Ascoltate INVINCIBLE? Che sensazioni vi trasmette?

Ultimo Aggiornamento: 07/04/2013 23:50
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02/05/2010 08:58
 
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Le canzoni di Invincible, a mio parere, non sono tutte eccezionali.
A me piacciono molto 2000 Watts che per il periodo trovo molto innovativa ( Michael sempre precursore delle nuove tecniche) sull'uso degli effetti elettronici, Speechless,YRMW,the lost children,whatever happens,you are my life,don't walk away, heartbreaker e Threatened. Le altre non mi piacciono molto, ma sono gusti personali. Concordo con il fatto che forse è stato un album fatto più per dovere che per volere e che la scelta delle canzoni non sia stata molto curata. Rispetto a Dangerous ,di cui amo ogni singola canzone, ho notato questa diversità.
02/05/2010 16:02
 
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io infatti assolutamente non condivivdo chi non lo apprezza....
per me è fantastico...uno dei miei preferiti....alcune mie preferite in assoluto...
è un cd dalle musiche originali,dai ritmi nuovi....davvero bello interessante....sorprendente come ogni cosa di mj,

per me è un cd ricco davvero sotto tutti i punti di vista e lo ascolto spessissimo.................davvero bello per me.....

molto sottovalutato al tempo della sua uscita purtroppo perche il gossip collegava il nome di mike in quel periodo solo alle vicende processuali....e togliendo l attenzione da una meraviglia creativa e nuova come questo album....bellissimo!!!!!
02/05/2010 16:49
 
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Come ha scritto saggiamente qualcuno, se Invincible avesse venduto di più, nessuno metterebbe in dubbio la qualità artistica dell'album, come nessuno mette in dubbio la qualità di Thriller [SM=x47979]
02/05/2010 18:12
 
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Le mie superpreferite di Invincible sono Break of dawn per l'atmosfera che crea e Whatever happens perchè la collaborazione con Santana riesce benissimo: un bijoux.

Poi di seguito apprezzo The lost Children, Speechless, YAML e Cry perchè per il tema o per l'interpretazione ci vedo molto MJ.

Sul terzetto iniziale sono sempre un pò perplessa: Unbreakable mi piace molto (il rap di Notorious B.I.G. ci sta benissimo) ma quando arrivo a Invincible sono "satura".

2000 watts, Threatened e Privacy [SM=g27812] [SM=g27816]

Comunque complessivamente mi ha attratto molto la sua "diversità", la considero una cosa positiva al di là del risultato. Lo ascolto a periodi, come anche gli altri
02/05/2010 19:37
 
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Su iTunes le canzoni più ascoltate sono quelle di Invincible XD
02/05/2010 22:21
 
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Come avevo (mi sembra) gia scritto l'album non l'ho apprezzato subito,pero adesso lo ascolto molto e le canzoni mi piacciono tutte moltissimo. Ci leggo come una sorta di titanismo da parte di Michael,non so mi danno quest'effetto (infatti si sposano benissimo con la situazione che sto vivendo in questo momento perche appunto sento il bisogno e la necessita di ergermi contro tutto e tutti,anche contro lo stesso destino).Le mie preferite in assoluto sono comunque:Invincible,Unbreakable,Threatened e Whatever happens
04/05/2010 19:33
 
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Io lo sento sempre!! Tutte le canzoni le trovo davvero alla sua altezza!
Conferma che dà come dice LeoMJ anche iTunes
04/05/2010 19:54
 
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Non ho letto tutte le pagine di questo topic, ma una buona parte sì, e mi sembra che nessuno abbia mai riportato l'ottima recensione di Enrico Sisti che uscì nel novembre 2001 su Repubblica (mi pare sul supplemento "Musica" ), che mi stupì e mi stupisce ancora oggi.
Su alcune cose, come il giudizio su Dangerous e HIStory sono d'accordo, sugli entusiasmi per Invincible un pò meno.
Ma nel complesso è una recensione interessante.

Data: 1° novembre 2001.

Autore: Enrico Sisti


È uscito “Invincibile”, il nuovo disco di Michael Jackson, probabilmente il suo migliore dai tempi di Thriller. È un album che sembra smentire tutte le paranoie dell’artista, la mitomania e le paure. Nelle sedici canzoni, lenti disneyani, ballate intense e momenti più aspri. Con molta classe. Il buio è alle spalle.


Jackson, l’invincibilità è solo ironia.

Aveva un appuntamento con se stesso e lo ha rispettato. Molti, tutti in pratica, erano convinti che Jackson non ce l’avrebbe fatta e che Invincibile, il disco appena uscito, sarrebbe stato l’ennesimo guazzabuglio di una personalità musicale fiaccata dal destino del suo alter ego privato.
In apparenza gli ultimi anni sono stati inutili. Solo litigate, paure e sconforto. Anche il concerto dei primi di settembre al Madison Square Garden, noto come tributo a non si sa bene cosa (a Jackson stesso, ma in teoria anche ai Jackson 5), si è trascinato dietro una serie di polemiche culminate con le accuse di Jermaine che se l’è presa col fratello per il prezzo di alcuni biglietti (2500 dollari, cinque milioni di lire). La sensazione è cha a Jackson siano andate comunque tutte storte, dalle accuse di pedofilia di quasi dieci anni fa (un processo mai iniziato in realtà perché venne trovato una specie di accordo con la famiglia del ragazzo e quindi Jackson non fu mai rinviato a giudizio), ai mille movimenti artistici e alle mille mobilitazioni interiori che dall’inizio degli anni Novanta in poi hanno solo prodotto rammarichi nel pubblico perché i risultati erano regolarmente scarsi.

Nel frattempo era quasi inevitabile nell’ambiente (critica, consumatori, industria) si infiltrasse il sospetto che Jacko fosse oramai bollito. Che la faccia sbiancata non fosse che l’esplicitazione di un disagio creativo molto più grande dei successi ottenuti e come tale in grado di cancellarli. I fatti erano contro di lui. Dangerous, il più “impotente” dei suoi dischi, non mostrava soltanto le crepe dell’artista, stremato di fronte al problema del rinnovamento e quindi assolutamente incapace di risolverlo, ma anche quelle di un intero sistema, di un’organizzazione (politica di gestione del personale, tecniche di elaborazione musicale e di sfruttamento dei risultati conseguiti) che Jackson aveva vissuto dall’interno contribuendo a disegnare il profilo di una vera propria mitologia fisica ed artistica. L’enfatico, imbarazzante HIStory, dimostrò che le chiacchiere stavano a zero esattamente come la fantasia del mai cresciuto ragazzo di Gary. Quella sua assurda voglia di redimersi immaginandosi come una statua era il punto di non ritorno. E fatale sarebbe stato sbagliare ancora una volta.

Ma Jackson non ha sbagliato. Ha distrutto la statua e ha cercato con tutti i mezzi che aveva a disposizione di allontanare da sé il culto di se medesimo. Il meccanismo era elementare: se il mondo mi getta alle ortiche, io mi autoesalto. Ancora più elementare è stato sconfiggere questa tentazione. È bastato tornare umano. Uno come tanti. E nel r’n’b sono veramente in tanti a somigliarsi perché tutti, gli artisti meno anziani, prima o poi si sono confrontati con la generazione degli ultraquarantenni prima vincenti poi sempre meno: tutti si sono specchiati nel lago dorato di Michael Jackson e Prince nel tentativo di emulare il “bel sembiante” o di scacciarlo il più lontano possibile. Da persona normale, Jackson ha dato lo strattone definitivo passando dall’autoesaltazione all’autoironia, da grottesca statua a paradossale invincibile. Ne è scaturito un disco umile, il più umile di tutti, radicato nelle idee, forse soltanto un po’ lungo (sedici pezzi, di cui tre evitabili), e così denso che adesso i colleghi più gettonati, quelli che non mancano mai le classifiche con i loro proiettili da acqua distillata mascherati da prodotti nutrienti, possono anche andare a prendersi una pausa di riflessione. Se i loro dischi sono dispersivi e monocordi (e qualcuno è anche riuscito a fare dischi contemporaneamente dispersivi e monocordi) Invincibile è una lucida, intensa rasoiata di suggerimenti. Freddo a tratti, ma proprio in quei tratti la zampata del talento vi aggiunge il colore delle voci, tante, anche quelle dei cori infantili, e l’orchestra di Jeremy Lubbock.

Da anni Jackson non ha più la squadra di Thriller, Quincy Jones è altrove. Rod Temperton è ormai un ricordo. I sessioman non servono praticamente più. E dunque poteva sembrare rischioso rifarsi all’entusiasmo di Beat it. Ma Jackson ci ha provato. Ed è quasi riuscito a miracolarsi. Invincible non è Thriller, ma se c’è un Thriller moderno, o meglio, se qualcuno riesce ad immaginare un Thriller moderno, Invincible è quanto d più vicino a questa immaginazione, come Emancipation è il Prince più vicino a Sign’o’the times (ma per Prince il discorso è più complesso). La varietà di Invincible sta nella sua mancanza di forma guida. C’è la rasposità del drum programmino, ma accanto si avvertono i benefici della compostezza della preghiera vocale. Ci sono dei break di rap, ma sono appena due. Molti di più gli incisi che rendono le melodie delle canzoni ricche, sfaccettate, come se ogni canzone contenesse materiale sufficiente per farne almeno due. In questo il Jackson ritrovato è più “pop adulto” che “black”, specie se il black quello, stramoderno ma sospetto, di chi non possiede il segreto della scrittura della canzone.

Dicevamo della squadra. Quella attuale è un composto di protagonisti più o meno ubiqui dell’attuale scenario r’n’b: Rodney Jerkins, Fred Jerkins III, R. Kelly, Teddy Riley sono solo alcuni fra coloro che sono scesi in campo. Di solito quando c’è troppa gente, un disco si smonta sa solo. Invincible ha però la fortuna di avere una sua riconoscibilità nella promessa che Jackson ha voluto apporre al proprio ritorno: sarà un disco “mio”. E per ottenere questo è partito dal basso. L’unica soluzione che aveva davanti per tentare un altro Thriller era dimenticarsi di aver fatto Thriller. Ne è uscita una dichiarazione di intenti semplice semplice. Non un capolavoro assoluto, di quelli che resteranno nella memoria collettiva. Ma un disco di livello, personale e coraggioso. Dove hanno travato spazio pezzi disneyani, o incantesimi alla We are the world, battute veloci e ballate come Break of down e Butterflies, che hanno dentro suggestioni e motivi per durare a lungo.

E quando si sente un fischio mormoricano, non disturba affatto (anzi) sapere che è di Carlos Santana e che per tutta la canzone (Whatever happens) il signor Supernatural distribuisce amicizia, saggezza e chitarra. Perfetto equilibrio di tradizione e modernità, tecnologia e sentimenti. Jackson ha dato una bella spallata a se stesso. Se non cade adesso, per la foga, e non si lascia travolgere dal bisogno di tornare la star che non sarà mai più, c’è il rischio serissimo di aver ritrovato un musicista vero. Pronto a fare il proprio mestiere, finalmente libero dai complessi degli ultimi tragici anni. E non solo. Ora Jackson è anche un cantante più misurato, ha quasi smesso di nascondersi dietro sgrilletti sincopati. Per no parlare del ballerino: forse all’immortale Fred Astaire, che un giorno disse di lui “è il più grande danzatore dell’era moderno”, sarebbe piaciuto vederlo ancora in tiro.


04/05/2010 20:24
 
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Mi ricordo quel 2001.
Ero stra - esaltato per il ritorno di Michael. Andavo in giro facendo "dah" e toccando il popò agli amici (rigorosamente maschi), come faceva Michael nel video di You Rock My World con la sua "amata". Mi comprai un'oscena camicia rossa all'Oviesse perchè era "quella del video di Michael", camicia che perì tragicamente durante una pioggia invernale lasciandomi colante di colorante rosso.

Mi ricordo benissimo quell'articolo. Mi "comprai" addirittura Sign'o the Times dopo quel parallelismo e non lo ascoltai più - delusissimo - per circa due anni, salvo poi innamorarmene.
Avevo la sensazione che Michael fosse tornato grande, il Michael di sempre. Nonostante la sua faccia sembrasse quella di un cartone animato, nonostante dovessi sforzarmi di credere che era lo stesso ballerino di sempre, nonostante non capissi cosa c'entrava Chris Tucker che faceva il buffone (mike aveva girato dei video con Scorsese!!!) nel suo video.

Mi piaceva tutto.

Poi la "galva" è un po' scemata. Michael era sempre un grande, ma si sforzava di copiare quelli che a sua volta avevano copiato, male, da lui.
Si era adagiato su uno standard, lui che era un fuoriclasse che era sempre emerso. Bad riprese il suo posto nel lettore cd.

Qualche anno dopo l'ho ascoltato, con la mente sgombra dall'MSG e dal video patacca di Cry.
Mi sono accorto di un Mike che cantava divinamente (forse al suo meglio), di qualche pezzo che era una vera e propria perla: della benedizione che la tecnologia, con il suo skip song, ci permettava di saltare le frequenti ciofeche.

Un buon disco insomma, di cui ascolto volentierissimo 5-6 canzoni. Il resto non saprei nemmeno canticchiarlo, ma va bene così....
04/05/2010 20:29
 
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Caro, non riesco a capacitarmi di come si possa rimanere delusi da "Sign'O The Times". Ma per fortuna ti sei ricreduto!
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