da tennis, le palestre e le grandi fontane previste nel progetto originario, sono stati inseriti nuovi parcheggi.

Il compenso dei progettisti è aumentato, con le varianti, da 3 a 11,2 milioni di euro. Ed è proprio sulla quinta variante che si sono concentrati i 5 Stelle. “Abbiamo presentato a luglio scorso esposti a Procura, Anac e Corte dei conti sulle spese extra” ha raccontato a ilfattoquotidiano.it il consigliere regionale pentastellato Antonella Laricchia. “Ora siamo contenti di sapere che la Procura ha deciso di aprire un fascicolo. Questo progetto è nato malato – ha proseguito – ed è davvero scandaloso che Emiliano abbia deciso di occuparsi della vicenda solo dopo il clamore del programma di Giletti“. Insomma, questa è una storia che dura da 16 anni: un cantiere senza fine che taglia a metà la città. E la sensazione – conti alla mano – è che la vicenda delle plafoniere sia solo la punta dell’iceberg sotto la quale si nascondono sprechi e fiumi di soldi pubblici mal (o mai) gestiti.


www.ilfattoquotidiano.it/2018/11/11/puglia-dalle-plafoniere-a-637-euro-al-costo-complessivo-raddoppiato-tutti-i-conti-della-nuova-sede-della-regione/...
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02/08/2019 10:32
 
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La spesa per i comuni è di 10,3 miliardi. Il settore occupa 483mila dipendenti. Nel 2017 la spesa media per dipendente regionale è stata di 34mila euro, 27mila euro per dipendente comunale e 28mila del provinciale
di Nicoletta Cottone


Ecco quanto guadagnano i dipendenti di Regioni, Comuni e Province
2' di lettura

La spesa totale per i dipendenti di comuni, regioni, città metropolitane e province sfiora i 14 miliardi di euro. Lo segnala la delibera di 218 pagine della Corte dei conti sull’andamento della spesa per il personale degli enti territoriali (triennio 2015-2017), approvata dalla Sezione delle Autonomie. Entrando nel dettaglio la spesa è di 10,3 miliardi per i comuni, 2,8 miliardi per le regioni, 0,9 per le province e le città metropolitane.

GUARDA IL VIDEO - Ecco quanto guadagnano i dipendenti di Regioni, Comuni e Province

Il settore occupa 483mila dipendenti
I giudici contabili ricordano che l’intero settore occupa, complessivamente, circa 483mila unità, distribuite tra dirigenti, segretari comunali/provinciali e direttori generali, lavoratori con qualifica non dirigenziale. Circa 36mila unità, pari al 7,5% del totale, hanno un contratto di lavoro flessibile.

DA LEGGERE - Online gli stipendi di tutti i dirigenti pubblici (di Gianni Trovati)

Aumenta la spesa media
Il documento segnala complessivamente una contrazione della spesa netta «che però avviene in misura meno che proporzionale rispetto alla riduzione della consistenza media. Questo comporta un conseguente aumento della spesa media. Tale tendenza risulta maggiormente evidente nelle posizioni apicali, mentre la spesa media è stabile del personale non dirigente».


Il più “caro” è il dipendente regionale
La delibera segnala che nel 2017 la spesa media per dipendente regionale è di 34mila euro, a fronte di 27mila euro del dipendente comunale e di 28mila del provinciale. La spesa media per il personale dirigente è di 94mila euro nelle Regioni, 84mila nei Comuni e 103mila nelle Province. La Corte dei conti ricorda che la rilevazione riguarda un periodo in cui erano vigenti i vincoli sulla spesa di personale, che di recente hanno subito un allentamento mediante sblocco del turn over e introduzione di un sistema di reclutamento fondato sulla sostenibilità finanziaria della spesa. Non è uniforme la distribuzione del personale sul territorio nazionale e si riscontrano punte di maggiore concentrazione in alcune aree territoriali.


www.ilsole24ore.com/art/comuni-regioni-e-province-il-personale-sborsano-14-miliardi...
[Modificato da angelico 02/08/2019 10:33]
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Niccolò Brizzolari, l'Alfiere della Repubblica che a 20 anni guadagna 35 mila euro com segretario del Parlamento
Il più giovane degli assunti è di Rovigo, l’unico nato nel 2002. Si chiama Niccolò Brizzolari, ha vent’anni. Erano 16.245 i candidati ammessi alla prova selettiva, alla quale si sono poi presentati in 3.702. I posti, a tempo indeterminato, per il ruolo di segretario parlamentare erano solo 65, l’1,7%. Poi sono diventati 80, con un piccolo scorrimento graduatorie (nota: per la funzione, il primo stipendio è di 35.144 euro lordi annui ma la progressione «premia» gli incaricati: 61.595 dopo dieci anni; 106.673 dopo venti; 140.690 dopo trenta; 150.601 dopo 35; infine 157.628 dopo quarant'anni. La retribuzione non è il tutto di un lavoro ma, è evidente, qui conta più che in altri ambiti). Al 70esimo posto c’era lui, il ragazzo che due anni fa, a marzo, pochi mesi prima dell’esame di maturità, aveva ricevuto da Sergio Mattarella l’attestato d’onore di Alfiere della Repubblica.

I podcast e le manifestazioni
È giovanissimo ma il suo talento gentile ed educato ha già fatto breccia più di una volta. La prima carica dello Stato lo ha premiato perché a 18 anni gli era venuta l’idea di realizzare dei podcast e di metterli a disposizione degli anziani non più in grado di affrontare un romanzo. «La mia bisnonna ha un glaucoma, ha più di 90 anni, quindi fa molta fatica a leggere — raccontava Niccolò nel 2021 a poche ore dalla notizia del premio — . Quest’estate mi è venuta l’idea di fare un audio libro con la nota opera di Pirandello, Uno nessuno e centomila, per il quale i diritti erano decaduti». Quando ha ricevuto la telefonata dal Quirinale ha detto «sì va bene, è uno scherzo». E invece era vero. Alle scuole superiori Niccolò si era distinto anche per le sue battaglie sui temi ambientali, faceva parte di «Fridays for future». Manifestava in piazza. Ora non più. Non ha tempo, spiega.

La selezione
Si è diplomato al liceo scientifico Paleocapa di Rovigo, alla Camera prenderà servizio l’1 marzo. «Mi ero appena diplomato, luglio 2021, era uscito questo bando e mi sono iscritto, un po’ a caso — dice —. Ci hanno fatto fare la pre selettiva, una cosa facile a crocette, cultura generale, un po’ di logica, un po’ di informatica». Agli scritti e alla prova pratica sono stati ammessi in 650. «Non avrei mai immaginato di farcela, tutti si preparavano con un apposito manuale, io non avevo studiato nulla — dice con candore il 20 enne rodigino —. Gli scritti erano ossi duri. Inglese, piuttosto facile, a crocette. Ma poi diritto costituzionale, parlamentare e storia contemporanea». Era fresco di studi di diritto il giovane Brizzolari, a Bologna aveva appena sostenuto l’esame di diritto costituzionale, anticipato al primo anno diritto parlamentare. La prova pratica poi era di dattilografia e sull’uso di qualche software. «L’orale l’ho fatto a gennaio, c’era ancora diritto costituzionale, parlamentare — spiega — poi storia d’Italia, diritto dell’Unione europea e archivistica. Una domanda per materia, si pescavano con le buste». Ed è andata, ha preso 24 trentesimi. «Pensavo di non essere passato», dice. Perché è modesto. «Ora mi trasferisco a Roma però mi piacerebbe tanto continuare a studiare».

«Mi mancherà la morosa»
Posto fisso, di un certo prestigio, ben pagato. E la possibilità di crescere in un ambiente protetto. Ma il giovane Brizzolari si lascia ancora aperte molte strade. «La prendo un po’ come un’esperienza, non so se sarà il lavoro della mia vita. Quello che succederà si vedrà, di sicuro è un onore. Bellissimo». D’altronde, l’ha già detto, si era iscritto un po’ così, «a caso». E lo rimarca: «Mi ero detto, chissà se sono difficili come dicono i concorsi». Evidentemente per lui no. Ha fatto centro al primo colpo. «Mi mancherà Rovigo, che mi è sempre piaciuta un sacco come città, son sicuro che ci tornerò, non ho tanti dubbi — assicura —. Mi mancherà la morosa. È di Padova e studia economia in inglese a Venezia». Ma la distanza rafforza l’amore. A volte.

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