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Hiv: identificato un composto che può attivare e consentire l’eradicazione i serbatoi latenti del virus

Ultimo Aggiornamento: 26/06/2023 11:08
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Aids, in calo morti e nuove infezioni
in 34 milioni convivono con l'Hiv
Rispetto al 2009, nel mondo diminuiscono i contagi e aumenta del 3,3% il numero di sieropositivi. Un effetto legato alle maggiore accessibilità alle cure: un milione e 350 mila persone in più sono state sottoposte a trattamento antiretrovirale. Ecco i numeri del nuovo report di Unaids, il programma delle Nazioni Unite nella lotta all'Hiv e Aids
di MAURIZIO PAGANELLI
(ansa)
ROMA - Meno morti correlate all'Aids e sempre meno nuove infezioni di Hiv (il 21%, sia per le morti rispetto al 2005, che di infezioni, dal picco del 1997), quasi un malato su due nei paesi più colpiti e più economicamente svantaggiati che riceve un trattamento antiretrovirale salva-vita: a ridosso della Giornata mondiale contro l'Aids, il primo dicembre, il nuovo report di Unaids (il programma delle Nazioni Unite nella lotta all'Hiv e Aids) presentato a Berlino, segnala con enfasi i progressi. L'accesso ai trattamenti tra il 2009 e il 2010 ha avuto un incremento di un milione e 350 mila persone.

I dati complessivi (2010) parlano di 34 milioni di persone che convivono con l'Hiv, 2,7 milioni di nuovi infetti, 1,8 milioni di persone morte di Aids (a causa della forte immunodeficienza acquisita). "Il numero di persone che vivono con l'hiv non è mai stato così alto, soprattutto per un maggiore accesso alle cure - si legge nel rapporto. Rispetto al 2009, il numero di sieropositivi è aumentato del 3,3%, mentre il numero di nuove infezioni è rimasto stabile a 2,7 milioni, sebbene la tendenza sia al ribasso. Il numero di decessi per l'Aids è sceso a 1,8 milione, pari a un ribasso del 5,3%".

I nuovi dati Nell'Africa Sub Sahariana il decremento di infezioni, rispetto al picco del 1997, sarebbe del 26%, con un record che supera il 30% in Sud Africa. Numeri analoghi se non maggiori nel Sud e Sud-Est asiaticao (in India -56%). In controtendenza ci sono però l'Est Europa, l'Asia centrale, Medio Oriente e Nord Africa. La prevenzione ha avuto successo soprattutto tra i giovani, portando a cambiamenti nel comportamento sessuale, con particolare evidenza nelle infezioni di Hiv in cinque paesi africani (Burkina Faso, Congo, Ghana, Nigeria e Togo). Tutto questo avviene, sottolinea il report, nonostante la forte crisi economica e la cronica carenza di finanziamenti. I nuovi strumenti che Unaids ha proposto (e di cui già si vedono i frutti) riguardano sei tipi di intervento: sulla popolazione a forte rischio (prostituzione e relativi clienti; omosessuali; tossicodipendenti); sui bimbi a rischio Hiv; cambiamenti di comportamenti a rischio; distribuzione di condom; trattamento e cura di affetti da Hiv; circoncisione volontaria dei maschi nei paesi con alta prevalenza di trasmissione di Hiv (ci sarebbero risultati assai incoraggianti in Kenya e tutta l'Africa Sud Orientale).

Il Fondo Globale Le promesse (e impegni) di finanziamento anche al Fondo globale contro Aids, malaria e tubercolosi (che proprio in questi giorni si riunisce ad Accra in Ghana) sono spesso disattesi, come ha fatto finora il governo italiano. E il Fondo Globale, per carenza di soldi, per la prima volta dalla sua creazione (nel 2002) ha dovuto sospendere per un anno i finanziamenti a nuovi progetti, mantenendo quelli in corso, sottolinea l'ong Medici senza Frontiere. Il Ghana è stato il primo paese ad avere fondi, nel 2002, dal neonato Global Fund (fondo promosso proprio dall'Italia), ottenendo grandi risultati: 2,4 milioni di persone sottoposte a test hiv-Aids, 49 mila in trattamento antiretrovirale. Il Ghana è stato tra i primi paesi paesi ad adotatre il protocollo dell'Oms per le prevenzione della trasmissione del virus mamma-bambino. Ma le difficoltà esistono, con la crisi in primo piano, e il clima sembra mutato, nonostante gli impegni solitari del segretario di Stato Usa, Hillary Clinton ("una solidarietà globale per cambiare il corso dell'epidemia e inaugurare una generazione libera dall'Aids").

La carenza di fondi L'ong Medici senza Frontiere, nel sottolineare i progressi importanti segnalati dal report Unaids, fa presente quanto ancora ci sia da lavorare per salvare vite e permettere trattamenti a tutti i malati. L'organizzazione umanitaria, premio Nobel per la pace nel 1999, ricorda che "nel 2011, importanti ricerche hanno mostrato che una persona sottoposta tempestivamente a trattamento per l'Hiv ha il 96% di probabilità in meno di trasmettere il virus ad altri. Nel mese di giugno, i governi si sono impegnati a portare a 15 milioni entro il 2015 il numero di persone in cura per l'Hiv, prevedendo che il Fondo Globale finanzi il 50% della spesa necessaria". Ma nulla di buono sembra apparire all'orizzonte: "Mai, in oltre dieci anni di trattamenti per le persone affette da Hiv/AidsS, siamo stati così vicini a invertire il corso di questa epidemia", ha dichiarato Tido von Schoen-Angerer, direttore della Campagna per l'Accesso alle Cure Essenziali di Msf, "I governi di alcuni dei paesi più colpiti vogliono cogliere l'occasione offerta dai progressi scientifici per arrestare l'espansione dell'Aids. Ma i loro propositi rimarranno lettera morta in assenza di finanziamenti".


(21 novembre 2011)


www.repubblica.it/salute/medicina/2011/11/21/news/aids_calano_i_morti_e_le_nuove_infezioni-2...
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In Italia un contagio da Hiv ogni tre ore. E un malato su quattro non sa di esserlo

Cronologia articolo30 novembre 2011
In questo articolo

Argomenti: Prevenzione sanitaria | UNICEF | Unaids - United Nations Programme on HIV/AIDS | Organizzazione Mondiale della Sanità | Onu | Hivpositive | Xinhua | Marco De Ponte | Cina




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In Italia ogni tre ore c'è un nuovo contagio da virus dell'Hiv, sono 3mila i nuovi casi ogni anno, ci si infetta di più al centro-nord rispetto al sud-isole e nel 2010 quasi una persona su tre diagnosticate come Hiv positive è di nazionalità straniera. I dati sono stati presentati al Ministero della Salute in occasione della presentazione delle iniziative per la Giornata mondiale contro l'Aids, che si celebra il 1°dicembre.

Nel 2010 quasi 6 persone ogni 100mila residenti hanno contratto il virus dell'Hiv e secondo le stime il numero delle persone viventi che hanno contratto quest'infezione è aumentato, passando da 135mila casi nel 2000 a 157mila nel 2010, principalmente per effetto della maggiore sopravvivenza legata alle terapie antiretrovirali che comportano un aumento progressivo del numero delle persone viventi Hiv
positive. Dall'inizio dell'epidemia nel 1982 ad oggi in Italia sono stati segnalati circa 64mila casi di Aids, di cui quasi 40mila deceduti.
La maggioranza delle nuove infezioni oggi è attribuibile a contatti sessuali non protetti, che tuttavia non vengono sufficientemente percepiti come a rischio, in particolare dalle persone di età matura, oltre i 50 anni, e che costituiscono l'80,7% di tutte le segnalazioni. Rispetto a venti anni fa, quando a infettarsi erano soprattutto giovani e prevalentemente tossicodipendenti, oggi infatti il virus colpisce una fascia di età più alta (in media 39 anni per gli uomini e 35 per le donne) e si trasmette prevalentemente attraverso rapporti non protetti, sia eterosessuali che omosessuali. E purtroppo, analogamente ad altre nazioni europee, anche da noi si stima che un sieropositivo su quattro non sappia di essere infetto.

Si muore di meno, ma in Cina è boom di contagi
Di Hiv, però, si muore sempre meno: secondo dati Onu, Oms, Unicef e Unaids, negli ultimi cinque anni nel mondo i morti sono calati del 22%, e in generale gli infettati dall'Hiv sono scesi del 17%. I nuovi contagiati dall'HIV sono scesi a 2,7 milioni nel 2010 contro i 3,1 del 2001, mentre le persone curate con farmaci salvavita sono passate da appena 400mila nel 2003 a 6,65 milioni. Ma Paesi come la Cina stanno vivendo un vero boom di casi: nel 2011 sono stati registrati almeno 48mila nuovi casi, e l'aumento dei contagi è stato dell'11,8% fra 1985 e 2005, riporta l'agenzia Xinhua, che in questi giorni ha stretto un accordo con l'Onu per una nuova campagna di sensibilizzazione in Cina.

ActionAid: più della metà dei malati del mondo non riceve cure adeguate
«Nel mondo 15 milioni di persone necessitano l`assunzione di farmaci antiretrovirali ma, di questi, 8 milioni non ricevono alcuna terapia», denuncia il rapporto "Ogni Promessa è Debito" lanciato oggi da ActionAid Italia in vista della Giornata Mondiale per la lotta all'AIDS. «Oggi l'aspettativa di vita di un paziente opportunamente
trattato raggiunge quella di individui sani e il trattamento antiretrovirale, fondamentale per il controllo, la prevenzione e la riduzione della diffusione del virus, può ridurre del 96% la probabilità di trasmissione del virus», spiega Marco De Ponte, Segretario Generale di ActionAid Italia. «Tra il 2001 e il 2009, grazie allo sviluppo della ricerca e all'aumento di dieci volte degli investimenti per la risposta alla pandemia (da 1,6 a 15,9 miliardi di dollari), si sono raggiunti traguardi importanti». A fine 2010, 6,6 milioni di persone nei paesi a basso e medio reddito hanno avuto accesso alle terapie (1,35 milioni di persone in più rispetto al 2009) e ciò ha determinato, dal 2005 ad oggi, la diminuzione delle morti causate dall'Aids sono diminuite del 21%. «Nonostante questi importanti risultati, dal 2009 il governo italiano ha deciso di tagliare del 70% l'Aiuto Pubblico allo Sviluppo (APS) del nostro Paese dedicato alla lotta all'Hiv», afferma De Ponte, che denuncia come questi tagli si siano ripercossi sull'entità del fondamentale Fondo Globale per la lotta all'Hiv/Aids, Tubercolosi e Malaria.

La nuova campagna del ministero della Salute per fare il test
Dal momento che la diagnosi precoce è fondamentale, il ministero della Salute ha lanciato oggi una nuova campagna «non bisogna abbassare la guardia, fai il test»: uno slogan rivolto soprattutto ai giovani adulti (30-40 anni) sessualmente attivi e «inconsapevoli», definiti così perchè, non essendosi mai sottoposti al test, ignorano la loro sieropositività e infettano gli altri attraverso rapporti sessuali, ricevendo poi una diagnosi tardiva della malattia.
Ulteriori approfondimenti si trovano sul sito www.salute.gov.it. E domani, gli esperti del "Telefono Verde Aids e Ist" che rispondono al numero 800 861061 saranno a disposizione degli utenti dalle 8 alle 20.

www.ilsole24ore.com/art/notizie/2011-11-30/italia-contagio-ogni-malato-145746.shtml?uuid=...
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Aids, calano vittime e infezioni
ma in 8 milioni sono esclusi dalle cure
Si celebra la Giornata mondiale della lotta alla malattia. I dati sulla situazione mondiale ed europea: metà dei sieropositivi non ha accesso agli antiretrovirali. In Italia 40mila decessi dal 1982, mentre aumentano l'età dei contagiati e l'incidenza del sesso a rischio nei nuovi casi
I bambini cinesi di Wuyuan in una delle tante manifestazioni promosse nel mondo per la Giornata della lotta all'Aids (ap)
ROMA - La lotta all'Aids ha fatto passi da gigante: negli ultimi cinque anni i morti sono calati del 22%, mentre gli infettati dall'Hiv sono scesi del 17%. E' quanto emerge da uno studio di diverse agenzie Onu, dall'Organizzazione mondiale per la sanità (Oms), Unicef e Onusida, i sui risultati sono stati resi noti alla vigilia della Giornata mondiale per la lotta all'Aids che si celebra domani. Per Gottfried Hirnschall, responsabile della lotta all'Aids dell'Oms, si tratta di "un risultato eccezionale".

LA GIORNATA NEL MONDO 1 - I TESTIMONIAL ANLAIDS 2 - LO SPOT ARCIGAY 3

La situazione nel mondo - I nuovi contagi da Hiv sono scesi a 2,7 milioni nel 2010 contro i 3,1 del 2001, mentre le persone curate con i farmaci salvavita sono passate da appena 400.000 nel 2003 agli attuali 6,65 milioni. Secondo Hirnschall, ciò significa che il traguardo "zero nuove infezioni-zero morti potrebbe non essere troppo lontano e in un futuro prossimo diventare realta".

Si vive di più con il virus - Secondo un altro rapporto dell'Onu pubblicato il 21 novembre, in tutto il mondo una cifra record di 34 milioni di persone vive con l'Hiv 4, grazie soprattutto a un migliore accesso al trattamento che ha permesso di ridurre il numero dei decessi e alimentato la speranza di una possibile fine della pandemia. Oggi circa il 50% dei sieropositivi ha accesso a un trattamento, che ha salvato la vita a 700.000 persone nel 2010. Ma il lato opposto di questa medaglia lucente è che il restante 50% non ha accesso ad alcun trattamento. L'associazione Actionaid Italia, nel lanciare la sua campagna "Ogni promessa è debito", ricorda che "nel mondo 15 milioni di persone necessitano l'assunzione di farmaci antiretrovirali, ma di questi 8 milioni non ricevono alcuna terapia".

I dati sull'Europa - In Europa, i contagi dal virus dell'Aids (ihv) sono aumentati ancora nel 2010, ma le cure hanno fatto calare il numero dei casi in cui la malattia si manifesta. Questo è l'esito del rapporto congiunto del Centro europeo di controllo e di prevenzione delle malattie (Ecdc) e dell'Oms, anch'esso pubblicato alla vigilia della Giornata mondiale dell'Aids. Secondo il rapporto, i nuovi dati "sui contagi sono preoccupanti": "Nel 2010 - si legge nel documento finale - , 27.116 nuove diagnosi di hiv sono state registrate nell'Unione europea e nello spazio economico europeo (Eee), pari a un aumento del 4% rispetto al 2009". Per contro, "la tendenza al calo dei casi di Aids è proseguita nel 2010 con 4.666 casi nella regione Ue/Eee" (Svezia e Liechtenstein esclusi). "Ciò equivale a una diminuzione di circa il 50% dei casi registrati fra il 2004 e il 2010", sottolinea il rapporto che ricorda l'importanza della diagnosi precoce per poter contrastare l'epidemia.

La situazione in Italia - In Italia, secondo le cifre dell'Istituto superiore di sanità, il numero delle persone viventi con infezione da Hiv (compresi i casi con Aids e le persone che ignorano di essere infette) è aumentato passando dai 135.000 casi nel 2000 ai 157.000 del 2010. L'aumento dipende soprattutto dalla maggiore sopravvivenza legata alle terapie antiretrovirali. Le stime sono state effettuate usando il metodo proposto dall'Unaids. I cambiamenti principali dell'ultimo decennio, secondo l'Istituto superiore di sanità, sono l'aumento delle infezioni acquisite attraverso contatti sessuali, il calo netto delle infezioni trasmesse attraverso il consumo di sostanze per via iniettiva, l'aumento dei casi fra i residenti di origine straniera, la diminuzione della quota di infezioni al femminile e l'aumento dei casi in persone con oltre 50 anni di età.

40.000 vittime italiane - Dall'inizio dell'epidemia nel 1982, in Italia sono stati segnalati circa 64.000 casi di Aids con quasi 40.000 decessi. Le cifre sono quelle del sistema di sorveglianza dell'Iss delle nuove diagnosi di infezione da Hiv, attivato in tutte le regioni italiane. I nuovi casi di aids e il numero di decessi per anno continuano a diminuire, principalmente per effetto delle terapie antiretrovirali combinate (introdotte nel nostro paese nel 1996). E' calato nel tempo il numero delle persone che alla diagnosi di aids arrivano da una diagnosi di candidosi polmonare o esofagea, mentre aumenta la quota di pazienti che presentano linfomi. Il ritardo della diagnosi resta il problema principale: "Dal 1996 ad oggi - secondo l'Iss - ben due terzi delle persone diagnosticate con Aids non ha effettuato alcuna terapia antiretrovirale prima di tale diagnosi".

Il ritmo del contagio - In Italia ci sono 3mila nuove infezioni da Hiv in un anno: un nuovo infetto ogni 3 ore. Lo ha dichiarato Giovanni Rezza, infettivologo dell'Istituto superiore di sanità, intervenendo al ministero della Salute alla presentazione della Giornata mondiale dell'Aids: "In Italia - ha spiegato Rezza - c'è una forte variabilità regionale e il centro nord appare più colpito di sud e isole". Cambia anche il profilo delle persone che scoprono di essere Hiv positive: nel 2010 l'uomo ha in media 39 anni, la donna 35.

Le vie del contagio - Negli ultimi 12 anni, la lieve diminuzione dell'incidenza delle nuove diagnosi di infezione da Hiv è legata soprattutto al calo dei casi di infezione trasmessi "tra consumatori di sostanze per via iniettiva"; in pratica, ha inciso il calo notevole del consumo di eroina (a fronte della crescita di altre droghe). Nel 2010, si apprende nel corso dell'incontro stampa, la maggioranza delle nuove infezioni è attribuibile a contatti sessuali non protetti che costituiscono l'80,7% di tutte le segnalazioni (eterosessuali 49,8% e omosessuali maschili, msm 30,9%).

Nuovi casi: uno su 3 di origine straniera - Analizzando l'incidenza dei nuovi casi di Hiv positività (di 4,0 nuovi casi tra italiani residenti e di 20,0 nuovi casi tra stranieri residenti), emerge che quasi una diagnosi su 3 (dati 2010) riguarda persone di nazionalità straniera. Proprio gli stranieri e le persone con età elevata hanno maggiori probabilità di arrivare in ritardo alla diagnosi, "un ritardo - ha spiegato Giovanni Rezza - che coinvolge circa il 36% delle persone con nuova diagnosi Hiv" che presentano una rilevante compromissione del sistema immunitario.

Sieropositivi senza saperlo - In Italia, come in altri paesi europei, un sieropositivo su quattro non sa di esserlo. Il fenomeno dei cosiddetti "late presenter" (persone che giungono tardivamente alla diagnosi) è in crescita e particolarmente preoccupante. L'allarme riguarda soprattutto le donne perché presentano condizioni biologiche che le rendono più esposte al virus: sono due volte più a rischio di contagio in un rapporto non protetto rispetto all'uomo, sia per la maggiore permeabilità della mucosa genitale sia per gli ormoni che in certe fasi del ciclo possono facilitare l'infezione. Da qui l'importanza della diagnosi precoce, anche rendendo più facile l'accesso al test.

Più a rischio le donne - Se n'è parlato oggi al Senato nel convegno "Donne e HIV": "Il 70% delle donne - sottolinea Antonella d'Arminio Monforte, direttore della Clinica di malattie infettive del San Paolo di Milano - viene infettato da un partner stabile, mentre il 76% dei maschi contrae il virus durante un rapporto occasionale. E' quindi l'uomo che normalmente 'porta' la malattia all'interno della coppia".

Numero verde - In occasione della Giornata mondiale contro l'Aids, gli esperti del Telefono verde Aids e Ist - che rispondono al numero 800861061 - saranno a disposizione degli utenti dalle 8 alle 20 per rispondere a quesiti, chiarire dubbi e fornire indicazioni in merito ai centri diagnostico-clinici e alle organizzazioni non governative che si occupano di hiv, aids e ist (infezioni sessualmente trasmesse) presenti sul territorio nazionale. Fino a oggi i ricercatori hanno risposto a 687.970 telefonate. Nel periodo 1° gennaio - 23 novembre 2011 sono pervenute 16.147 telefonate e i ricercatori hanno risposto, all'interno di un colloquio specialistico di counselling telefonico, a 54.917 quesiti.
(30 novembre 2011)

www.repubblica.it/salute/prevenzione/2011/11/30/news/giornata_aids_tutti_i_numeri-2...
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Il profilattico?
Vietato nominarlo su Radio Rai Guai a citarlo nella giornata mondiale contro l'Aids. L'assistente del direttore di Radio Rai1 e dei Radiogiornali, Antonio Preziosi, comunica il divieto ai giornalisti. Il ministero della Salute: "Anche noi non lo nominiamo"Vietato citare il preservativo. Divieto piuttosto strampalato per la giornata mondiale contro l’Aids, celebrata ieri con una maratona di programmi su Radio Rai. Anche la maratona è originale: forza con la lotta per la prevenzione, guai a nominare il preservativo. Prima che sia troppo tardi, ieri mattina ore 8: 54, la direzione di Radio Rai 1 comunica ai giornalisti: “Carissimi, segnalo che nelle ultime ore il ministero ha ribadito che in nessun intervento – si legge nella mail interna – deve essere nominato esplicitamente il profilattico; bisogna limitarsi al concetto generico di prevenzione nei comportamenti sessuali e alla necessità di sottoporsi al test Hiv in caso di potenziale rischio. Se puoi sottolinea questo concetto, ma comunque con gli esperti dovremmo andare tranquilli. Resto comunque a disposizione per qualsiasi chiarimento. Grazie e buon lavoro”. Firmato Laura De Pasquale, assistente del direttore di Radio Rai 1 e dei Radiogiornali, Antonio Preziosi. Dipendente di veloce carriera, la De Pasquale è la compagna di Roberto Gasparotti, da vent’anni uomo immagine di Silvio Berlusconi. Qualche giornalista, obiettore di coscienza, rompe l’embargo e pronuncia sommessamente la parolina incriminata: profilattico.

Chi avrà ispirato la coppia Preziosi-De Pasquale? Non certo il ministero della Salute che, per smentire, commette una gaffe mostruosa: “Nessuna interferenza. La giornata radiofonica è gestita da viale Mazzini. Anche il ministero, però, non usa il termine preservativo per le pubblicità e il manifesto studiati per la ricorrenza”. E difatti con le perifrasi sono maestosi. La campagna di comunicazione del ministero è soltanto un’immagine surreale e di complicata interpretazione: un pugno chiuso contro una mano aperta su sfondo rosso, non certo un preservativo gigante come il cartonato esposto in piazza Montecitorio.

Il motto punta la cura più che la prevenzione: “Non abbassare la guardia. Fai il test”. Il tradizionale e planetario condom è sostituito dal “concetto”, proprio come si augurava la De Pasquale. Obiettivi d’informazione del ministero, si legge sul sito ufficiale: “Aumentare la percezione del rischio. Contrastare l’abbassamento dell’attenzione della popolazione nei confronti del problema Aids. Promuovere un’assunzione di responsabilità nei comportamenti sessuali”. Perfettamente in linea con una campagna di comunicazione che, per rinnegare se stessa, deve farsi capire poco e male. A Radio Rai protestano uno per volta, senza dare l’impressione di sconfessare il potentissimo Preziosi, già candidato per la successione di Augusto Minzolini al Tg 1. Nessuno dei destinatari del divieto, firmato Preziosi-De Pasquale, segnala l’episodio al comitato di redazione.

Quando il sindacato interno raccoglie le prime voci di corridoio e comincia a chiederne spiegazioni, interviene il direttore Preziosi che, giocando d’anticipo, scarica la responsabilità sull’assistente e di conseguenza sul direttore generale Rai, Lorenza Lei: “Non ne sapevo nulla. L’indicazione proveniva da viale Mazzini. La mia segreteria ha sbagliato a girare la lettera, e quindi mi sono incazzato con entrambi”. Non avesse spedito la lettera, avrebbe fatto bene. Anche per Preziosi vale la regola del “concetto”: mai dire le cose per intero, meglio fare il vago.

di Ferruccio Sansa e Carlo Tecce

Da Il Fatto Quotidiano del 2 dicembre 2011

www.ilfattoquotidiano.it/2011/12/02/il-preservativo-vietato-da-radio-rai...
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Lo studio per prevenire l'Hiv
è la ricerca scientifica 2011
In pole position nella top ten degli studi scientifici dell'anno c'è lo studio sull'Aids. Secondo la rivista Science è questo il più grande passo in avanti compiuto dalla ricerca. Si posiziona decima la scoperta in tema di longevità
Linfociti T infettati dall'Hiv
TEMPO di bilanci, tempo di classifiche. Anche la ricerca scientifica traccia la sintesi di un anno di attività in laboratorio ed elegge la migliore scoperta del 2011. Il titolo, secondo quanto riporta la rivista scientifica 'Science', va allo studio sul trattamento antiretrovirale per la prevenzione dell'Hiv. Ma nella top ten dei passi avanti della scienza non appare solo il settore medico -sanitario.

Lo studio sull'Aids. E' stato dimostrato che il trattamento con farmaci antiretrovirali riduce il 96% il rischio di contagio tra un paziente infettato e il partner. Science ha messo sul podio questa ricerca, frutto del lavoro di Myron Cohen del'università della Carolina del Nord a Chapel Hill e di una equipe internazionale, perché i risultati chiudono il lungo dibattito sulla doppia utilità del trattamento antiretrovirale sia per curare i pazienti sia per ridurre il tasso di trasmissione della malattia.

La ricerca è stata avviata nel 2007 reclutando 1.763 coppie eterosessuali di nove Paesi, tutte con uno dei partner sieropositivo. Le osservazioni avevano un riscontro talmente positivo che l'organismo di controllo della ricerca ha deciso, quattro anni prima della fine del programma, che tutti i partecipanti dovevano ricevere il trattamento antoretrovirale. I dati raccolti sono stati poi pubblicati l'11 agosto sul New England Journal of Medicine.

Le altre nove scoperte. Seconda in classifica compare la missione della sonda giapponese Hayabusa, tornata sulla terra con la polvere di un grande asteroide che rappresenta il primo campione diretto di un corpo planetario dopo 35 anni; terzo lo studio su come il sistema immunitario dell'uomo si sia adattato nel tempo. Quarta la scoperta di una proteina fotosintetica, usata dalle piante per dividere gli atomi di idrogeno da quelli di ossigeno: ora, infatti, gli scienziati conoscono un meccanismo essenziale per la vita sulla terra ed è quindi aperta la strada verso lo sviluppo di nuove forme di energia.

Al quinto posto la scoperta di idrogeno primordiale, individuato ai confini dell'universo grazie al telescopio Keck nelle Hawaii. Gli astronomi hanno osservato due nuvole di idrogeno che hanno conservato la loro composizione originale a due miliardi di anni dal Big Bang.

E ancora: l'analisi di tutti i microbi che popolano l'intestino ha dimostrato che ogni individuo ha un batterio dominante. Un'indicazione fondamentale per capire meglio le relazioni tra alimentazione e microbi sia nelle persone sane che in caso di malattia.

Poi un vaccino antimalarico che promette sviluppi interessanti grazie ai primi risultati della sperimentazione, in corso su 15 mila bambini in sette paesi africani.

La classifica continua con il telescopio spaziale Kepler della Nasa che ha scoperto i primi sistemi planetari al di fuori del sistema solare e alcuni pianeti simili alla Terra. Inoltre, i ricercatori hanno scoperto un pianeta gassoso gigante con un'orbita bizzarra. In pratica, un pianeta che gira attorno a un sistema di stelle doppio e 10 pianeti che sembrano galleggiare liberamente nello spazio.

La creazione di zeoliti è al nono posto: i chimici hanno concepito una gamma di questi minerali porosi - usati come catalizzatori, per purificare l'acqua, l'aria, produrre essenze - meno cari, più fini e adatti per trattare molecole organiche più grandi.

Ultima ma non senza un forte appeal è una scoperta in tema di longevità: eliminando nei topi le cellule senescenti che smettono di dividersi, possono essere ritardati i sintomi della vecchiaia, come cataratta e debolezza muscolare. Una speranza per allungare, in salute, la vita.


(22 dicembre 2011)

www.repubblica.it/scienze/2011/12/22/news/antiretrovirali_prevenzione_hiv-2...
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Un comitato consultivo della Fda ha dato il suo via libera per l'utilizzo del farmaco antiretrovirale Truvada, finora usato solo per il trattamento di persone affette dall'Hiv, anche per le persone più a rischio. Ma ci sono anche dei dubbi. La decisione finale entro il 15 giugno
Lo leggo dopo
(ap)

SILVER SPRING - È un primo, potenzialmente storico sì. Un comitato consultivo della Food and Drug Administration, l'ente statunitense che decide l'immissione sul mercato di nuovi farmaci, ha dato il suo appoggio alla prescrizione del farmaco Truvada non solo per le persone già affette da Hiv ma anche per le persone più a rischio esposizione, come per esempio coppie in cui solo uno dei due partner è portatore.

L'Fda, che dovrebbe decidere entro il 15 giugno, in ogni caso può ignorare il parere del comitato e decidere in maniera contraria. Si tratta comunque di un primo passo verso una decisione che, se arriverà, potrebbe rivoluzionare la vita di milioni di persone e segnare una svolta nell'ormai trentennale lotta all'Aids.

Truvada è un farmaco antiretrovirale utilizzato ormai da otto anni per la cura delle persone già infette dall'Hiv. È una combinazione di due farmaci usati precedentemente (Emtriva e Viread) e fa parte di un cocktail di farmaci normalmente prescritto ai malati.

La decisione non è stata semplice, tutt'altro: il sì è arrivato al termine di una discussione lunga oltre 12 ore in cui si sono affrontate molte problematiche, come la possibilità che l'utilizzo del Truvada possa far diminuire l'uso del profilattico, che rimane il principale mezzo di protezione contro l'infezione. Inoltre gli studi dimostrano che le donne sono meno reattive al farmaco, con tassi di infezione maggiori rispetto agli uomini.

C'era anche chi sollevava dubbi sui rischi per chi poi dimentica di prendere la dose giornaliera di farmaco. "Ma non credo che questo sia nostro dovere stabilire se poi le persone prenderanno il farmaco" ha detto uno degli esperti, il dottor Tom Giordano, del Baylor College of Medicine. "Nostro compito è stabilire se il farmaco funziona e se i benefici sono maggiori dei rischi".

Le ricerche sono dalla parte del Truvada: nel 2010, uno studio lungo tre anni ha dimostrato che l'utilizzo del Truvada, insieme all'uso del preservativo, poteva ridurre l'incidenza del virus del 42% tra gay e bisessuali. L'anno scorso uno studio analogo sulle coppie in cui solo uno dei due partner era affetto da Hiv, ha dimostrato un calo della possibilità di infezione del 75%.

Nonostante alcuni medici già lo prescrivano per prevenire l'infezione, la possibilità che Truvada venga messo in commercio ufficialmente con questa funzione ha scatenato numerose polemiche, soprattutto legate alla possibilità che un farmaco di questo tipo possa generare false sicurezze e far assumere comportamenti maggiormente a rischio, come il non utilizzo del profilattico, ottenendo l'effetto contrario e facendo aumentare i casi di contagio.

E c'è anche chi ne fa una questione di costi e di fondi limitati: un anno di trattamento con il Truvada costa circa 11.000 dollari. Secondo alcuni esperti, approvare l'uso di questo farmaco sposterebbe ingenti somme verso il Truvada, togliendo quindi fondi per altre cure più economiche e efficaci.






(11 maggio 2012)

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Nel 7% dei casi può non riconoscere la sieropositività, mentre è difficilissimo che etichetti come sieropositivo chi non lo è


Il test per l'Hiv
MILANO - Il Blood Products Advisory Committee, un gruppo tecnico della Food and Drug Administration (l’agenzia Usa per il controllo di farmaci e dispositivi medici) ha raccomandato all’unanimità l’approvazione di un test capace di rilevare la sieropositività al virus Hiv attraverso la saliva. Fin qui niente di nuovo: il test esiste già da tempo, la novità, però, è che potrebbe essere venduto senza bisogno di ricetta, e quindi consentirà di sottoporsi all’esame in totale autonomia ottenendo il risultato in 20-40 minuti. La Fda, in realtà, non ha ancora formalizzato la decisione di immettere sul mercato lo strumento diagnostico, ma l’unanimità dei 17 tecnici non sembra lasciare molti dubbi. La decisione si è basata su studi che hanno preso in considerazione più di seimila persone.
COME FUNZIONA - L’esecuzione del test è molto semplice: il 99% dei partecipanti allo studio lo ha effettuato con successo. Il dispositivo nel 93% dei casi riesce a individuare una persona effettivamente positiva all’infezione (sensibilità del test), ma nel 7% dei casi etichetta come sane persone che in realtà hanno l'infezione. Ottima, invece, la specificità dell’esame, cioè la capacità di evitare di etichettare come malate persone che invece sono sane: solo in un caso su 5.385 c’è stato un esito positivo poi smentito da ulteriori analisi. Il dibattito ora verte sugli effetti di quel 7% di falsi negativi. Se l’esame si diffondesse su larga scala potrebbero essere migliaia le persone che, pur ricevendo un esito negativo, sono in realtà sieropositive e quindi potenzialmente contagiose. Tuttavia, nel valutare i pro e i contro dell’introduzione del nuovo test «non si può non tenere conto di un aspetto: l’Hiv/Aids è un fenomeno caratterizzato da un grande sommerso», spiega Stefano Vella, responsabile del dipartimento del Farmaco dell’Istituto superiore di sanità. Si stima che in Italia, al pari degli altri Paesi occidentali, un sieropositivo su 4 non sappia di essere infetto.

IL SOMMERSO - «Oggi, la necessità di andare in ospedale per sottoporsi all’esame per molti rappresenta un freno. Quindi è positiva la disponibilità di un test che contribuisca a far emergere il sommerso permettendo alle persone sieropositive di curarsi e proteggere gli altri», continua Vella. Di certo, c’è un aspetto da non sottovalutare: «Il test fai da te non consente di effettuare il counseling, fondamentale per educare alla prevenzione dell’infezione e per non lasciare solo il paziente di fronte a una diagnosi di positività - aggiunge l’esperto -. Sull’eventualità che il test possa essere rimborsato dal Servizio Sanitario Nazionale bisognerà comunque fare attente valutazioni di costo/beneficio, perché chi ha paura a fare il test oppure non ha il minimo sospetto di doverlo fare non potrà essere probabilmente "stanato" da un più facile accesso all’esame». Il test fai da te sembra in ogni caso un segnale positivo sul piano culturale. «Finalmente si va verso una "normalizzazione" di questa infezione, che troppo a lungo è stata avvolta da un alone di peccato - conclude Vella -. Far capire a tutti che è possibile prevenirla, che ci si può proteggere e, se positivi, ci si può curare è il primo passo».

Antonino Michienzi
28 maggio 2012 | 8:36

www.corriere.it/salute/12_maggio_28/test-virus-hiv_610aa0ac-a58c-11e1-8ebb-5d15128b15...
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ROMA - Il latte materno potrebbe rivelarsi un'arma efficace per proteggere i bambini dal virus dell'Aids. Anche se all'allattamento al seno viene attribuito un ruolo chiave nella trasmissione del virus Hiv, la maggior parte dei bebè alimentati con la poppata naturale non vengono infettati. Il latte materno rappresenta quindi per gli scienziati un enigma: uccide l'Hiv o lo trasmette? Ora in uno studio pubblicato su Plos Pathogens, condotto su topi umanizzati - modificati cioè in laboratorio in modo da avere un sistema immunitario umano - un gruppo di ricercatori americani ha dimostrato che in sè il latte di mamma è un killer del germe dell'Aids, che colpisce i bambini per oltre il 15 per cento delle nuove infezioni.

Lo studio è firmato da Victor Garcia e colleghi dell'University of North Carolina School of Medicine, che per prima cosa hanno creato un particolare modello animale che avesse le difese immunitarie dell'uomo. In topi privi di difese immunitarie hanno introdotto tessuti umani di midollo osseo, fegato e timo, in modo tale da 'equipaggiare' i roditori con difese immunitarie che mimassero in modo affidabile le nostre.

Dopo avere verificato che nella cavità orale e nella parte alta dell'apparato digerente dei topi ci fossero effettivamente le stesse cellule responsabili della trasmissione dell'Hiv nell'uomo per questa via, e che i topi venissero effettivamente contagiati dal virus come gli umani attraverso questo stesso canale, gli scienziati hanno provato a trasmettere agli animali il virus Hiv oralmente attraverso il latte di una donna Hiv-negativa.

Ed hanno visto che l'infezione non passava: il latte bloccava il virus sia sotto forma di particelle virali sia in forma di cellule infettate. Il che farebbe crollare anche l'ipotesi che l'Hiv riesca a trasmettersi tramite il latte proprio attraverso cellule già infettate che funzionano come un cavallo di Troia. I ricercatori hanno infine confermato l'efficacia della profilassi antivirale pre-esposizione (terapia Prep, con il farmaco somministrato ai topi nei 3 giorni prima e nei 4 successivi al tentativo di infettarli), osservando che evitava il contagio nel 100% dei casi.

"Nessun bambino dovrebbe essere infettato dall'Hiv perché si nutre al seno della mamma", ha osservato Garcia ricordando la funzione cruciale del latte materno anche nello sviluppo delle difese contro altre infezioni. Ecco perché "capire come l'Hiv viene trasmesso ai neonati nonostante l'effetto protettivo del latte - conclude l'autore - ci aiuterà a sbarrare le porte al virus".

(14 giugno 2012)

www.repubblica.it/salute/ricerca/2012/06/14/news/ricerca_hiv_latte_materno_blocca_trasmissione_mamma_bimbo-3...
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Un team dell'Istituto superiore di sanità ha messo a punto una nuova terapia che 'educa' il sistema immunitario dell'organismo a controllare il virus in assenza di trattamento farmacologico. Si tratta di una prima sperimentazione, ma i risultati sono promettenti
di VALERIA PINI
Lo leggo dopo

APPROFONDIMENTI
ARTICOLO
Aids, l'Italia in prima linea alla ricerca
da farmaci al vaccino terapeutico
UN COCKTAIL di medicinali, che 'educa' il sistema immunitario dell'organismo a controllare il virus del'Hiv in assenza di trattamento farmacologico. Per i pazienti affetti da Aids potrebbe rivelarsi una svolta importante. Per molti di loro sarebbe la fine della schiavitù dei medicinali da prendere a vita. Un gruppo di ricercatori dell'Istituto superiore di sanità 1(Iss) ha infatti messo a punto una nuova terapia, basata su una selezione di medicinali, che 'insegna' all'organismo a controllare il virus. I test effettuati sui macachi hanno dato ottimi risultati, e tutto è pronto per l'avvio dei test sull'uomo, ma resta ora da risolvere il 'nodo' legato ai finanziamenti.

La sperimentazione. Lo studio italiano, pubblicato oggi su PLOS Pathogenes 2, apre la strada alla possibilità di interruzione definitiva del trattamento farmacologico per tutta la vita. Medicinali che oggi i pazienti sono invece costretti a prendere per sempre. Coordinati da Andrea Savarino, i ricercatori dell'Iss hanno messo a punto uno specifico cocktail di farmaci che, somministrato per un limitato periodo di tempo, è stato capace di indurre nell'organismo degli animali l'autocontrollo dell'infezione a seguito della sospensione della terapia. "Ai macachi abbiamo somministrato il cocktail per circa sei mesi e poi sono state sospese le terapie - spiega Savarino che dal 2008 fa ricerca sull'Hiv - . Da 9 mesi i macachi, ai quali non vengono più somministrati farmaci, sono sotto osservazione e stanno rispondendo bene. Un dato positivo, poiché mesi di vita nei macachi corrispondono a molti anni nell'uomo".

Per ora, va ricordato, si tratta di una sperimentazione e andranno fatti test clinici per verificare i risultati della ricerca. "Il modello di studio sui primati è il migliore esistente, ma ci potrebbe comunque essere qualche differenza rispetto all'uomo - aggiunge Savarino - . Ci sono buone potenzialità che tali risultati si possano adattare all'uomo, ma per poter dare una valutazione definitiva sarà fondamentale l'avvio dei test clinici".

Dove si nasconde il virus. L'obiettivo, spiega Savarino, è stato quello di eliminare il virus direttamente nei suoi reservoir, nei "santuari" nei quali è custodito. "Ci sono due tipi di reservoir: il primo è un punto dell'organismo che i farmaci non riescono a raggiungere bene e dove il virus continua a moltiplicarsi. Il secondo tipo è invece composto da cellule dove si trova il genoma del virus in uno stato che si può definire 'quasi addormentato' - dice Savarino - . Ma si può risvegliare e per questo bisogna continuare a prendere farmaci".

"Per agire nel primo reservoir siamo riusciti a intensificare la terapia con 5 farmaci e così ci siamo accorti che si inibiva la replicazione del virus. Nel secondo caso abbiamo usato il maraviroc, che limita la proliferazione dei compartimenti cellulari in cui risiede il virus "nascosto", e il composto a base di sali di oro auranofin - aggiunge Savarino - . E' inoltre importante rilevare, precisa l'esperto, "che tutti i farmaci utilizzati sono già approvati per uso clinico sugli esseri umani, il che facilita il passaggio della sperimentazione dal modello animale ai trial clinici".

Il virus si indebolisce. "Questa è la prima volta - sottolinea Savarino che ha iniziato questa sperimentazione nel 2010 - che una strategia farmacologica produce effetti stabili sul controllo della malattia. A seguito all'interruzione della terapia - spiega - il virus prova ad "eludere" il controllo immunitario, ma è ricacciato costantemente a livelli bassi. Ne consegue che la carica virale, a seguito della interruzione della terapia, si mantiene a livelli nettamente più bassi rispetto a quelli precedenti il trattamento".

I finanziamenti. Lo studio apre la strada ad una cura definitiva dell'Aids. Il che significherebbe anche un notevole risparmio, in termini di costi per farmaci, per il Servizio sanitario. Resta, a questo punto, un solo, grande problema: finora lo studio è stato interamente finanziato dall'Iss. Si potrebbe partire con i test sull'uomo "già nel 2013, ma sono necessari altri enti finanziatori per far fronte ai costi", afferma Savarino. Per tutto il 2012 verranno portati avanti altre sperimentazioni sui macachi. La questione, al momento, è ancora aperta. I prossimi mesi saranno decisivi.
(21 giugno 2012)

www.repubblica.it/salute/medicina/2012/06/21/news/studiosi_italiani_scoprono_via_per_controllare_l_hiv_senza_farmaci-37667348/?ref=...
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Sono circa 34 milioni le persone che convivono con l'Hiv. L'area più colpita è l'Africa Sub sahariana, dove un adulto su 20 è sieropositivo. A seguire ci sono la zona caraibica, l'Est Europa e l'Asia centrale. Il Rapporto 2012 (relativo al 2011) di Unaids, il programma delle Nazioni Unite che combatte Hiv e Aids, fa il punto della situazione a pochi giorni dalla giornata mondiale sulla malattia (primo dicembre) e segnala a che punto siamo rispetto agli obiettivi del 2015: dimezzamento delle trasmissioni e delle morti, protezione di madri e bimbi, lotta allo stigma, bisogno di maggiori fondi per i progetti.

LENTO DECLINO. Il dato generale positivo è che l'infezione è in lento declino: 2,5 milioni di persone infettate nel 2011, il 20% in meno rispetto al 2001. Ma vi sono zone come il Medio Oriente e il Nord Africa dove si è passati in dieci anni da 27 mila a 37 mila casi. Anche l'Europa dell'Est e l'Asia centrale destano preoccupazione. L'incidenza dell'infezione è nel decennio in aumento (più del 26%) in nove Paesi (Bangladesh, Georgia, Guinea Bissau, Indonesia, Kazakistan, Kyrgyzstan, Filippine, Moldova, Sri Lanka). E' invece in forte regresso (oltre il 50%) in 25 nazioni, dall'India alla Cambogia, dalla Bahamas ad Haiti, dal Rwanda allo Zambia e allo Zimbabwe. Metà di questa riduzione di nuove infezioni, negli ultimi due anni, riguarda i nuovi nati; nel 2011 le nuove infezioni tra i bambini sono state il 43% in meno rispetto al 2003 e il 24% in meno del 2009. Rimangono impressionanti i dati delle morti correlate con l'Aids: 1,7 milioni, 24% in meno del 2005, ma sempre troppe. In controtendenza l'Europa dell'Est, l'Asia centrale, il Medio Oriente e il Nord Africa, dove i decessi aumentano.

LE CURE. Nel 2011 circa otto milioni di persone hanno avuto accesso alle cure, ma ancora sette milioni che potevano riceverle se le sono viste negare. L'obiettivo per il 2015 è di fornire trattamenti a 15 milioni di persone. La tubercolosi che si intreccia all'Hiv resta uno dei principali pericoli, la causa principale delle morte per queste persone. Dal 2004 si sono ridotte di un quarto, ma resta un forte allarme. Uomini, donne, trasgender che si prostituiscono e tossicodipedenti rimangono le principali categorie a rischio. Nelle grandi città tra gli omosessuali l'infezione Hiv è mediamente 13 volte più diffusa che nella popolazione generale.

I FONDI. Per raggiungere il target del 2015, secondo Unaids, servono tra i 22 e i 24 miliardi di dollari ogni anno, nel 2011 si sono ottenuti e spesi 16,8 miliardi. Le altre battaglie, oltre a quella per gli investimenti pubblici e privati, riguardano lo stigma e la discriminazione e persino la "criminalizzazione" della popolazione con Hiv, a volte addirittura nelle leggi. Anche le restrizioni dei Paesi (in varie forme riguarda la possibilità di andare in ben 75 nazioni) per l'entrata, la permanenza e la residenza resta una forte preoccupazione e ha a che vedere con lo stigma. La questione dei diritti si intreccia inoltre con quella della integrazione, ultimo capitolo del Rapporto Unaids.

Aung San Suu Kyi, la donna simbolo della libertà in Birmania ha accettato oggi l'offerta di Unaids di diventare "ambasciatore" mondiale contro la discriminazione. Il premio Nobel per la pace, in questo ruolo di Global Advocate for Zero Discrimination, si impegnerà per eliminare stigma e discriminazione, in particolare per l'accesso alle cure dei malati di Hiv.

(20 novembre 2012)


www.repubblica.it/salute/medicina/2012/11/20/news/dati_hiv-4...
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Aids, 34 milioni di contagiati, il 10% sono under 15. Il vaccino ancora una chimera
Una malattia che è ormai divenuta cronica, ma non per questo meno insidiosa. Oggi è la Giornata mondiale contro l’Aids. Sul vaccino pareri contrastanti. Il professor Fernando Aiuti: "Impossibile stabilire una data" ma Guido Silvestri, direttore della divisione di Microbiologia e immunologia ad Atlanta è più ottimista: "Credo che ci vorranno 15-20 anni"

di Davide Patitucci | 1 dicembre 2012Commenti (262)

Più informazioni su: Aids, Giornata Mondiale contro l’Aids, HIV, Vaccini.

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Più di 34 milioni di contagiati nel mondo, di cui la metà donne e 3,3 milioni bambini di età inferiore ai 15 anni. Meno di un quarto, circa 8 milioni, ha accesso ai farmaci salvavita. Superiore a 2 milioni il numero di decessi nel 2010 e di poco inferiore ai 17 miliardi di dollari la cifra investita solo lo scorso anno nelle nazioni più povere, le più colpite. Sono alcuni numeri della guerra dei trent’anni contro l’Aids, messi nero su bianco dal Rapporto 2012 sull’epidemia pubblicato dall’Unaids, il Programma dell’Onu per coordinare l’azione globale contro l’Aids.

Una malattia che è ormai divenuta cronica, ma non per questo meno insidiosa. Secondo le stime della XIX Conferenza internazionale sulla lotta all’Aids, che si è svolta a Washington lo scorso luglio, ogni anno 2,5 milioni di nuovi contagiati, soprattutto nei paesi in via di sviluppo, si aggiungono alla folla di malati che attende da tempo un vaccino. A lungo ricercato, tra periodici annunci – l’ultimo, di alcune settimane fa, sulle pagine di “Nature”, relativo a un preparato messo a punto dal Ministero della salute thailandese e dall’esercito Usa, che ha mostrato un’efficacia del 31 per cento in test su 16 mila individui – e successive smentite. In occasione della Giornata mondiale contro l’Aids che si celebra ogni anno l’1 dicembre, abbiamo chiesto di fare il punto sulla ricerca e le speranze di una cura a due esperti che studiano da anni l’infezione da Hiv: Fernando Aiuti, professore emerito di Allergologia e Immunologia clinica all’Università La Sapienza di Roma e Guido Silvestri, direttore della divisione di Microbiologia e immunologia allo Yerkes National Primate Research Center, della Emory University di Atlanta.

Qual è lo stato della ricerca sull’Aids? Come sono cambiate le strategie di contrasto in questi anni?

Aiuti – Negli ultimi 15 anni sono stati scoperti nuovi farmaci antivirali che hanno assicurato una qualità di vita migliore rispetto al passato e sono riusciti a garantire la remissione clinica della malattia per molti anni. Oggi la ricerca continua nello sviluppo di nuovi farmaci meno tossici e più efficaci nel contrastare il virus, bloccandone i complessi meccanismi di replicazione o intervenendo nel chiuderne le porte di entrata preferite nelle cellule del sistema immunitario. Un altro filone di ricerca è volto all’eradicazione dell’infezione in persone malate usando vari farmaci antivirali associati a sostanze immunostimolanti, inclusi alcuni prototipi di vaccini cosiddetti terapeutici. In passato le strategie, ad esempio nelle donne, erano dirette a evitare il concepimento o l’allattamento, oggi si è riusciti con i farmaci a ridurre quasi a zero la trasmissione materno-fetale e materno-neonatale dell’infezione. L’informazione, la prevenzione, l’incentivazione dell’uso del profilattico e il counselling con invito al test Hiv hanno contribuito, insieme ai farmaci, a ridurre l’incidenza delle nuove infezioni nel mondo.

Silvestri – È la storia del bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto. Ma siccome io sono un ottimista nato, direi un po’ più pieno che vuoto. Sicuramente sono stati fatti grandi progressi nella terapia e nella comprensione dei meccanismi molecolari e cellulari con cui il virus causa la malattia. Purtroppo, però, non abbiamo ancora né un vaccino veramente efficace, né un metodo per guarire l’infezione.

A cosa è dovuta la riduzione della mortalità dell’epidemia?

Aiuti - Alla diagnosi precoce e ai nuovi farmaci antivirali che devono essere assunti in modo continuo. Le strategie della terapia intermittente sono fallite. Oggi il pericolo è rappresentato da alcune complicanze causate dall’uso continuo dei farmaci antivirali (infarti cardiaci, aterosclerosi, patologie ai reni e fegato, lipodistrofia) e dall’insorgenza di alcuni tumori a volte correlati con il grado di immunodeficienza.

Silvestri – Principalmente alla disponibilità di molti farmaci antivirali che bloccano la replicazione dell’Hiv in modo pressoché completo. Di conseguenza l’infezione, che fino al 1995-1996 era quasi sempre mortale, è diventata una malattia cronica con cui si può convivere per molti anni.

Quando potrà essere disponibile un vaccino contro l’Hiv?

Aiuti – Non è possibile al momento stabilire una data. Potrei rispondere che un vaccino contro l’Hiv esiste già, è l’unico che ha superato la fase III ed ha mostrato una protezione in volontari sani del 31 per cento. Si tratta del vaccino testato in circa 16000 persone in Thailandia, RV144 – ALVAC (associa il vettore ALVAC alla proteina del virus Hiv-l gp120). La maggior parte dei ricercatori ritiene, tuttavia, che questo livello di protezione sia insufficiente per utilizzare questo prodotto su larga scala. Anzi, secondo me, potrebbe essere persino dannoso perché le persone vaccinate potrebbero sentirsi falsamente rassicurate dall’immunizzazione. Un vaccino deve fornire una protezione superiore all’80 per cento per poter essere utilizzato su larga scala. La ricerca va avanti e i vaccini più interessanti ora pervenuti alle fasi II e III (finalizzate a valutarne l’efficacia terapeutica nell’uomo) sembrano quelli a base di plasmidi (piccole molecole di dna circolare) contenenti Dna virale o la combinazione di almeno tre subunità del virus Hiv (Gag, Env, Nef). Il problema è che in questa infezione non si conoscono i correlati della protezione, cioè quali siano i fattori immunologici in grado d’impedire l’infezione.

Silvestri – Io non sono particolarmente fiducioso, credo che ci vorranno almeno altri 15-20 anni. Ma certamente spero di sbagliarmi.

Cosa pensa dei periodici annunci di una cura? Crede possano far abbassare la guardia in termini di prevenzione?

Aiuti – Negli ultimi anni non mi sembra che ci siano stati annunci di possibilità di guarigione dalla malattia, ma solo di sua cronicizzazione. Credo che i giovani a causa della mancanza di campagne d’informazione non sappiano più nulla di questa patologia e non si proteggano a sufficienza. L’epidemia è stabile ma ogni anno in Italia ci sono 4000 nuove infezioni e solo a Roma circa 700. Una delle poche campagne nelle scuole è quella in corso proprio a Roma, ad opera del Comune e di 12 associazioni. Dai questionari proposti risulta una notevole disinformazione, addirittura solo il 20 per cento dei giovani usa il preservativo regolarmente nei rapporti sessuali, mentre, secondo un sondaggio dell’Anlaids il 22 per cento ritiene addirittura che sia già stato scoperto il vaccino contro l’Aids.

Silvestri – In generale non è mai una buona idea fare annunci “clamorosi” di cure o vaccini per l’Aids, perché questi provocano entusiasmi ingiustificati, seguiti inevitabilmente da grosse delusioni. Purtroppo a volte anche noi scienziati cadiamo nella tentazione dei “15 minuti di celebrità” ed è veramente un peccato che sia così.

Quali sono le aspettative del “vaccino Tat” dell’Istituto superiore di sanità (Iss)?

Aiuti – Il vaccino Tat ha avuto una storia travagliata e lunga, la prima sperimentazione nelle scimmie risale al 1999, la fase I nell’uomo (per testare la tolleranza dell’organismo) è terminata tra molte polemiche nel 2005 a causa di una prematura interruzione della sperimentazione e di variazioni al protocollo criticate dall’Agenzia italiana del farmaco (Aifa). Se facciamo riferimento al vaccino preventivo Tat, cioè quello da utilizzare in persone sane, non mi risulta che abbia mai superato la fase I. Per quanto riguarda, invece, il vaccino Tat a uso terapeutico, in persone cioè già infette, la fase II in Italia è iniziata in circa 130 persone nell’agosto del 2008 e dopo quattro anni è stata pubblicata solo un’analisi ad interim a metà dello studio con dati per me incerti e non dimostrativi dell’efficacia terapeutica. In questa sperimentazione, eseguita in malati in terapia antivirale, risulta difficile separare gli effetti positivi del vaccino Tat da quelli indotti dai farmaci, anche perché i controlli non erano in contemporanea e in cieco (quando medico e paziente – doppio cieco – o solo quest’ultimo non conoscono la natura del farmaco testato), ma selezionati dai centri su base storica.

Silvestri – I dati iniziali sulle scimmie che sembravano promettenti non sono stati confermati e quelli sull’uomo mi sembrano finora poco convincenti. Concettualmente mi preoccupa il fatto che Tat sia una proteina in grado di assorbire mutazioni genetiche senza perdere funzioni, una qualità che la rende poco praticabile come target per un vaccino.

A quanto ammontano i costi di questa sperimentazione e quali sono i risultati già raggiunti?

Aiuti – Non conosco esattamente i finanziamenti impiegati per il vaccino Tat, ma in genere per una fase I sono necessari dai 3 ai 5 milioni di euro, per una fase II ne occorrono almeno 30 – 50, e ciò varia in base al numero delle persone arruolate, mentre per una eventuale fase III in volontari sani si stima almeno che ci vorrebbero dai 300 ai 500 milioni di euro, una cifra che solo le industrie farmaceutiche sono in grado d’investire. Quindi, dopo 13 anni dall’inizio della sperimentazione nelle scimmie del vaccino Tat dell’Iss non abbiamo ancora un vaccino preventivo, né un vaccino terapeutico e non mi risulta che le industrie farmaceutiche finora siano interessate alla sua eventuale produzione.

Silvestri – Sui costi non posso pronunciarmi perché non conosco i numeri esatti. Sui risultati ho alcuni dubbi.

È possibile sconfiggere l’Aids con un unico vaccino come per il vaiolo o la polio, oppure occorre un approccio diversificato come per l’influenza?

Aiuti – Purtroppo il modello di queste malattie sopra citate, come quello di morbillo, varicella, tetano o dell’influenza, non è efficace. Infatti, nell’infezione naturale da Hiv, pur formandosi anticorpi, questi non sono in grado di neutralizzare il virus e di eliminarlo dall’organismo, cioè non esiste un’immunità adottiva efficace. Ci sono alcune persone che non s’infettano nonostante l’esposizione, ma questo dipende da una caratteristica di ereditarietà genetica e non ambientale e ci sono altre persone, poche, che se s’infettano sopravvivono al virus, hanno una buona immunità e non si ammalano di Aids. Si stanno studiando queste persone per capire i meccanismi di difesa immune anti-Hiv e per cercare di sfruttarli ai fini di un vaccino. Tra questi sembrano avere importanza gli anticorpi diretti verso le regioni interne più conservate del virus, sulle quali si sta puntando per trovare un vaccino efficace.

Silvestri - Credo che la strada più promettente per generare un vaccino contro l’Aids sia quella percorsa da vari gruppi negli Usa, basata sullo sviluppo di prodotti (immunogeni) che stimolano la produzione di anticorpi capaci di neutralizzare il virus. Questi anticorpi esistono in natura (anche se vengono prodotti solo da una minoranza di pazienti) e, se presenti prima dell’infezione, proteggono in maniera molto efficace nel modello delle scimmie. La difficoltà sta nell’educare il sistema immunitario a produrre anticorpi con un vaccino. Questo è un problema biologico molto complesso. Però i recenti progressi nella conoscenza della struttura e funzione di questi anticorpi mi rendono cautamente ottimista.

La via del vaccino è risolutiva o esistono altre strade potenzialmente più efficaci?

Aiuti - Come per tutte le malattie infettive controllate o sconfitte, la strada del vaccino sarebbe quella vincente. Ma, fino a quando non ci sarà un vaccino efficace, è meglio puntare sulla terapia delle persone con infezione (chi prende i farmaci infetta poco le persone dopo i rapporti sessuali) e sulla informazione e prevenzione, cercando di cambiare i comportamenti a rischio e la sudditanza delle donne nei confronti dell’uomo nei rapporti sessuali.

Silvestri – Credo che la prevenzione dell’Hiv debba esplorare non solo il vaccino, ma anche interventi di tipo “microbicida”, e naturalmente continuare a fare prevenzione di tipo comportamentale (educazione, uso del preservativo, siringhe monouso, ecc).

Perché le scimmie infettate da un parente stretto dell’Hiv non si ammalano? È possibile replicare il fenomeno nell’uomo e sfruttarlo a scopo terapeutico?

Aiuti – Questo avviene solo per alcune specie di scimmie, mentre altre si ammalano e la differenza è rappresentata sia dal sistema immunitario più resistente che dalla minore virulenza del virus. Questo è vero anche per l’uomo. Infatti, il ceppo virale Hiv-2, diffuso solo in alcune regioni dell’Africa equatoriale occidentale è molto meno patogeno del virus Hiv-1.

Silvestri – Le scimmie africane infettate con Siv, una famiglia di virus molto simili all’Hiv, non si ammalano per due motivi collegati tra loro. Il primo è che il virus infetta prevalentemente dei sottogruppi delle cellule CD4 (il bersaglio dell’Hiv) che possono essere più facilmente rimpiazzati dal sistema immunitario, per cui l’organismo non ha necessità di aggredire il virus. Il secondo è che le scimmie africane hanno sviluppato dei meccanismi per evitare la cronica attivazione del sistema immunitario, che segue alla infezione da Hiv negli uomini e contribuisce alla progressione verso l’Aids. In pratica, è come se avessero trovato il modo di deviare il virus verso cellule poco importanti del sistema immunitario.

Qual è il segreto della strategia terapeutica adottata su Timothy Brown, considerato unico malato guarito dall’Aids? È riproducibile su altri pazienti ?

Aiuti – In realtà, non è proprio così. La guarigione clinica e l’assenza del virus nel sangue periferico o nel midollo non sono sufficienti a sostenere che la persona sia guarita, perché il virus potrebbe trovarsi in altri tessuti. Nel caso di questo paziente alcuni medici statunitensi hanno rilevato tracce di virus nell’intestino. Timothy Brown è stato trapiantato a Berlino con cellule di donatore con un sistema immunitario particolare, che rende queste cellule scarsamente infettabili dal virus Hiv per una mutazione al recettore del CCR5, una delle porte d’ingresso del virus. Ci sono, inoltre, altri due importanti fattori che rendono eccezionale l’evento e difficile la sua riproposizione: i donatori con queste caratteristiche immunologiche nella popolazione sono meno dell’1 per cento e in più c’è il grave rischio di usare il trapianto di midollo osseo tra persone non consanguinee e non compatibili, con il pericolo di rigetto o morte in oltre 2/3 dei casi.

Silvestri – Ci sono almeno due segreti. Avere fatto una terapia cosiddetta mielo-ablativa, che ha distrutto tutte o quasi le cellule latentemente infettate da Hiv, ed aver ricostruito il midollo con cellule provenienti da un donatore che aveva una rara variante genetica del recettore per Hiv (una molecola chiamata CCR5), che causa resistenza alla infezione. La riproducibilità di questo approccio è purtroppo molto limitata, visti i rischi connessi alla mieloablazione (che nel caso di Timothy Brown è stata fatta per trattare una leucemia) e la scarsità di donatori con questa variante speciale del gene CCR5.

Qual è lo stato della ricerca e della prevenzione in Italia?

Aiuti – Dopo un grande successo iniziale tra gli anni 90 e fino al 2005, quando l’Italia era tra le prime sei nazioni al mondo per pubblicazioni internazionali e per varie attività scientifiche, ora il nostro contributo è molto diminuito. Sia per lo sviluppo della ricerca scientifica in altri paesi come quelli appartenenti ai BRICS o del Sud est asiatico, sia per la diminuzione degli investimenti pubblici su questo settore negli ultimi anni, a causa della crisi.

Silvestri – Direi molto buono per la ricerca clinica, con area di eccellenza nel settore dello studio delle resistenze ai farmaci antivirali e dei meccanismi per cui certi pazienti rispondono meglio (o peggio) di altri alla terapia antiretrovirale. Mi sembra, invece, che la ricerca di base soffra, sia per la cronica mancanza di fondi, che per una serie di difficoltà “logistiche” nel far crescere una nuova generazione di ricercatori italiani che siano competitivi a livello internazionale.

UNAIDS GLOBAL REPORT 2012


www.ilfattoquotidiano.it/2012/12/01/aids-in-italia-4000-nuove-infezioni-aiuti-i-giovani-non-sanno-piu-nulla...
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Un nuovo colpo alla lotta all’Aids. Un team di ricercatori della Johns Hopkins, dell’Università del Mississippi e dell’University of Massachusetts descrive infatti il primo caso al mondo di ‘cura funzionale’ in un bebè affetto da Hiv e trattato subito dopo la nascita. La scoperta, dicono i ricercatori, può aiutare a spianare la strada verso l’eliminazione dell’infezione da Hiv nei bambini. La relazione sul caso viene fatta in occasione della 20.ma Conferenza sui Retrovirus e le infezioni opportunistiche (Croi) di Atlanta. La virologa del Johns Hopkins Children Center Deborah Persaud ha diretto un team di ricercatori di laboratorio, mentre la specialista in Hiv pediatrico Hannah Gay dell’Università del Mississippi Medical Center ha somministrato la cura al bimbo. Il piccolo che ha raggiunto la remissione dell’infezione da Hiv aveva ricevuto la terapia antiretrovirale entro 30 ore dalla nascita.

I ricercatori sono convinti che la rapida somministrazione del trattamento antivirale probabilmente è riuscito a curare la bambina, arrestando la formazione dei serbatoi virali, cellule dormienti responsabili della riacutizzazione dell’infezione nella maggior parte dei pazienti poche settimane dopo l’interruzione della terapia. “La terapia antivirale nei neonati, che inizia a pochi giorni di esposizione, può aiutarli a eliminare il virus e a raggiungere una remissione a lungo termine, impedendo così la formazione di nascondigli virali”, spiega Persaud. I ricercatori dicono che questo è proprio ciò che è accaduto nel bambino descritto nella ricerca. Questo piccolo è ora considerato “funzionalmente guarito“, una condizione che si verifica quando un paziente raggiunge e mantiene una remissione a lungo termine – in assenza di trattamento per tutta la vita – e i test clinici standard non riescono a rilevare la replicazione virale nel sangue.

A differenza di una cura sterilizzante – una completa eradicazione di tutte le tracce virali dal corpo – la cura funzionale si verifica quando la presenza virale è tanto minima, che rimane ‘invisibile’ ai test standard, ma è ancora rilevabile con metodi ultrasensibili. Il bambino descritto nel lavoro era nato da una mamma affetta da Hiv ed è stato sottoposto a un cocktail antiretrovirale entro 30 ore dalla nascita. Una serie di test hanno mostrato la progressiva diminuzione della presenza virale nel sangue della piccola, fino a raggiungere livelli non rilevabili 29 giorni dopo la nascita.

La bimba è rimasta sotto antivirali fino a 18 mesi, a quel punto ha saltato il follow-up per un po’ e, spiegano i ricercatori, di fatto ha interrotto il trattamento. Dieci mesi dopo lo stop delle cure la bambina ha subito ripetuti esami del sangue, senza che questi rilevassero la presenza di Hiv. Anche i test anticorpo-specifici hanno dato lo stesso risultato. Questo caso particolare, dicono i ricercatori, potrebbe cambiare la prassi medica per i bambini nati da donne sieropositive. “Il nostro prossimo passo è quello di scoprire se questa è una risposta insolita o qualcosa che si può effettivamente replicare in altri neonati ad alto rischio”, conclude Persaud. La ricerca è stata finanziata dai national Institutes of Health americani e dall’Amfar (American Foundation for Aids Research).

Il caso della bimba del Mississippi, che ora ha due anni e mezzo, se confermato, s sarà il secondo documentato di un paziente guarito dall’Aids. Il primo è quello di un uomo adulto, Timothy Brown, noto come il paziente di Berlino, guarito nel 2007 dopo un trapianto di midollo osseo. La bimba è stata curata con medicinali antiretrovirali sin da 30 ore dopo la sua nascita, una pratica inconsueta. “Per i pediatri si tratta del nostro Timothy Brown”, ha detto la dottoressa Persaud. I ricercatori esortano però alla cautela, sottolineando che al momento si tratta di un caso unico.

La pratica stabilita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità prevede che un bimbo nato da una mamma infetta dall’Hiv venga curato con una quantità limitata di antiretrovirali per quattro o sei settimane, fino a che il bimbo non risulti a sua volta positivo ad un test, nel qual caso si aumentano le dosi. Nel caso della bimba del Mississippi, quando la sua mamma è andata a partorire in un piccolo ospedale di campagna non sapeva di avere l’Hiv, e quando è risultata positiva al test, la bimba, che era nata da poco più di un giorno, è stata trasferita ad un ospedale dove le è stato immediatamente a sua volta praticato il test. Secondo la dottoressa che Hannah Gay, che ha esaminato il risultato, la bimba era stata infettata quando era ancora nel grembo della madre, piuttosto che durante il parto e poiché il livello di infezione era ancora basso ha immediatamente prescritto alla bimba tre differenti farmaci come trattamento, e non come profilassi. I livelli del virus si sono ridotti rapidamente, e dopo un mese non erano neanche più rilevabili. E ancora così fino a che la bimba non ha compiuto 18 mesi. Poi la madre ha smesso di farle fare i test per cinque mesi, ma quando ha ripreso, di nuovo sono risultati negativi.

La dottoressa Guy ha quindi fatto sottoporre la bimba ad una serie di testi più sofisticati, che hanno rilevato solo piccole tracce del virus integrate nel materiale genetico, che però non sono in grado di replicarsi. Secondo i medici, la decisione di intervenire con i farmaci sin da poche ore dopo la nascita ha impedito la formazione della cosiddetta riserva virale che ospita il virus e dal momento che il virus non è stato più rilevato nel sangue della bimba, il trattamento è stato quindi sospeso. Poiché da allora non è stato più rilevato il virus, affermano i medici, evidentemente la bimba è guarita.

www.ilfattoquotidiano.it/2013/03/04/aids-ricerca-usa-primo-caso-di-cura-funzionale-da-hiv-in-bebe...
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L'Hiv riapparso nei pazienti di Boston. "Ci aiuterà a capire il virus"
Dopo un trapianto di midollo osseo sembrava essere scomparso dal sangue di due pazienti americani. Cure anti-retrovirali sospese, ma dopo alcuni mesi i test hanno rilevato la presenza dell'Hiv. "Un insuccesso, ma una scoperta significativa per la scienza", spiegano i ricercatori del Brigham and Women's Hospital

Lo leggo dopo
L'Hiv riapparso nei pazienti di Boston. "Ci aiuterà a capire il virus"
Timothy Henrich, ricercatore del Brigham and Women's Hospital
L'HIV è in grado di diventare invisibile. E' quanto è emerso dall'esperienza di due malati di Boston, in cui per diverse settimane i test del sangue avevano escluso la presenza del virus. Una caratteristica subdola della quale ancora si ignorava l'esistenza e che rende la lotta all'Aids ancora più ardua. Secondo il parere dei medici, però, questa vicenda può diventare una scoperta cruciale per combattere il virus.

I due pazienti di Boston, oltre ad essere sieropositivi, erano affetti da un linfoma: per curarlo i ricercatori del Brigham and Women's Hospital scelsero di ricorrere a un trapianto di midollo osseo. Tra il 2008 e il 2010 entrambi subirono l'operazione. Circa otto mesi dopo il trapianto, oltre alla scomparsa del linfoma, i medici non riscontrarono più la presenza nel sangue del virus Hiv. I test sembravano confermare che il virus era stato sconfitto, proprio grazie al trapianto di midollo osseo. All'inizio del 2013 i medici decisero di sospendere la cura di farmaci anti-retrovirali e dichiararono curati i due pazienti di Boston.

Ad agosto, però, la brutta notizia. In uno dei due il virus era riapparso, 12 settimane dopo l'interruzione delle cure. E a novembre i test confermarono la ricomparsa dell'hiv nel sangue del secondo dei pazienti di Boston.

"Il ritorno dell'Hiv su livelli rivelabili è una delusione, ma anche un'importante scoperta dal punto di vista scientifico", spiega il dottor Timothy Henrich, un ricercatore del Brigham and Women's Hospital. "Abbiamo dimostrato che il virus agisce in maniera più profonda di quanto pensavamo prima. Adesso sappiamo che i nostri test non sono in grado di rilevare correttamente la completa scomparsa del virus e che l'Hiv può resistere in 'serbatoi' esterni ai vasi sanguigni".

Il caso dei pazienti di Boston può essere quindi un punto di partenza per lo sviluppo di test più affidabili e di nuove tecniche per la cura del virus. Il sistema immunitario sembrerebbe poter giocare un ruolo importante nella riduzione delle riserve di Hiv, ma non può fare tutto da solo. Con una combinazione di farmaci e terapie, si potrebbe intaccare anche quelle riserve più nascoste e più persistenti di cui prima si ignorava l'esistenza e che ora diventano l'aspetto su cui indagare.


www.repubblica.it/salute/ricerca/2014/01/02/news/hiv_pazienti_boston-74980844/?ref...
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Crescono i contagi fra i giovani, così l'Aids torna a fare paura
Allarme degli esperti: i ragazzi non usano preservativi. Gli adolescenti di oggi non hanno vissuto gli anni dell'emergenza e non vedono i rischi

dal nostro inviato MASSIMO VINCENZI
Lo leggo dopo
Crescono i contagi fra i giovani, così l'Aids torna a fare paura NEW YORK - Nel paradosso della vittoria si nasconde il rischio della sconfitta, al tempo in cui finalmente la comunità scientifica può dire di aver battuto o comunque messo sotto controllo l'Aids arrivano numeri che raccontano un mondo alla rovescia: i contagiati crescono a ritmi vertiginosi tra i giovani. L'allarme parte dagli Stati Uniti, ma è una tendenza globale, tocca Canada, Australia, Francia, Inghilterra, Olanda e in Cina i ricercatori parlano addirittura "di un'epidemia tra gli studenti".

Negli Usa la comunità più colpita è quella dei gay sotto i 25 anni che vede il virus in ripresa a ritmi del 22% rispetto alle ultime rilevazioni ufficiali di 12 mesi fa: tra gli afroamericani si arriva a quota 48%. Ma anche i dati sui ragazzi etero preoccupano: "Non ci sono statistiche aggiornate attendibili, ma alcuni studi indicano un aumento addirittura superiore al 20%": spiega John Schneider dell'Università di Chicago e poi aggiunge: "Vedo sempre più spesso adolescenti tra i 13 e i 16 anni contagiati".

Quella in corso è una vera e proprio controrivoluzione sessuale: con il virus ai suoi minimi storici e ormai messo sotto controllo dalle cure farmacologiche, i giovani di oggi sono la prima generazione che cresce senza l'incubo del contagio. Finita l'emergenza, le campagne di prevenzione si attenuano, i fiocchetti rossi non brillano più sui vestiti delle star, molte storiche associazioni devono chiudere per mancanza di fondi. I "millennials", quelli che hanno tra i 18 e i 30 anni, non hanno mai visto un amico morire in un letto d'ospedale dopo mesi di sofferenza, non hanno memoria delle immense coperte colorate con i nomi delle vittime, non hanno pianto guardando il film Philadelphia e dunque non pensano di correre un pericolo tutte le volte che fanno sesso non protetto. Oltre il 20% ammette candidamente di non usare il preservativo, ma nei sondaggi ufficiosi la cifra triplica. Uno su tre, anche tra gli omosessuali adulti, non ha mai fatto un test Hiv e di sicuro non lo ha fatto negli ultimi 12 mesi: "In queste condizioni è come giocare alla roulette russa: mettono senza pensarci in pericolo la loro vita", dice al New York Times Thomas Frieden che dirige il Centers for Disease Control and Prevention, l'ente federale che vigila sulla sanità pubblica.

Oltre all'ignoranza, pesa anche il cambio di percezione della malattia, vissuta ormai con un disturbo cronico, poco più di un fastidioso raffreddore con cui si può convivere prendendo qualche farmaco: "Molti sono convinti che basta prendere antivirali per non ammalarsi e dunque si credono immuni dal contagio: ma non è così": dice ancora Frieden. Ogni anno ci sono 50mila pazienti e nonostante gli investimenti dell'amministrazione Obama non si riesce ad abbattere quella soglia proprio per i nuovi casi. Così i programmi federali e le Ong si concentrano adesso sui giovani, da New York a Chicago, da San Francisco a Washington nascono applicazioni per gli smartphone e le campagne di pubblicità progresso inondano i social network, i furgoni colorati dei volontari si fermano nel fine settimana davanti a bar e locali notturni: consegnano preservativi e invogliano a fare subito l'esame. Nei campus universitari si lancia "la giornata del test" provando a trasformare l'appuntamento in una sorta di party collettivo, si organizzano spettacoli teatrali e concerti a tema.

"Ma è difficile, il problema è proprio l'educazione sessuale. Da noi si concentra sempre di più solo su astinenza e prevenzione della gravidanza. Quasi nessuno si azzarda a parlare di Aids, figuriamoci di omosessualità" spiega a Usa Today lo psicologo Robert Garafalo. Poi conclude amaro: "Viviamo dentro una contraddizione: mai come ora i nostri ragazzi sono bombardati da messaggi sessuali espliciti, modificano le loro abitudini, hanno rapporti sempre più precoci, cambiano spesso partner e affrontano tutte queste esperienze nella più totale ignoranza".
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TAG stati uniti, usa, aids
(11 gennaio 2014)

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L’obiettivo è ambizioso e visionario: “Porre fine entro il 2030 alla più grave epidemia che l’uomo abbia mai conosciuto, senza lasciare indietro nessuno”. È il messaggio lanciato dall’Unaids – il programma delle Nazioni Unite per l’Aids – in occasione della Giornata mondiale contro l’Hiv dell’1 dicembre. Prima tappa, messa nero su bianco a luglio durante la XX conferenza internazionale sull’Aids di Melbourne, “ridurre la distanza entro il 2020 con l’obiettivo 90x90x90”, cioè diagnosi del 90% delle infezioni da Hiv, accesso alle terapie per il 90% dei malati e azzeramento della carica virale nel 90% dei casi di sieropositività. E sono proprio i dati Unaids a sancire il primato negativo italiano in Europa occidentale: circa 140mila sieropositivi e oltre mille decessi l’anno.

35 milioni di contagiati nel mondo
L’Aids, infatti, è una malattia che continua a uccidere, spesso silenziosamente. Secondo l’Unaids, dall’inizio dell’epidemia, più di 30 anni fa, fino al 2013 sono state circa 78 milioni le persone contagiate e 39 milioni i morti per infezioni opportuniste collegate all’Hiv, nella maggior parte dei casi per tubercolosi. Nel mondo, inoltre, più di 35 milioni di persone convivono con il virus, a volte senza esserne a conoscenza. Circa 3 milioni sono bambini, più della metà donne, tra le quali l’Hiv è la principale causa di morte in età riproduttiva. Ma solo il 37% ha accesso ai farmaci antiretrovirali. Riguardo i costi dell’epidemia, invece, per il contrasto all’Hiv la cifra complessiva stanziata nel 2013 è stata pari a più di 19 miliardi di dollari.

Per il contrasto all’Hiv la cifra complessiva stanziata nel 2013 è stata pari a più di 19 miliardi di dollari
In Italia la più alta prevalenza di persone affette da Hiv in Europa occidentale
In occasione della giornata mondiale, l’Università La Sapienza di Roma organizza un convegno, in collaborazione con il Cesvi – associazione umanitaria impegnata da più di dieci anni nel contrasto della malattia in Africa – per informare, soprattutto i giovani, su prevenzione e rischi di trasmissione della malattia, per esempio da madre sieropositiva a neonato. “La trasmissione verticale rappresenta la principale via di contagio dell’Hiv in età pediatrica – sottolinea Giangi Milesi, presidente Cesvi -. Dal 2009 al 2012 il numero di nuove infezioni tra i bambini è diminuito del 40%, grazie ai servizi d’informazione e alla distribuzione di farmaci antiretrovirali”. Tra i temi discussi al convegno della Sapienza anche il rischio attuale connesso all’epidemia nel nostro Paese.

Secondo l’Unaids, infatti, l’Italia, con oltre 1000 decessi l’anno, è il Paese con la più alta prevalenza di persone affette da Hiv in Europa occidentale. Complessivamente, sono circa 140mila gli italiani sieropositivi, il 15-25% dei quali non è al corrente della propria condizione. Gli italiani dimostrano, però, di sapere quanto importante è stata la ricerca in campo farmacologico nella lotta all’Aids. Secondo l’indagine Eurisko, uno su due dichiara che oggi, rispetto al passato, la malattia è più controllabile. A partire dal 2001, infatti, secondo i dati dell’Unaids, i nuovi contagi da Hiv si sono ridotti del 38%. Nel 2013 sono stati quasi 3 milioni e mezzo in meno rispetto al 2001. Anche i decessi sono in calo, circa 1 milione e mezzo nel 2013, un milione in meno rispetto al 2005. Merito di una migliore prevenzione e dei progressi nelle ricerca sulle terapie antiretrovirali.

Circa l’80% dei contagi è attribuibile a rapporti sessuali non protetti, ma solo il 35% dei ragazzi e delle ragazze in Italia usa il preservativo
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Per la Giornata mondiale test gratuiti negli ospedali
Numeri che indicano come l’epidemia sia tutt’altro che vinta. Ma gli italiani sembrano essersene dimenticati. L’80% ritiene di non essere a rischio di contrarre l’Aids e il 60% pensa che sia facile contagiarsi, ma che l’infezione riguardi esclusivamente i tossicodipendenti, gli omosessuali e coloro che hanno relazioni sessuali promiscue. Inoltre, nonostante la maggioranza delle nuove diagnosi da Hiv, circa l’80%, sia attribuibile a rapporti sessuali non protetti, solo il 35% dei ragazzi e delle ragazze in Italia usa abitualmente il preservativo, e appena il 29% dichiara di aver fatto il test dell’Hiv. I dati emergono da un’indagine condotta dall’Eurisko, grazie al supporto di Gilead, su un campione rappresentativo della popolazione di oltre mille italiani.

Proprio per sensibilizzare la popolazione sull’importanza della diagnosi precoce e offrire un rapido metodo di screening, l’Istituto nazionale malattie infettive Lazzaro Spallanzani di Roma e altri centri in tutta Italia, nel corso della settimana Europea del test Hiv, che precede la giornata mondiale contro l’Aids, hanno deciso di offrire test salivari gratuiti e anonimi a tutti i cittadini. “La diagnosi precoce è fondamentale perché è provata la correlazione fra l’inizio delle terapie e l’incremento della durata di vita”, spiega Andrea Antinori, direttore malattie infettive dello Spallanzani.

I decessi sono in calo, circa 1 milione e mezzo nel 2013, un milione in meno rispetto al 2005
Dalle cellule bersaglio a un interferone: il punto sulla ricerca
Ma non bisogna abbassare la guardia, perché il virus lascia sul sistema immunitario impronte indelebili, come quando si cammina sul cemento ancora fresco, e la malattia può ripresentarsi anche quando sembra sconfitta. Come dimostra il caso del bimbo italiano tornato positivo, malgrado fosse stato sottoposto a trattamento anti-Hiv appena dodici ore dopo la nascita. Sul fronte della ricerca, mentre sembra tramontare l’ipotesi di un vaccino italiano contro il virus, altri studi promettenti potrebbero aprire la strada a nuovi farmaci. I ricercatori sono concentrati sulla comprensione delle strategie molecolari utilizzate dall’Hiv per ingannare le difese immunitarie dell’ospite, riconoscere le cellule bersaglio e aggredirle.

Gli sforzi sono focalizzati, ad esempio, sull’involucro che circonda il virus, di cui è stata ottenuta nei National Institutes of Health americani una sorta di replica, pubblicata su Nature, o sul guscio proteico che protegge il suo materiale genetico, di cui all’European Molecular Biology Laboratory di Heidelberg, in Germania, è stata ricostruita in dettaglio la struttura tridimensionale, illustrata anch’essa su Nature. Un altro bersaglio è, infine, la replicazione del virus, come dimostra lo studio su Nature di un team di ricercatori della Rockefeller University di New York, che ha individuato un interferone, una molecola in grado, come dice il nome stesso, d’interferire con la duplicazione dell’Hiv e impedirne la diffusione in altre cellule.


www.ilfattoquotidiano.it/2014/11/30/aids-in-italia-record-europeo-sieropositivi-unaids-battere-hiv-entro-2030/...



Nel 2013 sono state 3.806 e aumenta l’età mediana della diagnosi che è 39 anni per i maschi e 36 per le femmine. Stabile ancora il numero dei casi di AIDS, che nel 2013 sono stati 1.016. Le persone che hanno scoperto di essere HIV positive nel 2013 sono maschi nel 72,2% dei casi. L’incidenza più alta è stata osservata tra le persone di 25-29 anni (15,6 nuovi casi ogni 100.000 residenti). Nel 2013, la maggioranza delle nuove diagnosi di HIV è attribuibile a rapporti sessuali non protetti, che costituiscono l’83,9% di tutte le segnalazioni (maschi eterosessuali 26,00% e femmine eterosessuali 18,5% MSM 39,4%). Nel 2013, il 24% delle persone diagnosticate come HIV positive è di nazionalità straniera. Le incidenze più elevate tra stranieri sono state osservate in Lazio, Campania, Sicilia e Sardegna. Aumentano le diagnosi nei maschi che fanno sesso con maschi tra gli italiani, che costituiscono quasi la metà delle nuove diagnosi tra gli italiani mentre tra gli stranieri è quella eterosessuale la modalità di trasmissione più frequente. Questo significa che è diminuita la percezione del PERICOLO all’interno della comunità glbtq.
Come se il sesso protetto fosse una delle tante opzioni.
FALSO.
E’ l’unica percorribile.
Solo a ROMA negli ultimi 4 anni c’è stato un aumento del 120% di contagi.
503 nel 2010.
624 nel 2011.
897 nel 2012.
1024 nel 2013.
1106 in questo 2014.
Una crescita spaventosa, con un’età media di 55 anni e un 80% di contagiati a causa del sesso senza preservativo.
[Modificato da angelico 01/12/2014 23:59]
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Scoperto dove virus Hiv si nasconde nelle cellule
Ricerca italiana dell' Icgeb di Trieste pubblicata su Nature. Ora si apre la strada a nuove cure contro Aids

Lo leggo dopo
Scoperto dove virus Hiv si nasconde nelle cellule
Ricercatori italiani scoprono dove si nasconde il virus dell'Aids
TRIESTE - E' stata fotografata per la prima volta la struttura del nucleo dei linfociti e scoperte le "tane" dove l'Hiv si nasconde fino a diventare 'invisibile'. La ricerca è stata realizzata all'Icgeb di Trieste da un gruppo di studiosi guidati dal professor Mauro Giacca, direttore del Centro di medicina molecolare. La scoperta è stata pubblicata sul sito di 'Nature' e avrà forti ricadute nello sviluppo di nuovi farmaci contro l'Aids.

L'Aids è collegato alla proprietà del virus di inserire il proprio Dna in quello delle cellule che infetta diventando così parte del loro patrimonio genetico. Gli esperti hanno cercato di capire come mai i virus colpisce solo determinati geni e ne ignora altri. Infatti la ragione per cui il virus scelga soltanto alcuni dei 20mila geni umani per integrarsi e, soprattutto, come riesca all'interno di questi geni a nascondersi ai farmaci era rimasto finora un enigma. Ora questo enigma è stato risolto dal gruppo di ricerca dell'International Centre for Genetic Engineering and Biotechnology. Gli studiosi hanno dimostrato che la presenza di due proteine(NUP153 e LEDGF/p75) è fondamentale perché il virus riesca a inserirsi nella cellula.

Si tratta di un altro passo avanti nella lotta all'Aids. Recentemente un gruppo di ricercatori statunitensi ha messo a punto una sostanza in grado di 'inibire' il virus nelle scimmie. Gli studiosi americani del Scripps Research Institute, in California, hanno modificato il Dna delle scimmie, in modo da creare una specie di 'scudo' contro l'Hiv. La sperimentazione sulle cavie da laboratorio, durata diversi mesi, ha dato risultati incoraggianti.


www.repubblica.it/salute/ricerca/2015/03/02/news/scoperto_dove_virus_hiv_si_nasconde_nelle_cellule-108580824/?ref...



Aids, scoperte le “tane” dove l’Hiv si nasconde fino a diventare invisibile
Aids, scoperte le “tane” dove l’Hiv si nasconde fino a diventare invisibile
Scienza
La ricerca è stata compiuta all’International centre for genetic engeneering and biotechnology di Trieste dagli scienziati guidati dal professor Mauro Giacca. La scoperta è stata pubblicata sul sito di Nature e potrebbe avere forti ricadute nello sviluppo di nuovi farmaci
di Davide Patitucci | 2 marzo 2015 COMMENTI

Più informazioni su: Aids, HIV, Nature
Il virus dell’Aids è un nemico ostico per l’organismo, sia perché colpisce selettivamente il sistema immunitario, sia perché è in grado di camuffarsi bene, integrando il proprio materiale genetico con il Dna dei linfociti che infetta. In questo modo, aggredisce non solo il singolo linfocita colpito, ma anche indirettamente i suoi discendenti, ai quali la cellula madre, quando si divide, trasmette in eredità anche il materiale genetico del virus.

Adesso un team di ricercatori italiani dell’International centre for genetic engineering and biotechnology (Icgeb) di Trieste, guidati da Mauro Giacca, ha individuato alcuni dei nascondigli preferiti dell’Hiv, con il quale nel mondo convivono più di 35 milioni di persone, a volte senza esserne a conoscenza. Mentre prosegue la ricerca per sconfiggere l’infezione attraverso nuove strategie come la terapia genica, in un articolo appena pubblicato sul sito di Nature, gli studiosi triestini – in collaborazione con alcuni ricercatori dell’Università di Modena e del Genethon di Parigi – hanno scattato una fotografia della struttura del nucleo dei linfociti, e individuato le tane dove l’Hiv si nasconde, fino a diventare invisibile.

I ricercatori triestini hanno studiato i meccanismi che portano il virus a scegliere soltanto alcuni dei circa 20mila geni umani per integrarsi. E, soprattutto, le strategie che adotta l’Hiv per nascondersi all’interno di questi geni e sfuggire, così, ai farmaci, portando alla cronicizzazione dell’infezione. Gli scienziati hanno, infatti, scoperto che il virus è in grado d’integrare il proprio materiale genetico vicino alla membrana esterna che delimita il nucleo, in corrispondenza delle strutture dei cosiddetti pori nucleari, le porte attraverso le quali ha avuto accesso all’interno della principale cabina di regia della cellula.
“È come quando entriamo in una sala cinematografica al buio – spiega Mauro Giacca, a capo del team di studiosi italiani -. I posti più comodi sono quelli più lontani, ma i più facili da raggiungere sono quelli vicini alle porte, ed è proprio lì che ci accomodiamo. Allo stesso modo – sottolinea lo scienziato -, inserendosi nei geni più prossimi alle porte d’ingresso del nucleo cellulare, la probabilità che il virus si nasconda ai farmaci diventa più alta. Questo è il motivo per cui oggi – conclude Giacca – riusciamo a rallentare la progressione verso l’Aids, ma non a eliminare del tutto l’infezione”.

www.ilfattoquotidiano.it/2015/03/02/aids-scoperte-tane-dove-lhiv-si-nasconde-diventare-invisibile/...
[Modificato da angelico 02/03/2015 19:21]
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Aids, i dati del programma Unaids: in calo il numero di morti e malati
Secondo la relazione annuale fornita dai responsabili del programma delle Nazioni Unite, i morti diminuiscono del 42%. Le persone infette sono il 35% in meno

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24 novembre 2015



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Aids, i dati del programma Unaids: in calo il numero di morti e malati
Il direttore di Unaids Michel Sibide (reuters)
LONDRA - Quasi sedici milioni di persone in tutto il mondo sono attualmente sottoposte a terapie per la cura dell'Hiv ma le ricerche e gli sforzi fatti negli ultimi anni per fermare la diffusione del virius stanno dando risultati concreti. E' questa la confortante sintesi della relazione annuale di Unaids, il programma delle Nazioni Unite per la lotta all'Aids, presentata in occasione della giornata mondiale per la lotta all'Aids che come ogni anno cadrà il primo dicembre.

Nel rapporto si legge che attualmente il numero delle persone infette è calato del 35% rispetto ai picchi del 2000, mentre il numero dei morti è sceso del 42% rispetto al 2004. "I progressi fatti negli ultimi 15 anni sono straordinari", ha dichiarato il direttore esecutivo di Unaids Michel Sidibe. Cinque anni fa, il numero delle persone sottosposte a trattamento era meno della metà rispetto ai 15.8 milioni di oggi. Nel 2002 erano appena 2.2 milioni. "Ogni cinque anni vediamo raddoppiare il numero delle persone sottoposte alle cure", ha aggiunto Sidibe.

Dalla fine del 2014, 36.9 milioni di persone hanno contratto il virus dell'Hiv. "Oggi abbiamo ottenuto un livello di prevenzione mai raggiunto prima", ha detto Sibide. Il 90 per cento dei focolai di infezione è concentrato il 35 paesi. "Tutti hanno il diritto di vivere una vita lunga e sana", ha detto Sibide, "dobbiamo fornire la massima assistenza alle persone più sofferenti".

Unaids ha lanciato un programma quinquiennale con l'obiettivo di sconfiggere definitivamente la minaccia di una epidemia dell'Aids entro il 2030.


www.repubblica.it/salute/prevenzione/2015/11/24/news/aids_in_calo_malati_e_morti-12...
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Aids, meno paura e meno test preventivi: aumentano i malati che ignoravano di essere Hiv positivi
Il trend dei contagi è invariato, ma la prevenzione arretra e aumentano le persone che si vedono fatta la diagnosi di Aids mentre ignoravano di essere sieropositive. L'anno scorso in Italia oltre 3695 nuovi casi di positività e 858 di malattia conclamata. Oltre 67 mila casi e 42 mila vittime dal 1982. L'Europa autorizza nuove terapie. La Francia rende rimborsabili gli antiretrovirali per chi è parte di comunità più a rischio

di IRMA D'ARIA
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30 novembre 2015
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Aids, meno paura e meno test preventivi: aumentano i malati che ignoravano di essere Hiv positivi
Un'immagine simbolo della Giornata mondiale per la lotta all'Aids che si celebra il 1° dicembre (afp)
ROMA - L'incidenza dei contagi resta pressoché invariata negli anni, mentre continua a crescere la percentuale delle persone che arrivano allo stadio di Aids conclamato ignorando la propria sieropositività: erano il 20,5% delle diagnosi di Aids nel 2006, mentre nel 2014 hanno raggiunto quota 71,5%. Non solo: nonostante anni di campagne di sensibilizzazione e informazione, le modalità di trasmissione sono ancora rappresentate nell'84% dei casi da rapporti sessuali senza preservativo sia tra eterosessuali che tra maschi omosessuali. Sono alcuni dei dati diffusi dal Centro operativo Aids dell'Istituto superiore di sanità (Iss) in occasione della Giornata mondiale per la lotta all'Aids, che si celebra il 1° dicembre. Ecco il punto sulla malattia e sui contagi, mentre arriva l'autorizzazione europea per la commercializzazione di un nuovo farmaco che riunisce in una sola compressa quattro principi attivi.

I numeri della malattia - Nel 2014, in Italia, 3.695 persone hanno scoperto di essere Hiv positive; un'incidenza pari a 6,1 nuovi casi di sieropositività ogni 100 mila residenti. La tendenza non mostra particolari variazioni rispetto ai tre anni precedenti e colloca il nostro Paese al 12° posto nell'Unione europea. Le regioni che hanno l'incidenza più alta sono il Lazio, la Lombardia e l'Emilia-Romagna. In Europa il sistema di sorveglianza ha registrato lo scorso anno 142mila nuove infezioni nei 53 paesi della regione europea dell'Oms, di cui circa 30mila nella sola Ue, il numero più alto mai visto da quando è iniziato il conteggio. In Africa, intanto, l'Aids è diventata la prima causa di morte tra gli adolescenti (ogni ora si verificano 26 nuovi contagi). Sono in aumento, segnala un rapporto Oms-Ecdc, le nuove infezioni dovute a rapporti omosessuali, che erano il 30% nel 2005, mentre ora sono il 42%; quelle dovute a rapporti eterosessuali sono il 32%.

Flussi migratori e Hiv - L'enorme incremento dei flussi migratori degli ultimi mesi ha determinato un aumento della richiesta in campo assistenziale anche per problematiche di tipo infettivologico. In base ai dati dell'Iss, il 27,1% delle persone diagnosticate come Hiv positive è di nazionalità straniera. Più in dettaglio, nel 2014, l'incidenza è stata di 4,7 nuovi casi ogni 100.000 tra italiani residenti e di 19,2 nuovi casi ogni 100.000 tra gli stranieri residenti. Il fenomeno tra gli stranieri è percentualmente più evidente nel Lazio, in Campania, in Sicilia e in Molise. Gli esperti della Società italiana di malattie infettive e tropicali sottolineano che non ci sono assolutamente rischi per la salute degli italiani derivanti dai fenomeni migratori. Uno studio presentato pochi giorni fa a Barcellona, al Congresso europeo sull'Aids, dimostra che almeno il 20% della diffusione del virus dell'Hiv tra i migranti riguarda contagi avvenuti dopo l'arrivo in Italia.

Gli uomini più colpiti - Il virus colpisce prevalentemente gli uomini (79,6% dei casi), mentre continua a diminuire l'incidenza delle nuove diagnosi nelle donne. L'età media per i primi è di 39 anni, per le donne di 36 anni. La fascia di età più colpita è quella tra i 25 e i 29 anni (15,6 nuovi casi ogni 100.000 residenti).

Pochi test anche in fasce a rischio - Il 20,62% delle 5703 persone che hanno chiamato la Lega italiana per la lotta contro l'Aids tra il 30 settembre 2014 e il 30 settembre 2015 non avevano mai fatto l'esame dell'Hiv, pur essendo - avendo contattato l'associazione - in qualche modo sensibili al tema. La percentuale di persone che non hanno mai fatto il test raggiunge il 36% del totale nello studio "Questionaids" condotto dalla Lila e dal Dipartimento di Psicologia dell'Università di Bologna su un campione di popolazione generale. "Fare il test rappresenta un problema per sempre più persone" commenta il presidente della Lila, Massimo Oldrini. "Si tratta di un dato che va di pari passo con il fatto che in Italia oltre il 50% delle persone scopre di avere contratto l'Hiv in una fase molto avanzata dell'infezione".

I casi di Aids - In Italia, dall'inizio dell'epidemia (nel 1982) a oggi, sono stati registrati oltre 67.000 casi di Aids con un'ecatombe di oltre 43 mila vittime. Il progresso della medicina negli anni e la diffusione dei farmaci antiretrovirali hanno portato nel tempo a una netta diminuzione dei casi e dei decessi per Aids. Nel 2014, sono stati diagnosticati 858 nuovi casi pari a un'incidenza di 1,4 nuovi casi per 100.000 residenti, in linea con gli ultimi tre anni. Nel 2014, poco meno di un quarto dei malati conclamati ha eseguito una terapia antiretrovirale prima della diagnosi di Aids. Questa bassa percentuale di persone in terapia è legata al fatto che, al contrario, una quota crescente di persone Hiv positive è inconsapevole della propria sieropositività: tra il 2006 e il 2014, infatti, è aumentata a dismisura la percentuale delle persone che arrivano allo stadio di Aids conclamato ignorando la propria sieropositività, passando dal 20,5% al 71,5%. La colpa è del calo dell'attenzione, delle campagne di sensibilizzazione e dell'allarme sociale, che ha riportato l'opinione pubblica a considerare l'emergenza come limitata a fasce di popolazione di cui si sente di non far parte. Uno studio condotto su 12 Centri clinici di malattie infettive campionati per essere rappresentativi della realtà italiana, risulta che in Italia il 90,9% delle persone diagnosticate con infezione da Hiv è seguito presso i centri clinici di malattie infettive; di questi, il 92,6% è in terapia antiretrovirale, e di questi l'85,4% ha raggiunto la soppressione del virus.

Quattro compresse in una - Sul piano della ricerca, la Commissione Europea ha approvato in questi giorni l'autorizzazione all'immissione in commercio di un farmaco per il regime in singola compressa da assumere una volta al giorno per il trattamento dell'infezione da Hiv (elvitegravir 150 mg/cobicistat 150 mg/emtricitabina 200 mg/tenofovir alafenamide 10 mg, o TAF). Si tratta del primo regime basato su TAF a ricevere il via libera per la vendita nell'Ue. Questo tipo di terapia è indicato per il trattamento degli adulti e degli adolescenti (a partire dai 12 anni e di almeno 35 kg di peso) con infezione da Hiv-1 senza mutazioni note associate a resistenza alla classe degli inibitori dell'integrasi, emtricitabina o tenofovir.

L'arma al selenio - Nuovi strumenti per combattere il virus dell'Hiv arrivano anche dal selenio: a dirlo è un lavoro di ricerca pubblicato sulla rivista americana Journal of Medical Chemistry dai ricercatori del Dipartimento di Scienze farmaceutiche dell'Università di Perugia in collaborazione con il Rega Institute di Lauven in Belgio, leader mondiale per gli studi biochimici sul virus. "Innovativo" spiega Luca Sancineto che ha progettato e sintetizzato le molecole "è il target dei nostri composti, la proteina NCp7. Questo 'bersaglio' non è facile da raggiungere e controlla passaggi fondamentali per la vita e la replicazione del virus". Le molecole selenorganiche intervengono inibendo selettivamente questa proteina e uccidendo il virus con un meccanismo contro il quale il virus non ha, ancora, imparato a difendersi.

L'accesso alle terapie - Nel mondo sono circa 40 milioni le persone con Hiv, 15 milioni di queste hanno accesso alle terapie antiretrovirali, ma nella pratica solo il 25% aderisce correttamente alle cure e quindi ne beneficia. In Italia e nei paesi occidentali il tasso si aggira intorno al 50%. Il resto delle persone non sa di avere l'Hiv, non si presenta ai centri di cura o si perde in corso di terapia, e questo consente il permanere di un rischio di diffusione dell'infezione. Da qui è partito il progetto promosso dall'Istituto Spallanzani e che coinvolge 10 centri specializzati nella cura dell'Hiv in tutta Italia e le associazioni impegnate a livello nazionale nella lotta all'Aids. "Nel 2012 in Italia - evidenzia Enrico Girardi, direttore di Epidemiologia Clinica dell'Istituto Spallanzani, uno dei maggiori centri europei per la diagnosi e cura dell'Infezione da Hiv/Aids - erano inconsapevoli del proprio stato di infezione da Hiv tra le 10.000 e le 12.000 persone in Italia, pari a circa l'11-13% delle persone che hanno contratto l'infezione. Esistono poi persone che non accedono ai centri di cura o non ricevono un trattamento efficace o non lo assumono correttamente. Bisogna far sì che le persone non abbandonino le terapie rischiando per sé stessi e per gli altri".

Prevenzione, l'esempio della Francia - Il ministero francese della Salute ha annunciato che renderò disponibile e rimborsabile la PrEP, cioè l'uso di farmaci antiretrovirali, per le persone Hiv-negative ad alto rischio di contrarre l'infezione da Hiv per abbattere tale rischio. "La Francia dimostra di rendersi conto della necessità di prevenire l'infezione da Hiv anche tra coloro che non possono o non riescono ad usare il preservativo costantemente nei rapporti sessuali", commenta Bruno Marchini, vicepresidente nazionale Anlaids. Si tratta di persone che magari vivono in un gruppo di popolazione dove l'Hiv è più diffuso, come possono essere i gay. "In questo modo quindi le autorità sanitarie francesi riconoscono i bisogni di salute di tutti cittadini senza nessun giudizio morale sui loro liberi comportamenti sessuali". Diversa, invece, la situazione in Italia: "Mentre il numero delle nuove infezioni da Hiv non accenna a diminuire, anzi sembra in crescita tra i maschi che fanno sesso con maschi, le istituzioni sono ancora arroccate su posizioni conservative" denuncia Marchini.

Hiv e cancro - Il cancro è la prima causa di morte per gli Hiv positivi. Ecco perché è fondamentale che i pazienti partecipino ai programmi di screening anti-cancro. "Grazie ai progressi raggiunti dalla ricerca medico-scientifica nel nostro Paese gli Hiv positivi sono sempre più anziani - afferma Umberto Tirelli, direttore del Dipartimento di Oncologia medica dell'Istituto nazionale tumori di Aviano (Pordenone) - . Infatti tra questa particolare categoria di malati registriamo un aumento di patologie oncologiche legate anche all'invecchiamento tra cui cancro a fegato, prostata, polmone e colon. Sono invece in calo grazie all'efficienza delle terapie anti-Hiv i tumori associati alla grave immunodeficienza come linfomi o Kaposi". Il motivo è da ricercare nella scarsa prevenzione sia primaria che secondaria. Molte di queste persone, infatti, fumano o abusano di alcol e spesso presentano virus oncogeni come l'Hpv o quelli dell'epatite B e C. Ciò nonostante le donne non svolgono esami diagnostici di routine come il Pap-Test e mammografia. Le pazienti Hiv positive hanno circa 10 volte un rischio maggiore di carcinoma alla cervice uterina rispetto alle altre donne. "Dobbiamo invertire queste pericolose tendenze. Chi ha il virus dell'Aids deve fare gli esami raccomandati alla popolazione generale della stessa età. Bisogna avviare al più presto su tutto il livello nazionale progetti e campagne di informazione specifiche per questa categoria di persone" avverte Tirelli.

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Hiv, il test diagnostico sbarca in farmacia
Per la prima volta in Italia disponibile per tutti i maggiorenni a pagamento un sistema che permette di fare l'analisi a casa propria

di MICHELE BOCCI
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30 novembre 2016
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Hiv, il test diagnostico sbarca in farmacia
La confezione francese del dispositivo Mylan
UN TEST diagnostico per l'Hiv in farmacia. Costerà 20 per scoprire a casa propria se si è sieropositivi o meno, grazie a un dispositivo che da domani sarà nelle farmacie. Non ci vorrà una ricetta del medico per averlo, esattamente come per il test di gravidanza. Si fa attraverso un prelievo del sangue con una piccola puntura al polpastrello. Già dopo 15 minuti sono disponibili i risultati. Il produttore, che è la casa farmaceutica Mylan, ricorda come comunque per l'autotest valga la stessa regola degli esami di laboratorio riguardo all'"intervallo finestra". Tra il momento del contatto a rischio e quindi del presunto contagio e l'analisi, infatti, devono passare almeno 90 giorni. La sensibilità e quindi l'attendibilità nella rilevazione dell'infezione è vicina al 100%. Gli errori possono essere dei "falsi positivi" cioè delle positività al virus che in realtà non ci sono. Questo problema è superato dal fatto che quando viene rilevata la presenza dell'Hiv con l'autotest è comunque necessario confermare la diagnosi con le analisi di laboratorio prima di avviare qualunque cura o terapia. E comunque è necessario, dopo il risultato, contattare subito un medico.

LEGGI Nella Ue una persona con Hiv su 7 non sa di essere stata infettata

Il test fai-da-te. Per l'Hiv, come per altre malattie infettive croniche e non solo, è diffuso il problema delle persone che sono malate e non sanno di esserlo. In Italia si stimano numeri tra le 6.000 e le 18.000 e l'autotest potrebbe essere utile per far venire alla luce nuove diagnosi, spingendo a controllarsi chi oggi non si vuole rivolgere a una struttura sanitaria per capire se è malato perché teme per la sua privacy. Tra l'altro, ieri l'Oms, in vista della Giornata mondiale Aids di domani, ha raccomandato l’auto test per l’Hiv “come modo innovativo per raggiungere più persone infettate e contribuire a realizzare l'obiettivo mondiale, lanciato nel 2014, di rendere consapevole del loro stato il 90% di tutte le persone con Hiv entro il 2020”.

I DATI La mappa della diffusione della malattia

Il dispositivo. Il nuovo dispositivo, presentato oggi alla Camera dalla FondazioneThe Bridge, in collaborazione con Nps Italia Onlus e Mylan, può essere venduto dai farmacisti solo ai maggiorenni. "Abbiamo da subito accolto favorevolmente la scelta della farmacia come canale di vendita del nuovo autotest Hiv - commenta Annarosa Racca di Federfarma - Sempre di più la farmacia

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sta diventando un punto di riferimento per il paziente, dove trovare consulenza e competenza. La distribuzione del test, così importante per la salute, in farmacia significa quindi garantire un accesso agevole al prodotto e allo stesso tempo fornire assistenza e supporto al paziente".

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Hiv, la pillola che aiuta a prevenire l'infezione
Si chiama PreP e aiuta a prevenire l’infezione. A New York la comunità gay la utilizza massicciamente. Come consiglia l’Oms. Ma un effetto collaterale c’è: l’abbandono del condom. E la diffusione delle altre malattie

di PIETRO TARALLO
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23 giugno 2017
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Hiv, la pillola che aiuta a prevenire l'infezione
NEW YORK -DEVO CONFESSARE che la PrEP mi ha cambiato la vita, serve a ridurre direi al minimo il rischio di contrarre Hiv. Che continua a essere anche a New York una realtà devastante nonostante le cure e i farmaci di ultima generazione », parola di Daniel Sooangrin, giovane manager in carriera e attivista gay. Che sta parlando della Pre-Exposure Prophylaxis profilassi pre-esposizione - prodotta da Gilead: con una pillola al giorno, tutti i giorni, si abbattono le probabilità di contrarre l’infezione. Ma va presa fino a quando uno decide volontariamente di smettere ed è consapevole che poi anche l’effetto termina.

«A New York - continua Sooangrin - siamo ormai in molti: la usano indifferentemente gay, lesbiche, bisessuali, transgender e etero, sia giovani sia anziani. Anche chi è negativo e ha un partner Hiv positivo ». Chi cerca partner sulla chat Grindr, “the world’s largest social networking app for gay, bi, curious and queer men”, può scegliere di mettere sul suo profilo l’opzione per dichiarare il proprio stato “Neg on PrEP”. E si calcola che siano circa 79.000 le persone che si proteggono con la PreP: circa 60.000 uomini, contro 19.000 donne.
Sul piano medico PrEP non ha controindicazioni significative, per il momento. Effetti collaterali si possono verificare a carico di stomaco e fegato. Con l’utilizzo prolungato si aggiungono effetti a carico dei reni e delle ossa. «Consiglio di farsi seguire costantemente dal medico. Come faccio anch’io, ogni due mesi faccio le analisi di routine».

Dal 2012, ossia da quando PrEP è stata approvata dallaFood & Drug Administration, le farmacie di New York lo espongono e pubblicizzano in appositi scaffali . Ma fuori dalla comunità gay se ne parla poco, e nulla si fa nelle scuole. Solo a Harlem, nel Bronx e nei quartieri più degradati vi sono manifesti col volto di un giovane che mostra la lingua e in primo piano una pastiglia azzurra con la scritta “Swallow This. This pill is changing Hiv prevention. Take it once a day to stay Hiv negative”. Il fatto, però, è che «la diffusione del PrEP ha portato a usare sempre meno il preservativo, nonostante i medici consiglino di prendere la pillola e usare contemporaneamente i condom, che sono distribuiti gratuitamente e presenti in tutti i locali di incontro, discoteche, bar e saune comprese», sostiene Eddy Campagna, insegnante di origini italiane di 60 anni. Che aggiunge: «Non ci sono statistiche, qui a New York, ma il mio medico mi ha raccontato che vede molti più casi delle altre malattie a trasmissione sessuale come la clamidia, la gonorrea, la sifilide. La PrEP ha contenuto però la diffusione dell’Aids che è sostanzialmente diminuito. Purtroppo credo che ci possa essere del vero nel dire che ha favorito la diffusione della prostituzione maschile e femminile. Come è vero che ha aiutato gli e le escort a sentirsi più tutelati».

Campagna prende la pillola quotidianamente da circa otto mesi. Ha iniziato da quando ha cambiato assicurazione sanitaria, e con questa ha una copertura totale per cui il costo del farmaco è pari a zero. Anche lui è sotto controllo medico e fa il test ogni tre mesi per verificarele malattie veneree. I test periodici si possono fare anche gratuitamente presso il Gmhc (www.gmhc. org), una delle organizzazioni più attive che si occupano di Hiv, fondata nel 1981 a New York.

«Non ho avuto disturbi - racconta - né ho registrato esperienze negative. Solo all’inizio ho accusato alcuni bruciori di stomaco. Devo dire che circa il 50% dei miei amici, tutti gay, ne fanno uso. Come me ne sono soddisfatti. Solo alcuni di loro hanno avuto disturbi al fegato e ai reni che sono scomparsi dopo un mese. Quando faccio sesso finalmente mi sento tranquillo molto più di prima. Ma non abbastanza da farlo senza preservativo o con persone che hanno l’Hiv. Con loro non sono andato mai oltre a baci e sesso soft. Quello che apprezzo molto è come le persone che hanno il virus, almeno quelli che ho incontrato, me l’abbiano detto apertamente».

www.repubblica.it/salute/prevenzione/2017/06/23/news/hiv_la_pillola_che_aiuta_a_prevenire_l_infezione-168879654/?ref=RHPF-VU-I0-C6-P6...

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