Pagina precedente | 1 2 | Pagina successiva

Don't call my name (in corso). Rating: arancione

Ultimo Aggiornamento: 29/12/2010 12:54
Autore
Vota | Stampa | Notifica email    
27/12/2010 20:31
 
Quota
Post: 170
Registrato il: 19/07/2009
Città: PAVIA
Età: 39
Sesso: Femminile
The Essential Fan
OFFLINE
Buonasera e buon Natale in ritardo a tutte/i!!!
Manco da un pò, e vedo che qui il topic delle ff è sempre più rigoglioso e ben organizzato (grazie alla nostra Anto [SM=g27836] ).. La cosa ovviamente non può che rendermi felice e...spronarmi a sottoporvi un nuovo delirio ad occhi aperti..Eccolo! (spero di aver fatto tutto giusto con il regolamento, se ho sbagliato qualcosa frustatemi pure.. [SM=x47958] )
un mega [SM=x47938]



[IMG]http://i26.tinypic.com/6xw0ll.jpg[/IMG]
(Aha oe feii? (Come, sei gelosa?) Paul Gauguin, 1892)



CAPITOLO PRIMO


1992

-n-non riesco a fare i-il carlino..
-ma quale carlino… si dice “gradino”!
-Michael… mi devi a..
-si, questo lo vedo, ci impiegheremo tutta la notte a salire queste maledette scale altrimenti! Dammi la mano.

La sostenne facendole scivolare il braccio dietro alla schiena ed ancorando la mano aperta all’altra estremità del fianco. Guidandola lungo la scalinata granitica per forma e colore che li innalzava sull’immenso parco illuminato dalla luna, non potè fare a meno di voltarsi per ammirare un istante la sua immensa proprietà.
–a domani, disse fra sé e l’entità semi-astratta che si era immaginato.

-Michael..
-dimmi
-come spieghi ad un cieco cosa sono i colori?
-ma..che domanda è?..
-dimmelo
-non lo so Nat, che domanda mi fai ora..
-sei arrabbiato?
-no
-quando dici no vuol dire si
-pensiamo ad entrare in casa Natalie, ti prego, sono distrutto

Una farfalla meccanica sovrastava l’aiuola che incorniciava l’orologio bianco; i numeri romani, le lancette lunghe, segnavano il tempo lente e gravi, come quelle di una cattedrale.
Il fresco della sera portava un odore di gelsomino così intenso che penetrava i mattoni ed il vetro, fin dentro all’abitazione. Il legno profumava di legno ed i fiori sul tavolo della sala sembravano appena recisi, meravigliosi in un ultimo sussulto di vita.
Il canto del cigno.

-riesci a stare in piedi un attimo? Chiudo la porta..

Le sfilò il braccio da dietro la schiena e lei perse l’unico riferimento per rimanere ancorata al terreno e con esso l’equilibrio. Chiuse la porta e quando si girò la vide obbedire alla gravità con una velocità quasi innaturale, e fare un bel tuffo sul parquet reso ancora più scuro dall’assenza di illuminazione.
Un sussulto, un brivido sgradevole lungo la schiena. Paura.

-Natalie! Ti sei fatta male? Mioddio..
Si chinò su di lei e fece per sollevarla.
-no, Michael, non muovermi, i-io non sto bene, non riesco a muovermi..
-dio mio..che è successo? Dove hai sbattuto??

L’allarme nella voce non faceva che da pallida cornice al pallore sul volto tirato, teso.

-Natalie, reggiti a me, ora ti aiuto..

Pensava al peggio, forse aveva sbattuto la testa, forse doveva chiamare immediatamente in 911, dopo tutto aveva anche bevuto. Un momento di esitazione, sentì il diaframma alzarsi ed abbassarsi con ritmo sincopato, erano singhiozzi forse?
No, stava semplicemente ridendo, divincolandosi dalla sua presa.

-Michael.. è troooppo bello, devi venire anche tu! Devi seguirmi in questo mare di… frassino.. ahah..

Rideva e rideva agitando le gambe. Per le scarpe non c’era più speranza, erano andate perse alla festa. Non aveva bevuto molto, ma non reggeva. Lui lo sapeva e le aveva raccomandato più volte di bere solo aranciata –fai come me- le aveva detto, -non ci sono effetti collaterali e ci si diverte di più! –ma che noia che sei, sembri mio nonno quando fai il bravo ragazzo! Gli aveva risposto.

Ora la guardava cercando il più possibile di apparire arrabbiato, e lo era in fondo, perché sebbene non amasse particolarmente quel genere di serate mondane, aveva dovuto lasciare senza preavviso l’immenso giardino della villa di Brooke, la sua Brooke. Aveva riunito gli amici più cari, voleva una festa a sorpresa, voleva un cigno intagliato nel ghiaccio, voleva i fuochi d’artificio in occasione del suo compleanno. Aveva organizzato tutto per lui. Michael. Il suo re.

–un giorno speciale per festeggiare una persona speciale- gli aveva detto con occhi lucidi e labbra rosse, profumate del suo preferito, Moët et Chandon riserva, un aroma ed un sapore che non avevano tardato a diventare più nitidi nel bacio viscoso che di lì ad un soffio lo aveva inondato, con la stessa veemenza del Nilo in piena sulle pianure aride dell’Africa. E lì le sue labbra avevano trovato il giusto salubre ristoro dopo tanta siccità.

-Nat ma che fai? Ti rendi conto che mi hai fatto prendere un accidente?! Credevo ti fossi fatta male!
-non è colpa mia, non è colpa mia, non è colpa mia se sei un creduloneee..

Sembrava una cantilena, spezzata soltanto dalle risate di lei, che non riusciva assolutamente a trattenersi. Lo guardava sdraiata sul pavimento, e da quella prospettiva era ancora più ridicolo: se ne stava in piedi davanti a lei stizzito, con le mani sui fianchi, l’espressione severa, la camicia blu notte ormai aperta e completamente fuoriuscita dai pantaloni scuri che lasciava scoperta una maglietta bianca con lo scollo a v.
I riccioli indomati e liberi gli cadevano sulle spalle, le labbra semidischiuse lasciavano uscire qualche ansito di fatica per averla dovuta trasportare quasi di peso lungo quella scalinata che non finiva mai. Sulla fronte qualche perla incolore ed una ruga di espressione che gli usciva solo quando era fortemente infastidito. O in collera, anche se lei quel sentimento non lo aveva mai visto sul volto di Michael. Fino a quel momento.
Bellissimo.

-ora andiamo di sopra, non vorrai dormire qui sul pavimento

Sospirò con rassegnazione e tono secco e piatto

-mmmmmm può darsi, perché no..dai vieni vicino a me..

Cercò di afferrargli una caviglia ma lui fu più veloce, ed in un balzo fu fuori dalla sua portata.

-su forza, poche storie..
-che palle che sei.. perché non andiamo a farci una passeggiata nel parco.. daiiiiiiiiii
-nelle tue condizioni? Non credo proprio.. la miglior cosa che possiamo fare ora è andare a letto, anche perché prevedo che per arrivarci ci impiegheremo altri dieci minuti..
-che palle di uomo! Non si può mai fare niente, niente bere, niente fumare, niente divertirsi.. hai 34 anni e ne dimostri 80!
-e tu chi saresti per dirmi queste cose? Una ragazzina viziata che non ha la minima idea di cosa voglia dire lavorare! Io lavoro da mattina a sera, ecco perché non ho tempo per divertirmi.
-ora non iniziare con la menata dell’infanzia perché la so a memoria eh..
-farò finta di non aver sentito, in fondo non hai il controllo di te stessa in questo momento e..
-Michael
-si?
-ora la testa mi gira più forte di prima, credo di dover vomitare
-si certo, come prima, guarda che non mi freghi
-stavolta è vero, ti prego, aiutami

Vinto da quell’espressione sofferente e contratta si chinò di nuovo verso il basso ad aiutarla, in qualche modo, a sollevarsi dal pavimento scuro che incorniciava quella figura snella, perfettamente avvolta dall’abitino bianco corto che metteva in rilievo ogni piccola curva del corpo liscio e tonico dalla pelle caffelatte.

Un istante di esitazione, poi colse il momento opportuno per attirarlo a sé, per allacciare le gambe attorno ai suoi polpacci e, una volta percepita l’assenza di bilanciamento del peso, afferrarlo per le spalle, facendolo letteralmente planare su di sé.

-Natalie! Ma..ma che fai! Ahio!

L’espressione indignata alla vista di lei che non riusciva a respirare dal ridere, si contorceva come un serpente arpionato da una fiocina, incapace di darsi pace, di articolare verbo o di fare qualunque altra azione.

-due volte, non ci posso credere Mike, ti sei fatto fregare due volte consecutivamente da una mocciosa… da non credere...

Quelle parole risuonarono fastidiose come lame calde nei padiglioni. Era insopportabile in effetti, che uno come lui si fosse fatto fregare in agilità da qualcun altro, per di più da quella insolente, che stasera non aveva fatto che infastidirlo in maniera così..
Non terminò il pensiero che le fu addosso.

-ah si? Ora lo vedremo se mi sono fatto fregare, lo vedremo!

Disse così e le immobilizzò entrambe le braccia sopra alla testa trattenendole per i polsi, mentre con l’altra mano iniziò a prodigarsi in una delle cose che a suo giudizio gli riuscivano meglio: il solletico. Natalie urlava e rideva come un’ossessa e lui non accennava a smettere, non ci pensava proprio, anzi, ad ogni lamento ulteriore lui rincarava la dose, in una lenta tortura fatta di mute suppliche negli occhi appannati dal ridere.

-ora basta, mi sono vendicato abbastanza per stasera

Mollò la presa e si mise a sedere sul pavimento, felice di essersi sfogato, almeno così.

-hai ragione, hai proprio vinto, con il solletico non ti batte nessuno… tranne meeeeeeeeeeeeeeee

E, lanciato l’ultimo tonante urlo di battaglia, gli si scagliò alle spalle come un puma a caccia di una preda dopo giorni di digiuno, con la stessa forza.

-è sleale, è sleale, non..

Cercava di liberarsi di quel peso che gli impediva di muoversi, a cavalcioni su di lui, che non poteva trovare appigli in una posizione diversa da quella supina, completamente sottomesso da quella piccola dea vestita di bianco che rispondeva al solletico subìto poco prima con la stessa incredibile perizia e decisione del suo aggressore.

-basta, per favore, Nat..
-domanda perdono ed ammetti la mia supremazia assoluta
-mai, maaaai
-e allora..
-ok, basta, ti prego, mi fa male la schiena, ti prego Natalie
-supplica la mia pietà se vuoi salva la vita
-pietà. Ora basta però, ti prego
-ok, per stavolta ti libero

Sollevò lo sguardo e si rese conto che avevano percorso quasi tutta l’area del salone rotolandosi e giocando negli ultimi dieci minuti, tanto da trovarsi all’imbocco delle scale anziché all’ingresso.
Ma non fu l’unica cosa di cui si rese conto. Era ancora sopra di lui, a cavalcioni, il vestito sollevato sulle cosce lucide e tornite, una spallina abbassata, ansiti di fatica e tentativi di ripristinare un ritmo sinusale accettabile, i capelli prima ordinati e raccolti in una coda alta ora piovevano liberi oltre le spalle, come fili di petrolio appena cristallizzati, ricoprendo anche parte delle braccia sul lato destro, mentre il petto si alzava e si abbassava seguendo un ritmo imposto. Imbarazzo, ecco cos’era. Imbarazzo. Non era mai successo, non l’aveva mai guardata così, lei era solo una ragazzina e l’aveva vista crescere e… tutto ciò non stava costituendo un grosso problema tuttavia, finchè non vide la sua mano eludere ogni tentativo di controllo da parte del cervello e andarsi a posare sulla linea della vita, fasciata dal raso del vestito, ormai tutto stropicciato. Natalie non potè non notare la finezza inaspettata di quel gesto, così impercettibile e profondo nel contempo. Un istante in cui gli occhi penetrarono gli uni negli altri in un incontro elettrostatico e denso.

-ora basta, alziamoci dai

Con un movimento delicato la fece scendere. Si voltò a guardarla. Gli occhi nei suoi, con un’intensità quasi pretenziosa nelle iridi, inquisizione, o innocente curiosità forse, tanto bastò per provocargli un fremito generalizzato per la paura che avesse potuto captare anche solo una parte dei suoi pensieri.

-ora potrai dire di esserti divertito almeno un po’ stasera, e non certo per merito tuo!

Fu come se gli fosse andata in soccorso, spezzando quel momento di imbarazzo per quello sprazzo di violenta intimità, imbarazzo che si leggeva furente nei suoi occhi volti al pavimento, imbarazzo che invece era totalmente assente in quelli di lei, più scuri della notte e puliti come il cielo sopra le nuvole.

-mi sarei divertito lo stesso se non avessi dovuto abbandonare la festa per il mio compleanno per colpa di Qualcuno…
-io non ho costretto proprio nessuno, se tu che sei voluto venire via!
-si certo, volevo evitare che dessi spettacolo!
-mi stavo solo divertendo Mike, e dovresti farlo anche tu ogni tanto, invece di startene sempre impalato con la tua Brooke, sembrate due mummie! Tutankamon e Nefertari direttamente dal 4000 a.c.!
-Brooke è una donna di classe, e non ha bisogno di strafare, né di mettersi in evidenza, lei è, è..
-una noia?
-no Natalie, lei è perfetta così

Preferì mettere fine a quello strano battibecco con il tono più astioso e l’espressione più piccata di cui fosse capace. Nemmeno lui sapeva perché, e senza dubbio si era reso conto di quell’esagerazione nei modi, che stonava fortemente con quel momento di pace e spensieratezza fuori programma. E, cosa ancora più evidente, stonava con gli enormi occhi di lei, che nonostante tutto lo guardavano ancora sorridenti, poiché per nulla al mondo gli avrebbe dato un assaggio di quello che in realtà provava. Per nulla al mondo.
Lo guardò imbronciata, poi gli sguardi si incastrarono per un piccolo istante in cui il tempo si fermò. Voleva essere arrabbiato, doveva esserlo, per tutto, per come erano andate le cose quella sera, per se stesso e per i pensieri fuori da ogni ragionevole logica di poco prima e…

E, inaspettatamente, la fila dei suoi denti perfetti fece capolino dalle labbra ambrate, in un guizzo a tradimento del suo stesso corpo che non sapeva resistere a quegli immensi occhi scuri di bambina, così innocenti e disincantati allo stesso tempo. Così veri.

Aveva dovuto salutare i presenti di malavoglia ed in gran fretta perché quella piccola peste completamente alticcia aveva iniziato a dare lo spettacolo più imbarazzante (e divertente) che avesse visto: in piedi al centro di un’aiuola colma di tulipani si era improvvisata la Cindy Lauper degli anni 90 in un’improbabile “girls just wanna have fun” cantata di petto e –secondo le sue stime- con tutto il fiato che aveva in corpo.
Tutti sorridevano guardandola, alcuni si univano all’improbabile cornice abbozzando qualche maldestro passo di danza, altri cantando a loro volta in preda ai fumi dell’alcool. Era solo una bella ragazza che si divertiva, -che c’è di male?- gli aveva chiesto lei con il solo movimento delle labbra mentre lui la fulminava con lo sguardo, da lontano, con una Brooke inviperita a braccetto.

–dovevi proprio portare quella ragazzina anche stasera? Non sa controllarsi non vedi? Di questo passo rovinerà la festa!
–piccola, calmati, si sta solo divertendo un po’ dai….- aveva cercato di sdrammatizzare lui.
–OHHHHHH GIRLS JUST WANNA HAVE FUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUN!!

Scatenata e libera come forse non aveva mai visto qualcuno.

–ok, ora è meglio che andiamo, il concerto mono-canzone per stasera è terminato- le si era avvicinato e l’aveva attirata sé con una leggera trazione del braccio e, fra le proteste del “pubblico”, l’aveva condotta verso la limo parcheggiata vicino al cancello ovest dell’immensa abitazione della sua ragazza delusa.

-ogni tanto è bello perdere il controllo, sai? Senza pensieri. La libertà è un bene prezioso, e tu che hai avuto il privilegio di averla gratis la butti così.

Cercò di darsi un tono e soprattutto di farsi scivolare addosso quell’apprezzamento a Brooke, forse fin troppo zelante.

-l’unico privilegio che ho è quello di andarmene a dormire fra poco evitando di ascoltare i tuoi deliri notturni. Vieni.

La aiutò per l’ennesima volta a sollevarsi quella sera, e l’accompagnò nella sua camera. La fece sdraiare sulle morbide lenzuola di lino, accompagnandone la testa con la mano fino al cuscino, in un gesto amorevole e paterno; lei non protestò stavolta, ma si lasciò cullare da quelle note di sandalo che emanava il collo di lui, lievemente umido per lo sforzo appena compiuto.
Si sedette accanto a lei, sul bordo del letto e con un dito le tracciò il profilo del volto, in un impercettibile cammino senza inizio e senza forma. Natalie ora non poteva più percepire la sua finezza, ormai prigioniera di un dolce Morfeo che l’aveva portata molto lontana da lì.

Tutto era assurdo con Natalie, lei era assurda e di conseguenza tutto quello che poteva anche solo lontanamente riguardarla, compresa quell’amicizia che avevano, così difficile da classificare, da definire.

Si grattò il capo pensieroso e si diresse verso la porta in mogano, l’avrebbe accompagnata piano verso lo stipite, facendo attenzione a non fare rumore, per non svegliarla.

-non me lo vuoi proprio dire?

Lo fece sussultare, disintegrando definitivamente la convinzione rassicurante che stesse dormendo. Si voltò nel buio e la vide immobile nel letto, con un solo occhio aperto ed il viso da bambina. Lo guardava cercando di sconfiggere quel fastidioso senso di stanchezza che la stava avvolgendo, solo una risposta, voleva solo una risposta e non ci avrebbe mai rinunciato.

-che cosa non voglio dirti?
-come si fa a spiegare ad un cieco cos’è un colore.
-non si può spiegare che cos’è il colore, lo si può solo percepire

Si riavvicinò lentamente a quel letto a baldacchino cercando di comprendere il motivo di certe domande. Natalie era davvero la diciassettenne più strana che avesse conosciuto.

-quindi un cieco non saprà mai di che colore è l’erba, o il tramonto, o un girasole?

Il viso oscurato da un alone di tristezza fece rabbuiare anche lui, anche per l’amara verità che le aveva dovuto confessare. Pensò a quanto brutto dovesse essere il non poter vedere il modo in cui la luce riflette sulle tante cose che compongono la realtà, pensò al buio totale ed alla tristezza che da ciò potesse derivare.

-no, un cieco dalla nascita non saprà mai cos’è un colore Natalie, ma nemmeno ne soffrirà, poiché non avrà mai visto altro che un’ombra oscura.
Come si fa a desiderare qualcosa di cui si ignora l’esistenza?
-non si può
-esatto, non si può. Ora dormi che è tardissimo
-Michael
-si?
-grazie..
-di cosa?
-grazie e basta, non rompere con le tue solite domande riflessive!
-ma veramente se tu che… ok, lasciamo stare..

Si diresse alla porta nuovamente, scuotendo il capo e senza riuscire a ricacciare in gola un’espressione di profonda frustrazione, per come si era fatto aggirare ancora una volta da quell’insolente, invadente, sfacciata ragaz..

-e scusa se ti ho rovinato la festa

Si voltò a guardarla per la terza volta nella penombra, letteralmente allibito per come quelle poche parole lo avessero totalmente destabilizzato, di nuovo. Non riusciva a formulare un pensiero, una considerazione, non arrivava alla fine che, inaspettatamente ed improvvisamente arrivava lei a spazzare via tutto.

-no.. era una noia in fin dei conti..

Non riusciva ad essere arrabbiato, non ci riusciva. E non riusciva a credere di aver pronunciato quelle sillabe per davvero, ma la sua bocca lo aveva fatto, senza minimamente attraversare la dogana di cosa è bene soltanto pensare. Se Brooke lo avesse sentito parlare così non gli avrebbe rivolto la parola per mesi, di sicuro. Cercò di sentirsi in colpa per questo ma la sua bocca le sorrise, e la sua mente pensò a quanto fosse irrimediabilmente piccola, in fondo.

Si era addormentata per davvero, ora, lo capì dal respiro rallentato, dato che nel buio della stanza ben poco si poteva vedere. –domani devo dirglielo, domani mattina appena si sveglia glielo dico, ora dorme, non la sveglio. Non sapeva se stava cercando una scusa per non dirglielo o se stesse semplicemente temporeggiando, non lo sapeva e non lo voleva sapere. Un altro sospiro di frustrazione lo fece voltare e dirigersi all’uscita, finalmente.
Uscì dalla stanza buttandosi insieme alla porta quella giornata alle spalle.

***

[IMG]http://i27.tinypic.com/2v3r9ko.jpg[/IMG]
(El Fuerte de San Cristobal, San Juan, Puerto Rico)


1975

Le onde dell’oceano si infrangevano sulla scogliera e gli uccelli del mattino avevano già iniziato il loro canto, il vento soffiava piano creando un delicato connubio dei due suoni, uniti a formare l’immagine della ciudadela de San Juan, nel suo ritratto più affascinante, di mattina presto.
Il vociare indistinto degli abitanti già sulla buona strada verso le loro occupazioni si sollevava nel mentre dalla zona abitata; piedi nudi in movimento, zampe di capra, di asino, ruote di legno marcito trainanti carri debordanti di spezie, di grano, di juta, di acqua, solcavano l’acciotolato malmesso a ridosso del marciapiede, scricchiolando come i noccioli delle olive al frantoio.
La moltitudine delle persone e la vitalità cittadina sembravano concentrate nella ciudadela antica comunque, circondata e confinante più ad est con i quartieri dormitorio di Calle San Augustin, e con gli alberghi di extra lusso che sembravano costituire realtà parallele, protette da alte palizzate in bambù e palme da cocco.
Il Fortino di San Cristobal, a picco sull’oceano, offriva la vista più nitida dell’intero complesso; dalla torretta centrale si poteva vedere il mercato del pesce in Plazoleta San Juan, che costituiva una minuta penisola affacciata sulla baia antistante. Qui i gabbiani sembravano letteralmente impazziti, li si vedeva sfrecciare da un punto all’altro, talvolta in picchiata, nella speranza di racimolare qualcosa dalle cassette in legno grezzo buttate a terra, e non era raro scorgere la collisione con qualche passante, che cadeva a terra imprecando.
Si potevano cogliere gli imponenti palazzi signorili di un bianco accecante in Calle Fortaleza, e si poteva notare l’immancabile contrasto con le pareti delle povere case colorate di cui erano famosi soltanto i tetti dai mille diversi colori, ritratti dai fotografi di National geographic, famosi ed inconsapevoli in un muto accordo consumistico. Ma i raggi del sole filtravano timidi dall’intersecarsi di quelle costruzioni argillose, tanto, troppo vicine, che non potevano sopportare le intemperie, che non proteggevano ma custodivano, che avevano pareti bucherellate dal tempo.
Tuttavia, se da una parte un tale insieme poliedrico di realtà lasciava sgomenti, dall’altra sembrava essere messo lì a ricordare il brulicare della vita di un sottobosco segreto, nascosto dalle foglie cadute dai rami degli alberi bagnati di rugiada, in un sodalizio di contrasti sacro e profano, ma nella sua interezza, vivo.
Quella mattina si poteva udire il rumore delle gocce di condensa che si riversavano in una pozza d’acqua stagnante, statica al centro della stradina in terra battuta, priva di scoli o di condutture di qualunque tipo. Odore di terra, di grano essiccato al sole e di sterco, tutto mescolato insieme in un connubio campestre, in grado di riportare alla mente scene d’altri tempi, di altri anni, ma sempre appartenenti al presente.
Tutto deve cambiare perché nulla cambi.
Tomasi di Lampedusa aveva avuto un guizzo di genio senza immaginare quanto vere avrebbero potuto essere le sue parole applicate a questa terra secca, che sembrava non subire cambiamenti con il passare degli anni, immutevole e vergine, terra americana solo sulla cartina, terra di storie disperate, terra di luce e di ombra, terra povera come altre terre, terra di mezzo: Porto Rico.
-mamaaaaaaaaa, mamaaaaaa
Da una finestra che sembrava ritagliata su di una parete azzurro acceso in Calle Pelayo, proveniva un richiamo che sembrava un lamento corredato da un acceso allarme nella voce sottile.
-mama, mamaaaa dove sei?!
-qui, sono qui! Chi è che mi chiama?!
-paulina
-que pasa rosa mia? Perché urli così?
-mama, ho sentito piangere giù dalla scala, ho provato a scendere ma non vedo!
-piangere?! Io non ho sentito nulla!
-mama c’è qualcosa che sta piangendo giù dalla scala ti dico!
-e io non lo sento! Ed ho le orecchie ben più pulite delle tue credo, eh! Mi pequeña, sarà un gatto che..
-ma mama, sono sicura..
-ora mama deve lavorare, vai a giocare con gli altri. Carolina! Francisco! Venite aquì, andate a giocare con Paulina, andate!
Un vestito leggero dai toni caldi e cangianti avvolgeva quella donna giunonica dalla carnagione eburnea, liscia e calda come una pietra calcarea. I lunghi capelli corvini erano avvolti da un velo intrecciato su se stesso a formare un turbante di un arancione così acceso che sembrava illuminare la stanza senza l’ausilio della nostra stella.
Grossi pendenti bronzei ai lobi, occhi profondi e caviglie gonfie erano il risultato di quarant’anni di pulizie alla casa del padrone, all’angolo tra Calle San Francisco e Plaza Colòn, nel quartiere residenziale della città.
Mama non era il suo vero nome, ma l’appellativo familiare ed affettuoso che le avevano dato i suoi bambini, gli ospiti de “El Nido De Los Pettirrojos”, una casa piccola e piena di buchi come le altre, che faceva da riparo ai meno fortunati, a coloro che non sapevano dove andare, ai senza famiglia, ai senza niente in mezzo al niente.
Non aveva figli Mama, aveva sedici pettirossi da sfamare e da accudire come suoi, come se quella notte del ’64 non avesse perso la possibilità di averne a causa di un vecchio ubriaco, che insieme alle sue sventure aveva annegato nell’ultimo goccio di Tequila anche i sogni e le possibilità di quella donna dal sorriso grande e dagli occhi a mandorla.
Era a questo che pensava, mentre assorta fissava il mare dalla finestra della piccola sala, in attesa dell’orario per andare a lavorare.
C’erano molte, moltissime cose da fare a casa del padrone e ce n’erano altrettante che avrebbe dovuto sistemare al rifugio; era esausta ma non vinta da quella realtà che le era sembrata davvero troppo crudele a volte.
Molti erano stati trovati per la strada. Li avevano portati lì in attesa che venissero a riprenderli, ma gli anni passavano e loro crescevano fra quelle mura segnate dal tempo, crescevano insieme e venivano aiutati dai più grandi che aiutavano Mama, unico riferimento quando la consapevolezza che non sarebbe più arrivato nessuno a reclamare un piccolo mulatto si faceva strada, ed infieriva il suo colpo senza pietà. Altri i genitori li avevano conosciuti, e forse era anche peggio, perché il ricordo pesava di più dell’inconsapevolezza, alle volte.
Come si può desiderare qualcosa di cui si ignora l’esistenza?
Cosa facesse più o meno male Mama non lo sapeva, ma non lo reputava importante comunque, perché voleva e doveva pensare a loro, perché era la loro unica certezza, questo solo le interessava.
Pensava anche a questo Mama mentre ormai l’orario era arrivato, e si apprestava ad uscire, con un cesto di canapa sottobraccio per passare al mercato lungo il tragitto, per fare scorte di radici, e di vento se c’era.
-mamaaaaaaaaaaaaaa, mamaaaaaaaaaaaaa
Ancora più squillante e nitida la voce di Paulina echeggiava dall’altro lato della casa, facendo persino destare un paio di cani che avevano preso ad abbaiare come forsennati.
-paulina! Que pasa santo cielo! Perché urli così?
-mama, corri a vedere! Mamaaaaaaaaaaa
-ma cosa…
Amministra Discussione: | Chiudi | Sposta | Cancella | Modifica | Notifica email Pagina precedente | 1 2 | Pagina successiva
Nuova Discussione
 | 
Rispondi

Feed | Forum | Bacheca | Album | Utenti | Cerca | Login | Registrati | Amministra
Crea forum gratis, gestisci la tua comunità! Iscriviti a FreeForumZone
FreeForumZone [v.6.1] - Leggendo la pagina si accettano regolamento e privacy
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 02:51. Versione: Stampabile | Mobile
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com