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Cosa mi hanno insegnato 45 minuti con Michael Jackson

Ultimo Aggiornamento: 28/12/2015 08:07
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21/01/2015 20:46
 
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Testimonianza di Jody Michael

Questo articolo l'avevo salvato mesi fa, poi avevo sempre trovato di meglio da fare che tradurlo (e non è una novità, sò lavativa, lo sapete). Ma ieri me lo son riletto e ho deciso che andava assolutamente postato.

Questa signora, Jody Michael, ha ora una società che si occupa di coaching per le carriere di singoli e imprese.


Cosa mi hanno insegnato 45 minuti con Michael Jackson



28/10/2014

Quando avevo 16 anni, ho avuto una conversazione di 45 minuti con Michael Jackson.
Come si può immaginare, l'esperienza è stata emozionante. Ma quello che non sapevo a quel tempo era come quella breve conversazione avrebbe plasmato la traiettoria della mia vita.

Era la primavera del 1974, quando ho sentito che il mio gruppo preferito, i Jackson 5, sarebbe venuto a Chicago. Ho subito scritto per avere i biglietti. Quando sono arrivati, non riuscivo a credere alla mia fortuna: avevo avuto i posti in prima fila! Da quel momento, tutto quello a cui sono riuscita a pensare era incontrare Michael.

Quando il giorno finalmente è arrivato, mio padre ha portato la mia migliore amica, Linda, e me fuori nelle periferie fino alla sala concerti.
Abbiamo trovato i nostri posti, fortuitamente situati proprio accanto alla mamma di Michael, Katherine. Lei è stata calda e accogliente e dopo che l’ho impegnata in una conversazione su quanto amavo i suoi ragazzi, ha fatto firmare il mio programma all’intero gruppo. Dopo lo spettacolo, programma in mano, ho detto a Linda che dovevamo incontrare Michael.



Il nostro geniale piano era semplice: rimanere dopo lo spettacolo e aspettarlo fuori. Purtroppo, altre 100 persone circa avevano avuto la stessa brillante idea, ma noi eravamo determinate. Nelle due ore seguenti, il gruppo andò diminuendo fino a che non rimanemmo solo noi due. Sapevamo, sapevamo nei nostri cuori che Michael era ancora all'interno del teatro.
Alla fine, il direttore del posto è venuto fuori e ha chiesto cosa stavamo facendo. Ho risposto "stiamo aspettando di incontrare Michael". Ci disse che se n'erano andati ore prima e ho risposto con sicurezza "E' il tuo lavoro dirci che non è qui. So che c’è e non andiamo da nessuna parte".
Infine, stufo delle ragazzine ostinate, aprì il teatro e ci lasciò esaminare il posto. Non c'era nessun membro della famiglia Jackson. Eravamo sconfortate.
Quando ci ha chiesto come avevamo programmato di tornare a casa, ci siamo rese conto che il treno per tornare in città aveva da tempo smesso di correre. Con tutta l’eccitazione, abbiamo completamente perso di vista le questioni pratiche. Lui è stato così gentile da darci un passaggio. Sulla strada verso casa, abbiamo ignorato il nostro autista; tutto ciò di cui Linda e io abbiamo potuto parlare è stato il nostro tentativo fallito di incontrare Michael e il castigo che ci aspettava a casa.

Poco prima di farci scendere, il manager del locale ha avuto pietà di noi e ci ha detto dove alloggiavano i Jackson. Sentii un'ondata di eccitazione e speranza ancora una volta, proprio come quando arrivarono i biglietti. Anche dover stare in castigo per una settimana non ha smorzato il mio stato d'animo.

Determinata ad incontrare Michael, il giorno dopo, sfidai gli ordini di mio padre e mi precipitai in albergo dopo la scuola. Mi sedetti nella lobby aspettando pazientemente per cinque ore. Quando fu chiaro che il concerto fosse già iniziato e che Michael non fosse nei paraggi, mi sono avvicinata all'uomo della reception solo per sentirmi dire "Non posso confermare o negare che i Jackson 5 alloggino qui".
Dopo molte insistenze, finalmente ha suggerito che anche se un famoso gruppo musicale fosse stato ospite presso l'hotel, probabilmente non l’avrebbe lasciato attraverso la lobby.

Schiacciata dalla consapevolezza che lo avessi perso di nuovo, mi sono seduta e ho scritto una lettera accorata per Michael, spiegando quanto lo avessi cercato, per quanto tempo avessi aspettato di incontrarlo e con quanti problemi mi fossi scontrata nei miei tentativi di connessione con lui.
Ma quando provai a consegnarla all'uomo alla reception, rifiutò di prenderla. Impassibile, ho preso l'ascensore e mi sono fermata ad ogni piano. Quando ho raggiunto la cima, c'era una massiccia guardia di sicurezza che mi ha avvertito "penso che tu sia sul piano sbagliato." Bingo! Sapevo che ero esattamente dove avevo bisogno di essere. Dopo molti tentativi di persuasione, l’ho finalmente convinto a prendere la lettera. Poi sono andata a casa e son finita in enormi guai.
Ancora una volta.

Ma ne era valsa la pena perché, quella stessa notte, il telefono squillò alle 2 del mattino. Ero a mala pena sveglia quando ho sentito mio padre rispondere e dire, "Michael? Michael chi?" Saltai giù dal letto e gli urlai di non riagganciare. Mi guardò come se fossi pazza e disse: "Dì a questo Michael Jackson, chiunque egli sia, di non chiamare di nuovo qui a quest'ora!"

Ho afferrato il telefono e ho trascorso 45 minuti a parlare con Michael. Era pacato e gentile - era come parlare ad un amico. Avevamo circa la stessa età e la maggior parte della nostra conversazione si è concentrata sulla sua curiosità intorno alla vita di un'adolescente normale. Ha chiesto della scuola e delle mie esperienze quotidiane; ci siamo sentiti connessi a causa delle lotte con i nostri severi padri. E’ stato un intimo colloquio tra due ragazzini.

Mentre la conversazione stava scemando, mi ricordo di aver pensato "nessuno ci crederà. Devo avere le prove". Poi ho pensato: "No". Intuitivamente, sapevo che chiedere una foto personalizzata come prova avrebbe rovinato il momento. La conversazione era così autentica e pura. Non ho chiesto.

Parlare con Michael Jackson è stato il mio primo successo - qualcosa di così grande e così improbabile che la maggior parte della gente non ci avrebbe neanche provato. A mia insaputa, quella chiamata di 45 minuti è stata una delle conversazioni più importanti della mia vita. Ha fatto sì che io fossi coraggiosa e tenace nel perseguire i miei obiettivi.

Troppo spesso, prendiamo un "NO" come segno che non siamo abbastanza intelligenti, abbastanza potenti o abbastanza capaci.
Creiamo e ci raccontiamo storie che ci limitano. La traiettoria dei nostri futuri cambiamenti si plasma - spesso in maniera importante - quando un "no" non è più un assoluto, e cambiamo con forza le nostre storie per sostenere l'azione di cui abbiamo bisogno per andare avanti.

Se volete seguire Jody Michael su Twitter potete farlo qui: www.twitter.com/jmacoaching

Fonte: www.huffingtonpost.com

(Ho reinserito il link, rimandava alla home page [SM=g27823] )


Traduzione di Miss Piggy per MJFanSquare. In caso di riproduzione su altri siti/forum, si prega di riportare la fonte. Grazie.
[Modificato da Compix 28/12/2015 08:07]
21/01/2015 21:50
 
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Bella testimonianza e brava costante e tenace lei...avrei fatto la stessa cosa...e poi ammiro persone così che non si arrendono al primo NO.
Grazie mille Ale, meritava davvero di essere postata e tradotta, grazie ancora! [SM=g2927039]
21/01/2015 23:20
 
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Grazie Miss per la traduzione [SM=g2927039] bellissima testimonianza.
22/01/2015 00:44
 
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Molto bello il significato che ha tratto da quella esperienza... Ma è il suo lavoro.

Grazie Alessia [SM=g27811]
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