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Gli allevamenti industriali italiani di polli sono lager da film horror

Ultimo Aggiornamento: 02/10/2017 20:47
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Le immagini sono scioccanti, non adatte a chi è sensibile.
Sono quelle che appaiono nel video, prodotto da Animal Equality, una realtà italiana e internazionale che si occupa di protezione animale e raccontano di animali deformi, torture e inquinamento.

Riguardano una delle produzioni di carne e alimenti che hanno più successo presso i consumatori: quella di pollo e uova.
Gli ultimi dati, del 2015, rivelano che le carni avicole hanno superato quelle bovine, attestando il loro consumo sui circa 20 kg pro capite, contro i 17,4 di quelle rosse.
In Italia si macellano quasi mezzo miliardo di polli ogni anno. E mentre cinquant’anni fa ogni italiano mangiava circa 120 uova, oggi, il consumo pro-capite ha raggiunto le 220 unità, di cui 142 consumate tal quali e le restanti sotto forma di pasta, dolci ed altre preparazioni alimentari.
“Negli ultimi decenni questi animali sono stati sottoposti a una spinta sempre più drastica verso la sovrapproduzione per soddisfare sia la crescente domanda, sia la richiesta di prezzi sempre più bassi ma anche le regole della grande distribuzione, che riduce sempre di più gli introiti dei produttori. Il produttore, molto spesso, non è proprietario dei polli che alleva, che appartengono invece alle aziende che smerciano il prodotto. Dunque non può vendere direttamente ed è costretto a seguire ritmi imposti da chi lo paga”, dice Enrico Moriconi, veterinario dell’Asl di Torino e garante dei diritti animali per la Regione Piemonte.
Un po’ come succede agli allevatori Usa nelle mani dei colossi del fast food, secondo la denuncia fatta da Morgan Spurlock, autore del famoso documentario Supersize me, nel suo prossimo lavoro, “Super Size Me 2: Holy Chicken!”.
La gallina deriva dal gallo indiano addomesticato circa 10 mila anni fa, animale che viveva in praterie circondate dagli arbusti, gregario, onnivoro, che raspa la terra in cerca di prede e che ama nascondersi.
Ma la situazione in cui si trovano ora è ben diversa. Sono stati sottoposti a una esasperata selezione genetica affinché entrino in produzione prima possibile, quando in natura vivono 4-5 anni, con record fino a 16. Quelli allevati da uova vivono un anno, quelli da carne, 40 giorni.
“La selezione genetica ha prodotto dei Frankenstein che in 30 giorni raggiungono i 4 kg di peso”, dice Roberto Bennati, vicepresidente della Lav. “I broiler devono produrre sempre più carne e infatti il loro corpo non è eretto ma si piega verso il basso. Inoltre sono diventati animali “a tempo”. Se li rimettessimo in condizioni naturali morirebbero presto perché la loro struttura non regge”.
Purtroppo il problema non si limita alla scelta delle razze.
Molti consumatori sono già a conoscenza del fatto che le galline da uova, così come i polli che forniscono carne, vivono in condizioni non esattamente idilliache, Ma se, come accade nel film Meatrix , prodotto nel 2013 dai Free Range Studio di San Francisco, prendiamo la pillola rossa che viene offerta da Morfeo al maialino Leo per sapere da dove vengono la carne e i prodotti animali, scopriremo una realtà ancora peggiore di come la immaginiamo.

Le galline di oggi inoltre hanno dimensioni quadruple a quelle di cinquanta anni fa, come attesta uno studio dell’Università canadese di Alberta. Ciononostante negli attuali allevamenti industriali, ogni individuo vive in uno spazio inferiore a quello di un foglio A4 (21× 29,7 cm) ma le sue dimensioni sono invece di circa 20 per circa 15 centimetri. E’ facile capire che ci stanno a mala pena.
“Non possono spiegare le ali, come fanno in natura, ma soprattutto non possono razzolare. E non lo fanno anche per un altro motivo: a causa delle loro caratteristiche e delle condizioni in cui vivono, le loro ossa non riescono a sostenere il peso del corpo. Le zampe si deformano e si spezzano. Inoltre vivono in bunker dove il loro ritmo circadiano viene modificato. La luce artificiale viene accesa per molte ore, al fine alterare il loro naturale ritmo giorno-notte, evitando la riduzione del bioritmo dell’animale. Il che significa che non hanno mai pause metaboliche e che il loro stress aumenta” rivela Bennati. Infine, letteralmente, vivono nella cacca. La lettiera infatti non viene mai cambiata. “A causa di ciò le esalazioni di ammoniaca, che sono tossiche, portano a enormi problemi respiratori e alzano il rischio di infezioni”, puntualizza Bennati.


In questa situazione, ovviamente viene favorito l’uso di farmaci e antibiotici, che sono vietati come mezzo per far ingrassare, ma non come medicina.
“Ormai non c’è più l’obbligo del residuo zero per queste sostanze. Ma i controlli sono statisticamente molto poco rilevanti, e spesso non danno reali informazioni. E anche se nella singola porzione di carne la quantità è minima, come avverte la Fao, si crea un problema di accumulo. Non a caso si è ormai creata una resistenza che ovviamente è passata poi anche all’uomo. Per abbassare i rischi ora, le ovaiole vengono sottoposte a 14 vaccinazioni prima di iniziare il ciclo di produzione”, racconta Moricone.
Resta però il fatto che la Relazione sulla resistenza agli antimicrobici dei batteri zoonotici e commensali effettuata nel 2014 dal Ministero della salute per il settore avicolo, ha riscontrato che i polli restano affetti da ceppi di salmonella, Campylobacter e soprattutto Escherichia coli che non vengono abbattuti dai medicinali.
Insomma, grazie alla pillola rossa, si scopre che le galline, sia da carne che da uova, vivono in veri e propri lager, per loro è sempre giorno, non possono camminare, respirano aria fortemente inquinata, ricevono continue dosi di farmaci, si trovano in condizioni di elevatissimo stress, hanno corpi profondamente modificati e il loro comportamento non ha più nulla a che vedere con quello istintivo che prevede per loro la natura, come la ricerca del foraggio, la cova delle uova nei nidi, beccare sul terreno.
Vivono in questo modo solo in Italia circa 500 milioni di polli. Mancanza di regole? No. In realtà sono in vigore una direttiva europea 1999/74/CE sulla protezione delle galline ovaiole, che in teoria vietava le gabbie di batteria convenzionali dal 1 gennaio 2012, un Decreto Legislativo 27 settembre 2010, n.181,in attuazione della Direttiva 2007/43/CE che stabilisce norme minime per la protezione di polli allevati per la produzione di carne, e il Trattato di Lisbona che vincola il legislatore comunitario a migliorare il benessere degli animali nella legislazioni, in quanto esseri senzienti.
Ma i Paesi europei stentano ad adeguarsi e tra questi c’è proprio l’Italia, che infatti ha ricevuto una procedura di infrazione.
Esiste anche un piano nazionale per l’uso responsabile del farmaco veterinario e per la lotta dell’antibiotico resistenza in avicoltura che prevede anche l’etichetta sul prodotto “Allevato senza uso di antibiotici”. L’adesione è però volontaria. Secondo Una Italia, il principale consorzio di produttori, la riduzione nel 2016 c’è stata e corrisponde al 23,7% per cento rispetto al 2015, che si aggiunge al 40% rispetto al dato del 2011.
“Le immagini contenute nel video e il racconto che ne emerge non sono assolutamente rappresentativi di quanto accade negli allevamenti avicoli italiani”. “Tra una popolazione di migliaia di capi è fisiologico che qualcuno sia malato, è lo stesso rapporto che può esserci tra persone sane e malate”, si legge sul comunicato pubblicato da Una Italia in seguito alla diffusione del video di Animal Equality.
Ma il problema, forse, è proprio la popolazione di migliaia di capi che vivono a stretto contatto.
Non abbiamo dunque speranze? Sì, ma non basta prendere, per esempio, uova di galline allevate a terra, perché queste spesso non hanno nessun accesso all’esterno e sono tenute in capannoni dove si possono trovare anche 20-30 mila polli, illuminati artificialmente.

Uno degli allevamenti fotografati da Animal Equality
Le cose migliorano solo con gli allevamenti all’aperto con alcune differenze: in quelli intensivi infatti il mangime resta convenzionale e lo spazio è comunque ridotto.
La soluzione in realtà è quella di orientarsi verso i prodotti biologici. I protocolli dell’Aiab infatti prevedono allevamento a terra, luce naturale, numeri ridotti di animali, il divieto delle gabbie, la scelta di razze più “naturali”, e soprattutto spazi più ampi, ovvero fino a 10 metri quadrati, in confronto ai 750 cm quadrati, che spesso sono in realtà 400, e accesso all’aperto.
E’ importante inoltre saper leggere le etichette e scegliere i prodotti.
“Noi invitiamo i consumatori a scegliere le uova con codice 0 o 1 che corrispondono all’allevamento all’aperto o biologico, e di evitare il codice 3, quello corrispondente all’allevamento in gabbia. Però ci preme sottolineare che una grande parte della produzione di uova in gabbia va a finire negli ovoprodotti, ossia in salse, biscotti, piatti pronti e tutti quei prodotti a base di o che contengono uova, per i quali non è prevista l’etichettatura secondo il metodo di allevamento. Questo non consente al consumatore, sensibile a queste tematiche, di fare una scelta d’acquisto consapevole.” spiega Annamaria Pisapia, direttrice di CIWF Italia Onlus.


“Insieme al nostro video abbiamo lanciato una campagna di firme volta ad aprire un dialogo con Una Italia per spingerla a prendere provvedimenti e a cambiare l’allevamento dei polli, andando oltre alle direttive europee per garantire un benessere degli animali e fare più controlli di qualità”, dice Alice Trombetta di Animal Equality.
“Molte delle richieste contenute dalla petizione di Animal Equality come la costante assistenza veterinaria, l’ammodernamento delle strutture, la presenza di rigidi controlli e sistemi di macellazione che tutelano il benessere dell’animale, sono da molto tempo una realtà del settore avicolo italiano”, dice ancora il comunicato di Una Italia. Si tratta di vedere se, oltre alle regole della produzione, alla gallina verrà davvero restituita una vita da gallina.


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