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Prof chiama, alunna risponde (sto edit mica era necessario eh, fidati)
Joe Vogel (mettiamo prima lui va' ) - recensione Dangerous
Testo nascosto - clicca qui Come sostiene la narrativa tradizionale l'album Dangerous di Michael Jackson ha rappresentato la fine di un'era: la morte del pop e il sorgere, nella sua scia, di grunge, alt-rock e hip hop. La maggior parte dei critici evidenziano il momento in cui "Nevermind" dei Nirvana ha scalzato "Dangerous" dal n°1 nelle classifiche di Billboard come il punto di svolta simbolica. In pochi mesi, le camicie di flanella avevano sostituito ogni traccia dell'eccesso e della stravaganza degli anni '80.
Le trasformazioni culturali, naturalmente, non sono mai così semplici. Diversi mesi dopo che "Nevermind" aveva raggiunto il 1° posto, i Nirvana hanno condiviso il palco degli MTV Video Music Awards con rockers da stadio come i Def Leppard, i Van Halen, i Metallica, e quella che restava la più grande band in America, i Guns N' Roses. Infatti, se si dovesse fissare una svolta culturale, i VMA del 1992 non sarebbero una cattiva scelta. Guardare la performance sovversiva dei Nirvana (che era iniziata con poche battute del censurato "Rape Me" prima di cedere al lunatico "Lithium") subito dopo il cartoonesco "Let 's Get Rocked" dei Def Leppard, non solo faceva sembrare il rock anni '80 ridicolo, ma l'ha reso presto quasi obsoleto. Anche i potenti Guns N 'Roses, che hanno chiuso lo show con una performance spettacolare di "November Rain", sono stati pubblicamente derisi dai Nirvana come "rock corporativo" e "ribellione confezionata". Se mai c'è stato un cambio della guardia pubblico è stato quella notte.
Nel frattempo Michael Jackson, l'icona che definiva il pop degli anni '80, aveva creato un album, "Dangerous", che aveva molto poco a che fare con il pop, come "Nevermind". Le differenze stilistiche sono abbastanza evidenti. "Nevermind" era radicato nel punk rock e nel grunge, mentre "Dangerous" era principalmente fondato sul R & B / New Jack Swing. Tuttavia entrambi esprimevano un senso di alienazione sorprendentemente simile, con molte canzoni che funzionavano come una sorta di poesia confessionale. Confrontate il testo di Cobain da "Lithium" - "Sono così felice / Perché oggi ho trovato i miei amici / Sono nella mia testa" con "Who Is It" di Jackson - "Sembra che non importi / E non mi sembra giusto / Perché la volontà non ha portato fortuna / Visto che piango da solo di notte". Entrambi gli album contenevano anche la loro quota di agganci pop e ritornelli orecchiabili, introducendo sonorità più underground al grande pubblico, ed entrambi gli album erano cantati da anime ferite e sensibili che erano anche brillanti promotori / creatori di miti.
Dal punto di vista sonoro "Dangerous" ha ben poco in comune con il lavoro di colleghi pop star come Madonna, Whitney Houston e Mariah Carey. Il suo tono era molto più inquietante, grintoso, urbano e industriale. In cortometraggi come "Black or White", Jackson esplorava anche territori più bui, scioccando il pubblico della classe media con la sua espressione cruda di dolore e di indignazione contro il razzismo. Ironia della sorte, è stato alla "pop star dell'establishment", non alla band grunge outsider, che il video musicale è stato censurato dopo proteste pubbliche sulla sua controversa coda. "Smells Like Teen Spirit", nel frattempo, era trasmesso così tanto che uno dei dirigenti di MTV era esaltato perché avevano "una nuova generazione a cui vendere."
Il punto è che, contrariamente all'opinione diffusa, entro la fine del 199 i Nirvana erano "pop" come Michael Jackson e Michael Jackson "alternativo" come i Nirvana. Gli album di entrambi gli artisti erano stati pubblicati da etichette principali e avevano avuto simili successi commerciali e di classifica, anche se erano stati misurati su aspettative molto diverse. Ciascuno ha prodotto singoli di successo. Ciascuno ha suscitato memorabili video e performance trasmesse fianco a fianco su MTV. E ad oggi ognuno dei due ha venduto oltre 30 milioni di copie in tutto il mondo.
"Nevermind", naturalmente, ha avuto di gran lunga maggiore successo di critica, sia per la sua portata culturale che per la sostanza artistica. Tuttavia 20 anni dopo "Dangerous" sta guadagnando ammiratori, dato che più persone si muovono al di là del non pertinente nonsense che era così importante nelle revisioni contemporanee e prestano attenzione al suo contenuto: i suoi temi che anticipano il futuro, il suo vasto inventario di suoni, la sua ricerca panoramica di stili musicali.
La morale della favola è questa: se in effetti è considerato un album pop, "Dangerous" ha ridefinito i parametri del pop. Come spiegare altrimenti un album che miscela R & B, funk, gospel, hip-hop, rock, industriale e classica, un album che presenta una canzone ("Will You Be There") con la Nona Sinfonia di Beethoven e un'altra ("Dangerous") con quello che sembra il cuore di una fabbrica di acciaio cittadina, un album che può alternativamente essere paranoico, criptico, sensuale, vulnerabile, idealista, cupo, trascendente, e spaventoso? Anche la copertina dell'album, un dipinto ad acrilico del surrealista pop Mark Ryden con una maschera tipo circo attraverso la quale Jackson fissa il suo pubblico, significa una nuova profondità e consapevolezza.
Jackson prepara il tono fin dalla traccia di apertura. Al posto degli incontaminati e cinematografici groove di "Bad" c'è qualcosa più in sintonia con il mondo reale, qualcosa di più teso e urgente. I vetri rotti all'inizio di "Jam" rappresentano degnamente la svolta. "Dangerous" è stato il primo album di Jackson senza il leggendario produttore Quincy Jones. Molti pensavano che fosse pazzo a separarsi da Jones, dato il successo senza precedenti che la coppia aveva avuto insieme. Ma a Jackson piacevano le sfide e si sentiva rinvigorito all'idea di fare da produttore esecutivo e lavorare con una nuova tela. Ha iniziato a sperimentare con un gruppo di produttori e ingegneri di talento con cui aveva sviluppato dei rapporti negli anni precedenti, tra cui Bill Bottrell, Matt Forger e Bryan Loren; più avanti nel processo, ha anche riportato il suo ingegnere del suono di vecchia data, Bruce Swedien. Quello che è risultato dalle sessioni di registrazione - che si sono estese fra il 1989 e il 1991 - è stato il suo album più socialmente consapevole e rivelatore a livello personale fino ad oggi.
Probabilmente l'aggiunta più significativa al nuovo team creativo, tuttavia, non è stata fatto fino all'ultimo anno. Jackson era insoddisfatto di molte delle tracce ritmiche. Voleva che colpissero di più, che si sentisse la tensione. Con questo in mente si mise in contatto con il 23enne innovatore del New Jack Swing, Teddy Riley. Dalla pubblicazione di "Bad" nel 1987, l'R & B e l'hip-hop erano evoluti in una varietà di direzioni, dal rap provocatorio dei Public Enemy, alla schiettezza sessuale di LL Cool J, all'aggressivo New Jack Swing di Bobby Brown e Guy. Jackson voleva prendere elementi da tutte le più recenti innovazioni e suoni e piegarli, contorcerli e fonderli con la propria visione creativa. Mentre "Dangerous" è spesso descritto come New Jack Swing - senza dubbio a causa della presenza di Riley - l'appropriazione da parte di Jackson dello stile è chiara. Le battute sono spesso più dinamiche e nitide, i ritmi più sincopati, il suono più viscerale ed industriale. Suoni di fondo sono usati come percussioni ovunque: clacson, catene scorrevoli, porte basculanti, vetri in frantumi, metallo che si rompe. Jackson inoltre implementa frequentemente il beatboxing, lo scat, e lo schiocco di dita.
Prendete una canzone come "In the Closet" e confrontatela con le altre New Jack Swing di fine anni '80 e primi anni '90. Le differenze sono sorprendenti. Ascoltate il modo in cui l'intro elegante al piano lascia il posto al beat erotico, rotenate. Ascoltate come la canzone crea tensione e sollievo, crea tensione e sollievo, prima che il culmine esploda al minuto 4:30. Ascolta le agili prestazioni vocali, dalla silenziosa narrazione confessionale, alle strette armonie in falsetto, fino agli appassionati sospiri, rantoli ed esclamazioni. E' una delle canzoni di Jackson più cariche sessualmente, eppure trasmette anche una certa sottigliezza e intrigo; anche il titolo gioca timidamente con le aspettative sulla sessualità. Diversamente dalla maggior parte degli autori di R & B e pop, le "canzoni d'amore" di Jackson contengono quasi sempre una certa ambiguità, tensione drammatica e mistero. Ad esempio anche "Dangerous", che contiene il testo: "Profondamente nel buio della follia della passione / Mi sentivo preso dal desiderio di strana disumanità".
E' la seconda metà dell'album "Dangerous", tuttavia, che mette in mostra davvero la gamma artistica di Jackson. Dopo il grande successo del dichiarativo "Black or White", Jackson svela una delle canzoni più belle nel suo intero catalogo, il capolavoro che rimane in testa "Who Is It". Per coloro che ancora credono al mito che il lavoro di Jackson abbia avuto un declino dopo gli anni '80, questa traccia da sola dovrebbe sfatare il concetto. Non solo è sapientemente realizzata (rivaleggiando con "Billie Jean"), è il Jackson più emotivamente vero: "Io non ce la faccio, perché sono solo". "Give in to Me" prosegue il tono buio, con Jackson che scatena l'angoscia repressa sulle aspre note della chitarra di Slash. E' una canzone che sarebbe stata benissimo accanto alle contrastanti dinamiche quiete / forti delle canzoni di Nevermind o le grezze trame metalliche di "Achtung Baby" degli U2 .
Che cosa viene dopo? Un preludio tratto dalla Nona Sinfonia di Beethoven, naturalmente, seguito da due brani, "Will You Be There" e "Keep The Faith", radicati nel gospel nero. Jackson chiude l'album con una tenera espressione sulla caducità della vita ("Gone Too Soon"), ispirata dalla vittima dell'AIDS, Ryan White, prima di tornare al punto di partenza con il New Jack Swing industriale della title track.
Da alcuni questo tipo di approccio eclettico e massimalista a un album è stato visto con disprezzo. "Dangerous" è stato criticato per essere troppo lungo, esagerato e non focalizzato. Cosa diavolo, si chiedevano gli scettici, ci sta a fare una canzone come "Heal the World" in un album con "Jam" e "Dangerous"? Certo, quadra se si fa il confronto con il suono e il tema ininterrotto di un album come Nevermind. Jackson, naturalmente, avrebbe potuto facilmente seguire questo percorso con l'aggiunta di alcune canzoni alle sette tracce ritmiche che aveva creato con Teddy Riley. Ma in ultima analisi, è stata una scelta estetica. Jackson apprezzava la diversità e il contrasto, sia dal punto di vista sonoro che tematico. Amava l'idea di sorprendere il pubblico con una sequenza insolita di canzoni o un cambiamento imprevisto di umore. Se l'R & B tradizionale non poteva esprimere una certa emozione, lui aveva trovato uno stile che poteva (così il pathos epico e con radici bibliche di "Will You Be There" si trasforma in classica e gospel). Gli album, secondo lui, erano viaggi e, come avrebbe poi spiegato in riferimento alla sua serie di concerti This Is It, voleva portare le persone in posti in cui non erano mai stati prima.
Eppure, a prescindere delle preferenze stilistiche, si deve almeno riconoscere l'audacia e il talento di un artista che è riuscito ad attingere da fonti così disparate e creare una tale varietà di generi. Axl Rose potrebbe fare il New Jack Swing? Kurt Cobain potrebbe fare l'hip hop? Chuck D potrebbe fare il gospel? Eppure Michael Jackson ha lavorato a suo agio con Slash così come ha fatto con l'Andrae Crouch Singers Choir o Heavy D.
Qual è, allora, l'eredità di "Dangerous" vent'anni dopo? E' stato un punto di svolta artistica per Jackson, che ha spostato la sua attenzione a materiale più socialmente consapevole, concetti ambiziosi e una tavolozza più ampia di suoni e stili. E' anche l'espressione culminante del suono New Jack Swing, che contribuisce al R & B della fine degli anni '80/primi anni '90 allo stesso modo in cui album come "Nevermind" e "Ten" hanno fatto per il rock. La sua fusione di R & B e rap hanno impostato il modello per gli anni a venire, mentre i suoi paesaggi sonori industriali e i beat metallici sono stati successivamente resi popolari da artisti diversi tra loro come Nine Inch Nails e Lady Gaga. Per quanto riguarda la scena musicale generale nel 1991, che è stato davvero un anno straordinario per la musica, può non essere stato culturalmente dominante come "Nevermind", ma sta al suo fianco (e a una manciata di altri dischi) come una delle realizzazioni artistiche più impressionanti dell'inizio del decennio.
Alla fine i Nirvana e compagnia potrebbero avere ucciso il rock degli anni '80. Ma se il pop era morto, il suo "re" aveva creato con successo delle alternative.
Mark Lanegan - recensione Dangerous
Testo nascosto - clicca qui Dangerous
Tempus Regit Actum
Il 1991 è un anno importante nella storia della popular music internazionale; la gente ha la percezione che qualcosa stia davvero cambiando. Vi è la epocale consacrazione del grunge che raggiunge in una sua prevedibile declinazione melodica la vetta delle charts e ciò ad anni di distanza dai Screaming Trees ed i Mudhoney che ne avevano gettato le basi.
Ma è anche l’epoca in cui i dischi house giungono regolarmente al primo posto delle classifiche americane ed in Europa vi è la definitiva esplosione di un linguaggio iniziato qualche anno prima dai La’s e dal Madchester sound, ovvero il Brit pop, destinato a fama internazionale, oltre il merito dei singoli artisti.
Si tratta della decade in cui tipicamente gli stili si fondono fino a rimanere difficilmente distinguibili.
Nel 1991 l’house e la techno formano oramai talmente tanti e numerosi sottogeneri e specie particolari da divenire alla fine essi stessi indifferenziabili (big beat, IDM, body music, ambient house ecc).
E’ un anno ove regolarmente MTV propone commistioni conclamate fra funk, hard rock, rap ed heavy metal (Beastie boys, Run DMC).
Ma anche nel rock più tradizionale vi sono sconvolgimenti degni di nota, come le fusioni di rock gothic ed industrial dei Type o’ Negative, la nascita dello slow core dei Codeine, l’impronta dei Kyuss fa proseliti per la fondazione dello stoner rock, eccetera, ma è soprattutto l’anno del massimo splendore del post-rock che, grazie agli Slint (Spiderland) , a giudizio di molti (e anche il mio), produce l’album del decennio. Tanto si può ancora dire, basti dire che nasce in quei giorni il Web ed il primo mp3 è in fase sperimentale.
Quindi mai così tanti diversi linguaggi pop come appaiono già ai primi dei ’90, mai così tanti fenomeni di sincretismo musicale
La stessa MTV, la cui vicenda è legata a MJ ed inizia un decennio prima di Dangerous, altro non è che una commistione di generi diversi: guardare la TV e ascoltare musica. E’ un semplice ed efficace strumento di diffusione commerciale della musica. Oltretutto l’immagine veicola sentimenti fortissimi e fissa il ricordo degli ascoltatori. MTV è al suo picco massimo nel ’91.
MTV a sua volta ha completamente sostituito, nel ’91, la vecchia e superata “rivista musicale”: per informarsi su un nuovo gruppo o su un artista il pubblico si rivolge alla Tv nel ‘91.
Quest’ultima pare in grado di influenzare perfino il suo fratello maggiore, il cinema e la stessa produzione cinematografica struttura i film destinati ad un pubblico sensibile commercialmente alla musica pop concependo un momento musicale staccato dalla sceneggiatura, e ciò proprio in previsione della sua circolazione su MTV quale video a sé stante, (pensiamo a Top Gun, Breakfast Club).
Per finire una breve introduzione sul “tempo che regge Dangerous” vale ricordare una considerazione condivisa nella critica musicale: le nuove tecnologie che avanzano negli anni ‘90 non hanno determinato la rivoluzione della sfera privata e della fruizione della musica, o della comunicazione in senso lato, pensiamo ai cellulari. E’ l’esatto opposto.
Video da una parte, dall’altra MP3, internet e cellulari di lì a poco tutti disponibili, sono tecnologie rese possibili e frutto di una trasformazione della sfera pubblica che è in atto ed in rapidissimo sviluppo nei ‘90s. Una rivoluzione della sfera pubblica epocale ed irreversibile che si concretizzerà pochi anni dopo con i blog ed il music sharing e che farà crollare l’industria discografica. Prima cadono i muri e poi la gente comunica liberamente.
Se su MTV all’epoca di Thriller vi erano programmi che occupavano l’intera notte del sabato mostrando, a telecamera fissa, una moltitudine di ragazzi mentre ballano un dj-set, all’epoca di Dangerous vi sono in atto i primi forti segnali di reazione, di una dissoluzione della sfera pubblica della comunicazione, rimpiazzata da un uso personale della fruizione di contenuti: la gente si siede al pc tutti i giorni, le informazioni vengono stipate in Cd, il senso esasperatamente glamour (se non addirittura trash) di certa parte degli anni ’80 è definitivamente cessato.
Un ultimo appunto introduttivo, fondamentale e che a questo punto può sembrare paradossale con quanto detto poc’anzi: sono i ’90 che recano con sé l’etichetta della globalizzazione, asserzione che va di portata ben al di là del semplice dato musicale.
Ben lungi da potere affrontare in una riga l’argomento di libri interi di critica musicale, nei secoli a venire gli anni ’90 saranno indicati come l’epoca di creazione di una mediatizzazione planetaria, dove l’elemento tecnologico è l’approdo naturale che consente di accogliere e fruire l’ipertrofica ascesa di innumerevoli mode, culture, ad ognuna delle quali corrisponde un (sotto)genere pop ben preciso.
E MJ ? Bè, lui nel 11991 è il N. 1. Il re delle vendite, quantomeno.
La domanda è: può il re degli anni ’80 mantenere lo scettro in un tempo completamente diverso e in fase di rivoluzione, come quello dei ’90?
Se c’è una domanda forse c’è anche la risposta, prima però facciamo un passo indietro, e stavolta andiamo specificamente a MJ.
Esile, infantile, umile e controverso quando intervistato, aggressivo e strafottente quando balla, nervoso e sexy quando canta, la formula vincente di MJ è nota a qualunque abitante nel pianeta terra nell’anno 1991.
La rendita di Thriller e Bad dovrebbe garantire il successo a MJ. Si direbbe facile a dirsi. Ma fare un disco nel 1991 non è facile; farlo nelle condizioni di MJ il quale deve bissare i successi di Bad e Thriller è una missione al limite dell’impossibile.
Di qui prende le mosse Dangerous, dove il titolo rivela la propensione di MJ per la drammatizzazione, costante che accompagna sempre e da vicino la vita del cantante. Qui il titolo è azzeccato e la sensazione che portano con sé le 14 tracce del disco è che MJ affronti con coscienza la propria missione: affrontare aspettative della propria audience, che è necessariamente globalizzata ed indifferenziata, come sopra ricordato.
Non voglio anticipare un giudizio, ma se l’obiettivo di MJ è quello di venire incontro al proprio pubblico e di incontrare il tempo che cambia, Dangerous diviene una risposta quasi obbligata, e non mi pare casuale più nulla nella vita e nella musica di MJ. Forse MJ ha sempre guardato il segno dei tempi, molto più di quello che la critica più severa è disposta ad attribuirgli. Forse non si può giudicare severamente un comportamento necessitato. MJ doveva piacere a tutti ed i suoi dischi dovevano assolvere questa funzione.
Hic sunt leones
Jam è il biglietto da visita di Dangerous: una intro dal valore programmatico, con un asciutto algido fascino ritmico che è costituito da un’intensa drum pattern, scandita esplosivamente al volgere ciclico delle battute.
Il pezzo mostra subito dove va a posare lo sguardo di MJ. Niente post rock, niente grunge, nessun abbraccio di ciò che pare esplosivo al momento sulla scena musicale. Quella che poteva sembrare una incomprensione da parte di MJ all’epoca, si rivelerà una chiarissima visione del pop di lì a 20 anni. E oltre, perché al tempo in cui scrivo queste righe sulla scena musicale non vi è traccia di superamento di ciò che Dangerous mette in scena: una “jam” di dancefloor. Ed il sincretismo di generi diretti alle dancefloor sarà per gli anni a venire il pop vincente nelle chart universali: una commistione indefinibile di generi dove l’elettronica e l’hip hop saranno protagonisti, declinando –vedi sopra- in una miriade di sottogeneri.
Tutt’altro destino per il post rock, oppure il grunge ed altri movimenti, arrivati come un tornado a sconvolgere le classifiche americane e poi di mezzo mondo: questi passeranno altrettanto velocemente così come sono venuti, lasciando un ricordo tra macerie che nessuno oggi pare rimpiangere. E’ agli Einsturzende Neubaten che guarda MJ, non ai divi pop degli anni ’80. La cosa non può passare inosservata, perché MJ fa citazioni dirette, non causali, trattandosi di produzione accuratissima.
Si diceva dell’intensità ritmica di JAm: in realtà si tratta di un pezzo misurato, scandito da un numero di bpm molto contenuto e sincopato in modo da consentire a Mj di inserire i tipici urli e sospiri in levare ed in falsetto, così da lasciare la propria tipica ed universale impronta. Anche in questo caso, il brano ha acquistato con il tempo un valore diverso dal significato originale, trasformandosi in una melodia da ricordare con nostalgia, piuttosto che un pezzo funzionale ai dancefloor.
MJ interpreta con il solito stile affannato e nevrotico la melodia che cerca di rimanere il più possibile su una sola nota, dando forza alla nevrosi urbana che contraddistingue tutto l’album. I rumori scelti per il collage sono del resto in linea con la tinta cupa dell’intero album: questo prende le mosse con un vetro rotto e gli inserti concreti paiono ricordare un ambiente sonoro che è quello della periferia urbana americana. Le premesse sono intese a graffiare, ma l’inserto più tipicamente hip hop è lontano mille anni luce dal gangsta rap che proprio in quel momento vede gli albori e che accompagnerà nel ’92 le rivolte suburbane in america. Scelta condivisibile o deprecabile a seconda dei punti di vista, MJ sceglie una via di mezzo con un approccio intenzionalmente morbido alla prevedibile rappata. Questa poi appare più sofisticata rispetto alla complessiva interpretazione del brano, più grezza, forse a rimarcare la propria incisivissima performance.
Why You Wanna Trip On Me
Scompare lo scratch di Jam, ed appare una chitarra con compressore dal suono morbido che si produce in una paio di scale. Ma non c’è intenzione di stupire: l’assolo annuncia un pezzo tipicamente jacksoniano. Da tempo ho la convinzione che la forma canzone scelta da MJ non sia quella tipicamente convenzionale costituita da chorus bridge, beatlesiana per intenderci, ma quella dylaniana, per così dire: Strofa-Ritornello. La scelta di una struttura di forma-canzone si riverbera sulla differente strategia del piacere. E why you wanna trip on me è esattamente così: la forma canzone è quella esplosiva, S-R, e fa durare le canzoni ben oltre 6 minuti. Ne tengano conto coloro che ritengono che solo chi ha pretese artistiche possa spingersi oltre i 4 minuti. Catturare l’attenzione è una tattica complessa, ma chi sta dietro a MJ non è nato ieri: il pezzo a ben vedere ha l’intro in simil heavy metal, un tempo di attesa di sedici battute prima della comparsa delle strofe cantate. L’indugio è intenzionale e le strofe se ne stanno rigorosamente in minore, come da copione, in attesa di arrivare alla tonica, cosicché dopo tanta attesa, quando il basso comincia a salire e l’armonia ci porta alla dominante, compaiono finalmente i sintetizzatori a dare pace all’ascolto. Questi poi sembrano quelli presi da tanto synth pop degli anni ’80 (non sembrano esattamente quelli di view to a kill dei duran duran?? chi se la ricorda?) cosicché, quando arriva il chorus, il senso di ansia generato dalle strofe sussurrate viene stemperato da armonie assolutamente ipnagogiche. Una considerazione: anche se MJ fosse una star prodotta dall’industria discografica, come sostengono i detrattori di MJ, cosa cambia? Ci sono sofisticatissime soluzioni, come qui, tali da soddisfare ogni tipo di ascolto. Quello proprio dell’ascoltatore distratto, in cerca di un motivo da canticchiare, ae quello di chi, piegato in due su sé stesso e con le mani sulle cuffie, cerca di cogliere e separare tutti i suoni di un pezzo. Si possono fare critiche, certo. Se solo avesse osato premere sull’acceleratore, se solo avesse puntato di più sull’effetto ipnotico delle strofe, se solo avesse sottratto qualcosa da uno spettro musicale esageratamente ricco, se solo se solo…Ma il disco perfetto non si crea, lo si porta giù dalla dimensione dove sta già.
In The Closet
Intro come da aspettative, questa volta lussureggiante sezione di archi, ed una trama ritmica che ricorda molto da vicino il pezzo che precede. Ancora una volta, il pezzo è estremamente curato. Basti dire che, come da copione, il titolo viene dall’hook del ritornello. Fin qui tutto normale. Il punto è che l’hook se ne sta nascosto al termine di uno dei diversi momenti narrati e quando viene è all’improvviso, recitato più che cantato, e così il climax del brano è declinato in modo da sorprendere. Nella coda ritornano gli inserti sonori che hanno l’effetto di controbilanciare, quale contraltare, la tendenza del pezzo a virare verso soluzioni pericolose zuccherose. In effetti è la voce di MJ a dare compostezza ad un arrangiamento altrimenti esagerato nel pathos. Si tratta di un pezzo che guarda agli anni ’80 da vicino. E forse proprio per questo Keep in The Closet può raccogliere i maggiori consensi della critica, godendo oggi di quell’onda lunga che abbraccia i generi Urban, il nuovo apprezzamento per il pop ‘80s (“lo sdoganamento”), anche quello più trash.
A questo punto viene da chiedersi chi o cosa ci sia dietro (o a fianco) di MJ. Con She Drives Me Wild finalmente riconosco qualcosa di deja Vu per le mie orecchie: parte il pezzo e sento l’inizio di Autobahn. La stessa accensione di un motore. Non simile, si badi bene: identica. Ora cosa ci facciano i tedeschi Kraftwerk del 1974 in un disco della più grande star internazionale negli anni ’90, che si rivolge a tutto un altro pubblico è presto detto. Qui qualcuno gioca sporco e riproduce soluzioni assolutamente alternative dandole in pasto ad un pubblico universale. Certo, è passato il tempo che tutto distrugge e rende inoffensivo ciò che prima aveva senso e significato diverso: come le ragazzette che indossano gli stivali punk per andare in centro il sabato. Non è un furto, si tratta di citare e prendere a prestito. Sono i Kraftwerk a ringraziare, suppongo. Fa sorridere che il motore acceso là servisse per sottolineare la componente meccanica delle canzoni, qui per conferire l’aura di “strada”, coessenziale ad un pezzo di hip hop, quale cultura urbana. Stesso suono, due finalità diverse (due pubblici diversi? Non più direi, da quando c’è internet e il file sharing) Detto questo, si tratta di un pezzo dance dalle pulsazioni regolari e dal timbro melodico. Le semplici armonie di MJ sembrano perfettamente adattarsi ad un pezzo che è certamente più sereno e convenzionale di quelli precedenti. Tutto sommato direi che molti l’amino, visto che la semplicità è un dono. Ma non so, si tratta di pura illazione.
Il quinto pezzo è Remember The Time, che inizia parendomi If I ever lose my faith in you di Sting. “Deo gratias, non è sting” proseguo , rinvenendo dallo shock e mettendo via una serie di brividi di terrore. In effetti, l’involontario lapsus mi convince su una certa seminalità da parte di questo brano da classifica. Vibranti armonie, un beat incisivo. MJ canta sempre strillando, accenna a beatbox, ci mette arte e mestiere, tutto suppongo per costruire un brano diretto al N. 1 delle chart. A pensare male si può aggiungere che c’è molto manierismo ed un pelo di ripetitività che tende alla lunga ad annoiare. Ma la fruizione del brano è immediata e la capacità di creare melodie del marchio MJ pare immutata dai tempi di thriller.
Dopo una breve intro che non riesco ad inquadrare bene e che mi pare il pop cosmico dei Popol Vuh di Hosianna Mantra i (ma è un caso che MJ si rifaccia all’elottronica tedesca, capostipite dell’intero genere? Ne dubito) inizia Can’t Let Her Go Away, che credo di non avere mai sentito prima. Ma dovrei dire lo stesso per Why you wanna trip on me. Ancora una volta mi si presenta quello sciame ritmico che risulta a questo punto omogeneo all’intero album. Ovvero quello che ho letto sulle critiche essere un “tappeto sonoro” per tutto Dangerous: intricato ma costante. Il brano è un ibrido fra un pezzo tipicamente dance anni 70’ per armonie ed arrangiamento, mischiato ad una ritmica aggressiva, fra scratch ed esplosioni al sintetizzatore, che non lascia dubbi sull’intento di mixare la soluzione vintage con il nuovo. Per una volta la voce di MJ non se ne sta sopra la strumentazione, ma si confonde con questa ed è una buona intuizione. Nel chorus MJ prima va in falsetto e poi produce le solite consumate armonie, ma si tratta di un ritornello che non risolve l’ansia armonica portata dalle strofe. Il risultato è un pezzo che ha solo movimento orizzontale, omogeneo, tutto sommato atipico nella concezione per un prodotto mainstream e non riscontrabile altrove su Dangerous, perfettamente inquadrabile nell’esigenza di essere un esercizio dance, sottratto dalla necessità di un capo e di una coda.
E poi c’è Heal The World. Che è vibrante come la voce di MJ per questo brano, tra i più famosi della sua discografia. Si tratta di un pop che non richiede presentazione. Chi mi conosce, chi conosce la persona reale che risponde e sta dietro al nome presuntuoso di Mark Lanegan, sa che preferirei mangiare un merluzzo crudo, ancora vivo, con l’occhio azzurro e l’amo ficcato in bocca, piuttosto che ascoltare un brano del genere. Farlo due volte di fila, mi porta diretto ad usufruire dei servizi di Pronto Soccorso. Quando parte il coro finale mi si elettrizzano perfino i capelli e mi pare perfino di vanificare il moment che ho preso per combattere la consueta emicrania del weekend. Ma ok, chissenefrega del recensore. Quello che onestamente va detto, indossando per un breve attimo la toga del critico, è che MJ ha l’irrepetibile dono di confezionare incisi anche di 15 – 20 secondi di assoluta perfezione melodica che se la sognano perfino Bacharach, Gershwin oppure gli XTC. Il risultato complessivo presenta però, ancora una volta chiari e scuri. Da un lato la linea melodica così come detta, dall’altro un’assoluta ridondanza di forma e addirittura di contenuti. Di forma, perché dalla voce del bambino, al suono da piano bar delle tastiere, al vibrato della voce di MJ, alle armonie cacofoniche, tutto contribuisce a creare un arrangiamento troppo ricco e barocco. Di contenuto, perché una popstar dovrebbe sempre sottrarsi all’accusa di mancanza di autenticità. E Heal the World è un messaggio che racconta la sfera pubblica del dover essere, ma la popular music è una forma di comunicazione confidenziale, che dovrebbe consentire il risparmio di energia psichica, proprio come una risata, per cui f**k the world funziona più e meglio che “vogliamoci bene”. E ciò a prescindere da ciò che poi, tolte le cuffie, si vada a fare nel mondo reale. Questo proprio perché il divertimento è, per stesso etimo, qualcosa che va a divergere con la sfera pubblica di ogni individuo. E fa sì che se Albano parla di ecologia, per dirla come Grillo, allora io vado ad inquinare il Polo Nord (ecologia Albano? Con quello che la natura ha fatto a lui?)
Track n. 8, Black Or White. Francamente va tutto bene così, chiediamo pure ai grandi artisti del rock alternativo di scendere a competere con MJ su questo piano di puro intrattenimento per vedere chi esce con le ossa rotte. 3:15 ed il suono non è sovrabbondante come nel resto dell’album. Fosse stata un minuto più breve, sarebbe stata perfetta. Perfino MJ non sente la necessità di cantarla caricandola con un’interpretazione pesante e la lascia brillare di propria luce. La canzone si regge sul riff di una chitarra con un probabile effetto di delay/chorus ed è di immediata presa. Sulla capacità di creare melodie di MJ vada quanto detto sopra, e per una volta anche il middle eight è sullo stesso livello. Si tratta di un pezzo costruito attorno ad un riff ed una strofa, e ciò attrae le antipatie di tutti i critici seri, per cui se non c’è una dissonanza non vale la pena di sentire nulla. Ma il pop si accompagna splendidamente a soluzioni così immediate.
Lo sforzo di MJ di piacere ad ogni persona e ad ogni costo comporta che a Black and white segua, un pezzo di segno diverso. Who Is It prende le mosse da un intro onirica ma presto (non è una sorpresa) espone un cupo beat ed un giro di basso che pulsa sopra ogni altro strumento. Buone le pause nel pezzo, i fiati molto meno. In generale la scelta degli arrangiamenti è di quelle discutibili, destinate a dividere.
N. 10, Give In It To Me è costruita attorno ad un arpeggio tipicamente anni ’80. Qui si tratta di un’operazione pericolosissima per MJ il quale veramente ha inteso fare un pezzo per ogni tipo di audience. Peraltro, ad onore del vero, la melodia ed il suono spingono la canzone in un pericoloso genere che assomiglia più a quello di Bon Jovi che a quello dei guns and roses per i quali slash è stato probabilmente ingaggiato. Potrebbe essere una canzone per cui si potrebbero vantare gli Europe a fine anni ’80. MJ la interpreta pure bene ma il senso ultimo è che MJ non possa fare tutto e per tutti. Sono sicuro che abbia fornito e riempito le aspettative di qualche milione di persone non necessariamente interessate all’hard rock, ma fare questo tentativo nel momento dell’esplosione del grunge è veramente qualcosa di “dangerous” ed ha segnato l’arretratezza del brano sotto questo profilo. Forse suona meglio oggi che al tempo.
Con Will You Be There la voce ritorna immediatamente vibrata ed l’interpretazione soul pare ben congegnata. Almeno l’arrangiamento dapprima non pare troppo ingombrante e non vi è l’effetto surround che opprime quasi tutto l’album con risultati alterni. Se non possono farsi critiche alla linea melodica, come al solita ispirata per almeno metà brano, da un certo punto in poi MJ si fa francamente prendere la mano, parte per la tangente e finisce con un parlato singhiozzante francamente imbarazzante per chi crede nell’understatement come forma di manifestazione del dolore. La rappresentazione del dolore in quanto finzione scenica è addirittura incomprensibile e mi ricorda certe arie della canzone popolare italiana. E’ mia personale convinzione che in Mj convivano congiuntamente anime diverse ed idee decisamente positive ed altrettanto negative. In realtà, trattandosi dell’artista più amato degli ultimi anni, il saldo è essenzialmente positivo, certo non mi riesce strano comprendere perché molta gente l’abbia denigrato in vita. Peccato perché la parte simil-gospel avrebbe potuto essere sviluppata efficacemente, forse semplicemente togliendo invece che abbondando.
Keep The Faith. Inizia come un pezzo ‘synth pop 80’s, ma per fortuna MJ presto si ferma e parte un ritmo pulsante. Ma si tratta perfino di una falsa partenza e la canzone ritorna indietro con un ottimo senso dell’architettura complessiva. E quando riparte trova finalmente il bridge più ispirato dell’intero album, che finalmente scende di quel mezzo tono dovuto alle leggi dell’armonia e che consente mille possibilità diverse di declinare efficacemente la sua conclusione. In effetti MJ a quel punto non si lascia perdere l’occasione ed il coro che fino al bridge forniva delicati accompagnamenti armonici, surrettiziamente si trasforma in un oratorio gospel. E finalmente, mi ripeto. La canzone vive di due o tre momenti trascinanti e, ancora finalmente, c’è qualcosa che fa dire chapeau, come quando il coro in contrappunto su MJ aumenta di volume. A trovare il pelo nell’uovo, Keep The Faith è cantata senza soluzione di continuità dall’inizio alla fine. Siamo di fronte al mondo, non di fronte ad una platea tipicamente mediterranea ed abituata all’opera. Probabilmente MJ è consapevole dell’efficacia del pezzo e ci starebbe sopra un mese intero se potesse. Peccato, perché sono gli stop le cose più potenti della canzone. Ma si tratta di appunti marginali, e per quanto si tratti di un pezzo secondario di MJ (non a caso la massa rifugge), si tratta di una produzione estremamente convincente.
Mi ha dato fastidio staccare da Keep the Faith e trovare il pezzo n. 13, Gone too Soon. Lo recensisco al volo mentre lo sento la prima (e unica volta). A me pare un riempitivo ed il timbro del piano fa rammentare un piano bar più che un ambiente onirico. Non basta essere ispirati quando si canta, e se le note sono lunghe una battuta intera… hai voglia a mettere del genio: semplicemente ti sei tagliato ogni possibilità di fare qualcosa di originale. Ha il pregio di durare molto poco e questo mi fa pensare che si tratti di una sapiente mossa nel layout dell’intero album.
Dangerous, il famoso midtempo, come avevo letto sulla mia rivista preferita online. Il commiato di MJ ha il beat che contraddistingue l’intero album. Non sarebbe nulla di particolare, ma è incisivo perché è scarno e le esplosioni contenute, così da preservare l’effetto ipnotico. Addirittura la voce di MJ non è eternamente presente, confidando gli autori nelle doti autonome del pezzo.
Tempo di scuola, tempo di giudizi.
Non comprendo MJ, lo ammetto. Ma è imprescindibile per la conoscenza del pop, addirittura tutti presumiamo di conoscerlo. Io lo confesso, non ho mai sentito per intero un album di MJ. Cioè, non lo avevo fino a che un napoletano invasato mi ha costretto a scaricarmi 3 giorni fa questo dangerous e ad informarmi su questa presunta pietra miliare della musica. Io ritengo che la figura di MJ sia una fondamentale presenza dei libri di musica pop per le infinite connessioni fra musica, globalizzazione, industria discografica. Non è un caso che la vicenda di MJ si concluda con il collasso di quest’ultima, in aperto dissapore e perfino in presenza di enormi debiti da parte di entrambi. Oh basta così. A 8,50 metterei solo il mio disco preferito di musica. A Dangerous darei, ma sì, un più che discreto 7,00. Che mi pentirò tra due ore di averlo dato, per eccesso o per difetto, a seconda di come mi gira.
“perché amo il suo sangue....si prega di non arrabbiarsi!”...è giusto?
Ok, vado a contemplare la neve che continua a scendere
[Modificato da badgirl. 12/02/2012 08:35] |